Salvarsi l’anima!

Posté par atempodiblog le 5 mars 2009

Si avvicina il tempo della Quaresima
CAMMINO DI CONVERSIONE per ogni stagione della vita
del Prof. Luigi Pautasso di Radio Maria Canada (audio)

Salvarsi l'anima! dans Anticristo profluigipautasso

Salvare l’anima
Le mie parole vogliono farsi intermediarie ed interpreti di quelle del Signore che un giorno ha detto: « A che serve se guadagni tutto il mondo e poi perdi l’anima? ».
La quaresima è appunto il tempo in cui il cristiano è chiamato da Dio a fare il più grosso affare della vita, che è quello di salvarsi l’anima. Piazzarsi bene nella società, vincere il lotto, acquistare terreni e palazzi sono tutte quisquilie e illusioni, cose che non si portano appresso quando finisce la vita ed il nostro corpo è riconsegnato alla terra. Ecco il significato delle ceneri con le quali oggi vengono segnati i cristiani che vanno in chiesa. Con la morte, tutto sparisce, tutto, eccetto l’anima. Tienilo presente e decidi una buona volta di fare il grande passo, di prendere sul serio il vangelo, di convertirti, per salvare la tua anima.

Che cos’è l’anima?
Le parole del Vangelo, »A che serve se guadagni tutto il mondo e poi perdi l’anima? » ci fanno subito capire cos’è la quaresima:
« Il tempo in cui si accudisce alle necessità dell’anima ».
Naturalmente qualcuno penserà: « ma che cos’è l’anima? » La risposta della nostra fede è molto chiara: l’anima è la parte spirituale dell’uomo, quella che gli dà la capacità di pensare, di essere cosciente e di liberamente volere. Essa non è frutto di generazione umana, ma viene creata direttamente da Dio, quindi vuol dire che la sua natura è spirituale, così come lo sono il pensiero e l’amore che da essa derivano, e se è spirituale vuol dire che non diventa polvere come il corpo, ma è immortale.
Gli uomini tante volte studiano maniere strane per lasciare un ricordo duraturo di se stessi: opere grandiose, libri famosi, monumenti. Tutto inutile. Quei monumenti che sono le piramidi d’Egitto non si è neppure sicuri chi le abbia fatte e non resisteranno certamente all’usura del tempo in eterno. L’unica cosa nostra che non verrà mai meno è l’anima. Ecco perché è importante pensare alla salvezza dell’anima.

L’importanza dell’anima
Nel mondo materialista in cui viviamo è facile capire l’importanza degli studi, del posto di lavoro, dei soldi, ma raramente si pensa all’importanza dell’anima. Il Vangelo lo dice, ma la gente fa finta di non capire. Sono i santi che lo capiscono.
E’ noto che San Giovanni Bosco scelse come suo motto le parole della Bibbia: »Dammi le anime, prendi tutto il resto » e spese tutta la vita a strappare le anime, soprattutto dei giovani dal pericolo dell’eterna rovina. Che ha fatto P. Pio? Padre Pio passò la vita nella penitenza e nella preghiera per pagare lui personalmente il conto delle anime sviate e riportarle a Dio.
Non solo i santi ma anche anche la Madonna è convinta dell’importanza dell’anima. E ne è così convinta che a Fatima è venuta a metterci in guardia dall’andazzo di pensare che finita la vita tutto è finito. Purtroppo non è così. La nostra vita ha un follow-up eterno e la Madonna è venuta a dire, con le lacrime: Attenzione, figli miei: la situazione è tragica – « Troppe anime vanno all’inferno ».

Che significa salvare l’anima?
Ma che vuol realmente dire salvare l’anima? Attenti alla risposta. Salvare l’anima, per noi cristiani non vuol dire salvare soltanto la parte spirituale dell’uomo, ma salvare tutta la persona umana, in una parola tutto l’uomo, sia la parte spirituale che la parte corporale.
E’ vero che alla morte, l’anima che è immortale, si presenta da sola al giudizio particolare di Dio per ricevere il verdetto decisivo: paradiso o inferno. Ma verrà il giorno della risurrezione della carne, il giorno del secondo ritorno di Cristo, giusto giudice, ed inquel giorno i corpi risorti si riuniranno ognuno alla sua anima per la pena od il premio eterno.
Voglio dire che l’anima non è una realtà spirituale che si trova prigioniera nella materia, e che non vede l’ora che arrivi la morte per liberarsi dell’involucro corporeo. No, l’anima è creata da Dio per essere un tutt’uno con il corpo. Quando ci diamo da fare per salvare l’anima, in realtà noi lavoriamo per salvare tutto noi stessi, sia il corpo che l’anima. Noi facciamo penitenza, ma non per far dispetto al corpo, ma solo per fargli capire che c’è una vita più alta di quella della pancia piena.

La collaborazione fra anima e corpo
Il Signore un giorno ha detto: « A che serve, se guadagni tutto il mondo e poi perdi l’anima? » Questa domanda è molto importante e nella sua spiegazione siamo arrivati al punto dove, in pratica, per salvarsi, l’anima, deve avere la collaborazione del corpo.
La ragione è che corpo ed anima sono uniti in modo sostanziale. Da una parte il corpo da solo è un cadavere. Dall’altra, l’anima non esiste da sola, come spirito, ma viene creata per essere unita ad un corpo e costituire un essere umano, capace di conoscere, volere e sentire.
In una parola, anima e corpo sono fatti l’uno per l’altro, e agiscono insieme, nelle varie operazioni, intellettive, sensitive e vegetative dell’essere umano.
Tutti si è d’accordo nel dire che la collaborazione è una cosa importante, in famiglia, a scuola, sul lavoro, nella propria nazione, nel mondo. Ci avete mai pensato che la più importante di tutte le collaborazioni è quella che deve aver luogo fra il corpo e l’anima?

L’asino giocherellone
Il problema è che l’anima non può salvarsi da sola, ma per farlo ha bisogno della collaborazione del corpo. E qui casca l’asino. L’anima, e cioè la ragione deve guidare il corpo, ma il corpo coi suoi istinti che non capiscono ragione vuol comandare lui e, appena può, s’impunta, e si ribella. E se l’anima non è forte e decisa è lui a vincere.
Mi viene in mente la storia del ragazzino e del asinello, una storia vera d’altri tempi. Il ragazzino ci giocava continuamente con l’asinello e questi sembrava si divertisse pure lui. Le cose però cambiavano se c’era di mezzo il lavoro. In autunno il nonno usava l’asinello per portare la legna al paese. Ora tutto andava bene se era il nonno ad accompagnarlo. Quando invece toccava al ragazzino, a metà strada l’asinello si fermava e si buttava per terra. Voleva giocare. Il ragazzo gridava, piangeva gli dava pure delle frustate, ma l’asino forse le considerava carezze e non si alzava fin quando per caso, sul sentiero non sopraggiungeva una persona adulta. Allora, mogio mogio, riprendeva il suo cammino.
Gli istinti sono forze cieche e pericolose che vanno imbrigliate. Se stai al loro gioco e ti diverti con loro, una cosa è certa: tu dici « good by! » alla tua anima.

Di poco inferiore agli angeli
Per non perdersi, l’anima, richiede la collaborazione del corpo, una collaborazione totale e assoluta, dove il corpo serve fedelmente le esigenze spirituali dell’anima. Il corpo è come lo strumento musicale e l’anima il musicista. Il corpo fornisce all’anima le senzazioni e questa, tramite l’intelligenza e la volontà vi costruisce su una rete di rapporti con quanto è vero, bello, giusto e buono. La vita umana, frutto della collaborazione fra corpo e anima, diventa così una sinfonia di bellezza e di amore, il punto d’incontro fra la materia e lo spirito, il capolavoro di Dio. Non per nulla il salmo 8 parlando della grandezza dell’uomo esclama « Signore: L’hai fatto di poco inferiore agli angeli ». Naturalmente questa cooperazione è sudata. Al corpo basterebbe soddisfare gli istinti animali che porta in sè: quella che una volta chiavano l’arte di Michelaccio, « Mangiare, bere, dormire ed andare a spasso ». Pancia mia fatti capanna. E’ il trionfo della bestia. Segna il massimo degrado del corpo. Come quell’uomo della foresta che aveva trovato una chitarra e se ne serviva per attingere acqua dal fiume. Il corpo serve a ben altro. Quasi mille anni fa, il più grande poeta italiano, Dante Alighieri, scrisse: « Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza ». E aveva ragione.

Sempre a galla
Ormai è un ritornello: « Che serve, se guadagni tutto il mondo e poi perdi l’anima? »
Son parole dure che possono anche mettere in crisi perché il mestiere di essere uomo è difficile. Gli animali sono guidati dall’istinto e vanno avanti ripetendo sempre le stesse cose senza problemi di coscienza. Così, senza cambiare o migliorare la loro tecnica, da sempre, il gatto mangia il topo ed il lupo sbrana la pecora, e poi, con la pancia piena, si fanno un tranquillo sonnellino. L’uomo invece non ci riesce. Inventa in continuazione situazioni nuove di sfruttamento e di soddisfacimento, ma non ne ha mai basta e non è mai tranquillo. La coscienza, come un invisile baco, continua a roderti dentro: perché ti comporti così? In certi momenti preferiresti addirittura essere un animale, senza preoccupazioni e pensieri, ma non ti riesce di abolire la ragione, non riesci a spegnere la luce della tua intelligenza. Ci hai provato col vino, con i vizi, con il sesso, con la droga, ma l’anima non si lascia azzerare. Nei momenti di lucidità ti riprendono i dubbi ed i magoni, senti che hai bisogno di qualcosa di diverso, di più alto, di una boccata di aria pura. Quando tu pensi di averla uccisa, l’anima torna a galla, e ti ricorda che sei uomo, e che la vita delle bestie non fa per te. Così incomincia il disgelo quaresimale, il ritorno della primavera dello spirito, e per chi lo vuole veramente, e arranca contro vento arriva anche la Pasqua, il giorno dell’uomo nuovo.

La superbia
Le maniere di perdere l’anima sono tante. L’anima può anche essere soggetta a malattie spirituali. Gli angeli non hanno corpo eppure alcuni di loro si sono ribellati a Dio e sono diventati demoni. Oggi vi accenno ad una malattia tipica dell’anima, che è congenita e cronica: la superbia.
Giorni fa ho incontrato con un bravo giovane che vuol farsi prete. Condotta ottima, notevole sensibilità verso le cose spirituali e, grande voglia di studiare. Parlando dei suoi studi, mi fece una confessione: »Sto scrivendo un libro di filosofia nel quale propongo un nuovo sistema metafisico, che corregge e supera quello di San Tommaso d’Aquino ». Pensavo scherzasse, ed invece mi mostrò alcune pagine del primo capitolo del suo libro. Auguri, gli dissi, ma sta attento: »Vincere le tentazioni del mondo e della carne è una cosa da niente in confronto allo sforzo richiesto per vincere le tentazioni dello spirito. Il demonio non ci prende solo con la mela, ma anche stuzzicando la nostra bravura e facendola diventare superbia ». In guardia, quindi, cari amici. L’uomo moderno non ha pace in questo mondo e non si salverà neppure nell’altro; perché? perché alla pari del diavolo, è terribilmente superbo.

Il colesterolo cattivo
Il discorso sulla superbia, il nemico spirituale dell’anima, è delicato e difficile, perché la superbia ha che fare con l’affermazione della nostra identità. Il Signore ci ha fatto diversi gli uni dagli altri, tutti unici, per costituzione e talenti e Dio vuole che ne prendiamo atto e ne siamo fieri.
La superbia è quindi come il colesterolo: c’è quella buona e c’è quella cattiva. La superbia è buona quando riconosci che Dio ti ha dato delle qualità da amministrare nel corso della vita, è cattiva se non riconosci il dono di Dio. Mi spiego: Tu senti che queste qualità,che possono essere intellettuali, volitive, sensibili ed anche fisiche, sono tue e formano la tua personalità. Ora i casi sono due: pensi che queste qualità devono servire per fare il bene e per questo le coltivi ed abbiamo la buona superbia. Pensi che le tue qualità che ritieni migliori di quelle che hanno gli altri serviranno per affermarti ed avere successo nella vita ed abbiamo la cattiva superbia.
Attenzione. C’è quindi la superbia dei diavoli, che pensano di essere superiori a Dio ed a lui si ribellano e c’è la superbia dei santi che pensano di aver tutto ricevuto dalla bontà di Dio ed a lui umilmente si sottomettono e danno grazie. Mi avete capito. Bisogna combattere il colesterolo cattivo e coltivare quello buono.

Un bicchier di vino
Facciamo il paragone del vino. Se ne bevi un bicchiere con misura, ti aiuta la digestione. Se vai oltre ti fa perdere la testa.
La grandezza dell’uomo sta nella capacità di far le cose con misura. Il che vuole dire, come dicevano già gli antichi, che la virtù sta nel mezzo, mentre il vizio si può avere per eccesso o per difetto. Una persona normale, sa di aver pregi e diffetti, come tutti, ma si accetta così com’è, senza patemi d’animo e, conl’aiuto di Dio, s’impegna a migliorare. Ma c’è anche la persona piena di sè: parla sempre delle sue cose, non ascolta e non fa attenzione agli altri, un ego che fa paura: noi diciamo che è superba, manca per eccesso. All’opposto, trovi la persona malata di depressione: pensa di valere uno zero tagliato in due, nessuna fiducia in se stessa, l’ego a terra come una ruota bucata.Che fare? Convertirsi. Il che vuol dire chiedere al Signore aiuto per vivere da persone normali, e cioè da santi.

L’umiltà non conosce moderazione
Nel mangiare e bere, nell’usare i sensi, nel servirci delle cose del mondo e cioè nelle attività umane, la virtù sta nella temperanza, e nella moderazione. Nei rapporti con Dio, e cioè nelle attività del cristiano, la virtù sta invece nel sempre di più, nell’eccesso. Gesù non ha detto, amerai Dio ed il tuo prossimo con moderazione, ma con tutto il tuo cuore, tutta la tua mente e tutte le tue forze.
La virtù che si oppone alla superbia è l’umiltà. Ora nell’essere umili non si pecca mai di eccesso. Più siamo umili, più siamo simili a Cristo e meglio è per la nostra anima.
Questo principio vale per tutta la nostra vita spirituale. Un segno di croce la mattina è qualcosa, ma non basta. Andare alla messa la domenica è cosa buona ma non basta. L’anima ha sete di infinito. Occorre offrire a Dio ogni momento della giornata. Sua è la nostra vita, suo è il mondo e suo è il tempo che ci concede per attraversarlo facendo il bene. Cari amici, per il cristiano, l’unica misura nell’amare Dio e di amarlo senza misura.

Il vaccino anti-superbia
Per un’ennesima volta mi fermo su quella quasi incurabile malattia dell’anima che è la superbia. Dico quasi incurabile perché si nasce tutti con l’inclinazione a pavoneggiarsi ed a farsi belli. Noi cristiani, riceviamo poi il battesimo che, fra l’altro, è come un vaccino anti-superbia. Non ci toglie l’inclinazione, ma ci da i mezzi spirituali per controllarla, e gli esempi, il modello da copiare, se vogliamo riuscirci. Vedete, il prototipo dell’uomo superbo è Satana, quell’angelo che per superbia si ribellò a Dio, e poi, tentando i primi uomini riuscì a passar loro il suo virus malefico, quell’inclinazione appnto al male che tutti noi ereditiamo col peccato originale. L’antidoto, la medicina contro la superbia é Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. Immaginate quale umiliazione, quale caduta inbasso ha accettato il Figlio di Dio quando si è fatto uomo. Da padrone del mondo, al bambino in fasce di Betlemme che non può sopravvivere senza le cure dei genitori, da Dio onnipotente a uomo indifeso inchiodato ad una croce, come un criminale. Ve lo siete mai chiesto, perché? Per insegnarci che il virus satanico della superbia si sconfigge con l’umiliazione accettata e vissuta. E poi, come ho detto, ha anche predisposto un vaccino: è lui stesso che, se lo vogliamo, entra in noi con i sacramenti della confessione e comunione. Ed è proprio a questo che ci prepara la Quaresima.

Il consiglio di San Giuseppe
Oggi è la festa di San Giuseppe e mi permetto di fargli qualche domanda. Caro San Giuseppe, noi ti onoriamo come un gran santo. Dimmi la verità: come hai fatto a farti santo? « Con l’ubbidienza », mi risponde.
« Come sarebbe con l’ubbidienza? »Con l’ubbidienza a Dio. E te lo spiego: nella vita me ne sono capitate tante. Ero fidanzato, stavo per sposarmi ed è successo quello che tutti sapete, l’annunciazione dell’angelo a Maria. Mi sembrava di impazzire, ma quando mi è stato detto in sogno « non temere, sposala », ho sposato Maria senza esitazione. Anche quando mi è giunto l’annuncio di fuggire in Egitto,ho obbedito senza fiatare. Poi per anni, ho faticato ogni giorno nella bottega per quel figlio, che se avesse voluto, con uno schiocco delle dita, avrebbe potuto farmi trovare il pane fresco in tavola. Ma Dio voleva che lo sudassi il pane quotidiano e così ho obbedito sempre, a Dio,e anche alla moglie, al figlio, ai clienti, a tutti insomma. Non tocca a me dirti come si sono fatti santi gli altri, posso solo dirti la mia esperienza. Ed io mi sono fatto santo con l’ubbidienza totale alla volontà di Dio.
Grazie San Giuseppe dei tuoi bei consigli pratici. Prediche, preghiere e propositi restan tutti chiacchiere, fin quando non si comincia ad ubbidire ai comandi di Dio. Perché è da quel momento che l’anima respira e si salva.

Non basta l’arte
L’avete forse notato anche voi: ci sono delle persone che fanno il loro lavoro con gusto. Ci sono maestri che sono felici quando possono insegnare e comunicare, e gli alunni se ne accorgono; ci sono artisti che si sacrificano con gioia nella loro arte, alla ricerca della perfezione più che degli applausi o del successo; ci sono lavoratori che fanno un lavoro umile ed hanno sempre il sorriso sulle labbra. Vi siete mai chiesti il perché di tutto questo? La ragione è ovvia: è l’anima che tende alla perfezione e che, se assecondata, trasforma in occasione di gioia spirituale ogni attività umana. Nonostante questo, potete essere certi che il maestro bravo non è mai contento di come insegna, l’artista di quel che crea, il lavoratore di quel che fa.
Il fatto è che la nostra anima non si accontenta mai: vuole la perfezione infinita. In altre parole, la nostra anima è stata fatta per Dio e non si accontenta e non si sazia di null’altro, all’infuori di Dio stesso. Per questo come dice il vangelo, tutto lo scibile umano, tutta l’arte, tutto il mondo non sono sufficienti per saziare un’anima. Anzi, sta attento a quel che dico: se a queste cose umane ti fermi, e ti accontenti della gioia che ti danno il lavoro, l’arte o l’insegnamento, senza risalire alla fonte della gioia che è Dio, tu tieni la tua anima a stecchetto e la perderai. Pensaci.

L’inferno c’è
L’anima che si perde va all’inferno. »E come lo sai? – mi fa lui – ci sei mai stato? » « No, né ci tengo ad andarci, ma lo so che c’è, perché sta scritto nel vangelo. Colui che ha detto ‘che serve guadagnare il mondo se poi perdi l’anima’, un altro giorno ha rincarato la dose ed ha detto: ‘Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio entrare nella vita eterna monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via date; è meglio per te entare nella vita eterna con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nel fuoco che non si consuma’ ». « Proprio così sta scritto? » « Te l’assicuro. Controlla il vangelo di Matteo al capitolo 18″. Ed è giusto che sia così. Dio è buono, non stupido. Ti ha dato l’intelligenza, la coscienza, la libertà ed una vita di vivere e tu usi i suoi doni per offenderlo e poi vorresti che alla fine lui ti dicesse: »Mi hai insultato, offeso ed odiato, ma mi sei simpatico: vieni a sederti a capo tavola con me ». Lo vorresti eh? Ed invece sta scritto che lui ti dirà: “Via da me, maledetto, nel fuoco eterno ».

L’amore precede il timore
Inizio parlando dell’omino nero, quello che le nonne e le zie usano come spauracchio per tener buoni i bambini. Il fatto è che, i bambini nascono più scafati di una volta ed all’omino nero non ci credono più. Qualcuno mi ha detto che la stessa cosa vale anche per l’inferno, non funziona più per tenere gli uomini lontani dal peccato. In realtà Dio non cerca uomini che si convertono per paura, ma uomini che ritornano a lui per amore. L’avete mai notato? L’amore precede sempre il timore. Una mamma ama i suoi figli e per conseguenza ha timore che succeda loro qualcosa, quando sono fuori. Una fidanzata ama il suo ragazzo e proprio perché lo ama ha anche paura di perderlo.
Il discorso vale anche per i nostri rapporti con Dio. L’amore precede il timore.
Se nel nostro cuore c’è amore verso Dio, allora subentrerà la paura di perder un sì gran bene ed è qui che incomincia a funzionare il discorso dell’inferno.
Nel vangelo trovi il bastone, ma anche la carota. Parla, come ho detto ieri, dell’inferno, ma parla con altrettanta forza dell’amore di Dio che cerca la pecorella smarrita. E’ quaresima, è tempo di conversione. E se il Signore vi ispira di fare il grande passo, e così mettere l’anima al sicuro, fatelo, ma fatelo per amore.

La vita di un feto e noi
Non serve lo spauracchio dell’omino nero vi dicevo dieci primo giorni fa. Dio vuole che andiamo a lui per amore, non per forza. Ora, io mi dico, come si può non amare Dio? Noi dipendiamo totalmente da Lui per la nostra esistenza, così come un bimbo nel seno della madre dipende totalmente dalla sua madre. Si muove e fa tutto quello che gli è consentito nella sua condizione di feto, ma si trasferisce da un punto all’altro della casa con lei, è con lei che inesorabilmente andrà al mercato, a passeggio, al lavoro, a riposo, senza per questo subire violenza. ma anche senza potersi opporre. Vive della vita della mamma, ma non lo sa. Possiede in germe i suoi connotati, anche se non è ingrado di vederli. Se fosse in grado di usare la sua intelligenza, il feto potrebbe amche affermare che la mamma non esiste, ed intanto si prepara a venire al mondo per vederla, per godere del suo abbraccio e poi ascoltarla e parlare con lei.
Anche la nostra vita è un lungo periodo di gestazione, durante il quale dipendiamo totalmente da Dio, anche se alle volte troviamo difficile ammetterlo, in attesa di entrare nel mondo che ci aspetta per vedere il volto di Colui che ci ha creato, di godere della sua presenza, di parlare con Lui, di rimanere per sempre in comunione con Lui. Voglia il cielo che la Quaresima ci aiuti a riscoprire ed a vivere questa grande verità della nostra fede.

Il dono della fede
Naturalmente, il punto di partenza, per chi vuol salvarsi l’anima, è di aver fede. La fede è come gli occhi dell’anima.
In questa vita, se uno è cieco, o se uno ha la vista debole e gli occhiali sporchi, fa fatica a vedere la luce del sole. Così è anche per l’anima: chi non ha la fede, o chi vive malamente con gli occhiali della fede troppo sporchi di miseria morale, fa fatica a vedere Dio nella propria vita, e molto spesso non lo vede per niente. Riguardo a questa persona incredula, la Bibbia ha una parola molto dura: la chiama, stolta, stupida. « Dice lo stolto: Dio non c’è ». Come un cieco che dicesse « Il sole non c’è perché non lo vedo », così anche il peccatore parla da stolto, quando dice « Dio non c’è, perché non lo vedo ». Ad essere sincero, il cieco dovrebbe dire, « Il sole c’è perché ne sento il calore, ma mi manca la vista per vederlo ». E l’incredulo dovrebbe dire: « Dio c’è, perché senza di Lui non si spiega come io possa esistere o come possano esistere tutte le altre cose dell’universo, ma la mia anima è in coma, non respira: mi manca la fede per vederlo. »
Il primo passo verso il Signore, ha luogo quando l’anima incomincia a respirare e in sintonia con il cuore, le labbra si mettono a mormorare: Ho bisogno di Te e della tua parola: Signore, ridammi la fede in Te.

La fede si chiede
La fede è un dono che Dio dà a tutti coloro che lo chiedono di cuore. Se non hai la fede, la colpa non è di Dio, che non te l’ha data, ma tua che non l’hai chiesta. Come regola, Dio ci da tutto, compreso se stesso, ma a patto che noi lo desideriamo e glielo chiediamo. Se quindi, caro amico che stai andando al lavoro o che comunque incominci un’altra giornata della tua vita, pensi di non avere la fede, non dare la colpa a nessuno: non a Dio, non ai preti, non alla tua famiglia, non al mondo che è incredulo. La colpa la puoi solo dare a te stesso. Dici che non credi, che non hai la fede, ma da quanto tempo non ne fai domanda a Dio? Da quanto tempo non dici come l’apostolo Pietro: »Sono un uomo peccatore. Signore aumenta la mia fede? »Di una cosa ti posso assicurare. Se tu veramente la vuoi la fede e gliela chiedi, Dio è capace di dartela in questo momento stesso, ancora prima che tu metta piedi fuori della macchina.

Che cosa noi crediamo
La fede che è un dono di Dio che ci permette di vivere da cristiani e così salvare l’anima. Che cos’è la fede cristiana? E’ molto di più che credere all’esistenza di Dio. E’ la capacità di accettare e credere il Vangelo che Cristo ci ha rivelato e ci propone a credere tramite la Chiesa da lui fondata. In realtà che cosa crediamo, noi cristiani, con la fede?
Noi crediamo in un Dio, puro spirito, che ha creato tutto per amore e il cui amore si è manifestato a noi come esistente da tutta l’eternità in tre persone uguali e distinte, Padre Figlio e Spirito Santo. Noi crediamo che questo Dio-Amore non vive in un sacro isolamento, ma si interessa di noi che siamo sue creature, al punto da mandare in nostro aiuto il suo Figlio, che si è fatto uomo per mezzo di Maria e che noi abbiamo imparato ad invocare con il nome di Gesù Cristo.
Ancora, la fede ci aiuta a diventare discepoli di Cristo. E questo non è una cosa di poca importanza, perché Cristo non è solo il Creatore ed il Salvatore, ma sarà anche il nostro giudice e, un giorno, ad ognuno di noi, secondo i meriti è cioè secondo la nostra collaborazione o conversione, darà il premio o la pena eterna.
La fede cristiana presuppone questo tipo di rapporto con Dio. Se tu dici invece di credere in un Dio, ma poi questo Dio fa i fatti suoi e tu i tuoi, mi spiace dirlo, ti manca ancora il vero dono della fede.

Coltivare la fede
Anzittutto, nella vita spirituale non c’è posto per i couch potatoes. Il cristiano riceve da Dio dei doni, dei talenti, che non può mettersi in tasca e fa finta di niente. No, per salvare,l’anima, il cristiano deve essere molto attivo, deve trafficare i talenti che ha ricevuto, usarli, farli crescere.
Uno di questi talenti che abbiamo tutti ricevuto nel momento del battesimo è la fede. E qui incomincia la nostra storia. E’ vero che, fino al raggiungimento dell’uso di ragione, la fede è rimasta in noi come un seme, ma l’abbiamo avuto questo seme e dal momento dell’uso della ragione in poi è dipesa da noi la sua crescita. Se, con l’aiuto e l’esempio dei genitori abbiamo imparato a dire: Signore io credo alla tua parola, Signore aumenta la mia fede, e cioè a far atti di fede, il germe ricevuto nel sacramento si è sviluppato ed ha messo radici. Noi siamo diventati dei fedeli, dei credenti. La fede ispira i nostri pensieri e le nostre azioni. Siamo dei veri cristiani.
Se invece il seme ricevuto non l’abbiamo coltivato, si è probabilmente avvizzito. Non abbiamo la gioia di vivere alla presenza di Dio e di apprezzare le parole di Cristo. Siamo senza fede, e tali rimaniamo, fin quando non ci decidiamo di dire al Signore: sono solo nella vita. Ridammi la fede che mi avevi dato da bambino. Aiutami a credere di nuovo.

O Cristo o i soldi
Il lunedì della settimana santa, impariamo da Gesù che va a Betania a trovare l’amico Lazzaro che da pochi giorni ha fatto uscire dalla tomba. Con Gesù, come per le nozze di Cana, ci sono pure gli apostoli e tutti insieme si siedono a tavola per una cena preparata per loro dalle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria. Ad un certo punto Maria prende una libbra di olio profumato di nardo, ne cosparge i piedi di Gesù e poi li asciuga con i suoi capelli e tutta la casa si riempie del profumo dell’unguento. Con questo Maria esprime la sua gratitudine al maestro che ha strappato il fratello dalla morte.
L’atto di Maria, fa però venire il mal di stomaco a Giuda Iscariota, uno dei dodici, quello che aveva l’amministrazione del gruppo e avrebbe di lì a poco tradito il maestro: »E’ uno spreco. Dalla vendita di questo olio profumato si potevano ricavare trecento denari per i poveri ». In realtà, nota il vangelo, a lui non interessavano i poveri, ma i soldi.
Gli risponde Gesù: « I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. »
Parole che ci fanno riflettere. Giuda pensa ai soldi. Un po’ come tanti di noi che si ammazzano a lavorare per il corpo e non per l’anima. Ma a che serve avere soldi, se la morte ci coglie quando Cristo non è parte della nostra vita?

I nostri tradimenti
Il martedì della settimana santa è il giorno in cui Gesù svela il tradimento di Giuda. Incomincia da lontano, col dire con voce fortemente emozionata « In verità vi dico: uno di voi mi tradirà. » Poi, rispondendo alla domanda « chi è? », del discepolo prediletto, precisa con un gesto le sue parole: « E’ colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò. » Ed intinto il boccone, lo diede a Giuda Iscariota. In quel momento satana entrò in lui.
Noi comprendiamo la gravità della colpa di Giuda. Gesù lo aveva scelto, gli aveva dato fiducia, gli aveva addirittura affidato la sua borsa e quella di tutto il gruppo dei dodici. Ma Giuda non apprezza né la fiducia né i doni e si prepara a tradire il maestro per una miseria. E’ un tradimento grave quello di Giuda. Noi, diciamo a noi stessi che non arriveremmo mai a tanta bassezza. Ed invece io dico di sì. Noi siamo uguali a Giuda. Ogni volta che disubbidiamo i Comandamenti di Dio noi, in realtà, non disubbidiamo ad una legge, ma ad una persona. E’ a Dio che disubbidiamo, e per essere più precisi, al Figlio di Dio. E lui che fa? invece di chiederci il rendiconto delle nostre continue ribellioni, offre se stesso per espiare a prezzo della sua vita, i peccati con cui non lo abbiamo tradito.
Due i misteri su cui riflettere oggi: il mistero della nostra cattiveria verso Dio ed il mistero, più grande, dell’amore di Dio per noi.

Il tragico baratto
Il mercoledì santo è il giorno del patto di sangue fra Giuda ed i Sommi sacerdoti: « Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? » E quegli gli fissarono trenta monete d’argento, il prezzo di mercato di uno schiavo, una miseria!
Ma dimmi un po’, Giuda: ma vale veramente così poco il tuo maestro? Se ho capito bene, tu sei attaccato al denaro, ed allora perché non tenti di alzare il prezzo; su, dài: i sommi sacerdoti ci tengono alla testa del tuo maestro; perché non chiedi almeno mille denari, loro sono ricchi e sarebbe una piccola fortuna per te, per rifarti la vita… No. Giuda non mi ascolta. E’ pronto a scambiare il maestro anche per meno, per molto meno. Un pò come noi tutti.
Come noi che rinunciamo senza pensarci due volte alla fortuna di vivere in grazia di Dio, non per trenta denari, ma per pochi centesimi,« peanuts »! Per seguire un pensiero di immoralità o di odio, per soddisfare la pigrizia, l’ira, o uno stupido desiderio di rivincita: eccoci pronti come Giuda a fare il tragico baratto: »Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, via dalla mia anima, fuori della mia vita ed entri al vostro posto il demonio della ribellione e del piacere ». Cari amici, siamo vicini alla Pasqua ed il mio augurio è molto semplice: uscire dalla melma del peccato e tornare a Dio – « Cristo risusciti nei nostri cuori. »

Invito alla Cena
La sera dell giovedì santo siamo invitati a sederci a tavola, non con i nostri familiari, non con un ospite importante venuto da lontano, ma con il medico divino della nostra anima, con lo stesso Signore Gesù.
E’ stato per prepararci a questa cena, che durante tutta la quaresima siamo stati invitati a salvarci l’anima con la preghiera e la penitenza. E’ stato per diventare degni di sederci alla sua tavola, che molti di noi hanno deciso di chiedere perdono, di ritornare al suo seguito, di voltare decisamente le spalle agli incantesimi del mondo e del demonio.
Parlando in parabola di una cena come quella di questa sera, Gesù diceva che solo chi indossa la vesta bianca vi può partecipare. Beati quindi voi, amici miei, se durante questa quaresima avete fatto un buon bucato spirituale, purificando la vostra anima di tutte le miserie terrene con l’amore a Dio ed una santa confessione. Beati voi, dico, perché questa sera sarete degni di sedervi a mensa con Lui e, con la Comunione, ricevere in dono la medicina celeste che è vaccino contro il male, e garanzia della salvezza eterna della nostra anima.

Che la Madonna ci aiuti a capire l’importanza di salvare la nostra anima.

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Il valore d’una vita senza valore

Posté par atempodiblog le 3 mars 2009

Il valore d’una vita senza valore
di Michele Brambilla

È passata purtroppo inosservata la lettera che David Cameron, leader dei Conservatori inglesi, ha inviato via mail a tutti coloro che hanno espresso solidarietà a lui e a sua moglie Samantha dopo la morte del figlio Ivan, di sei anni. Ieri solo il Corriere della Sera l’ha riportata, a pagina 19. Peccato, perché quella lettera ha molte risposte da dare a quanti in queste settimane hanno avanzato dubbi sul valore della vita di persone gravemente handicappate, oppure in coma. «Ma è vita, quella?», si chiedono in molti, dando per scontata la risposta: no, non è vita. «Vivere così non ha senso», dicono.

Il piccolo Ivan era, dalla nascita, affetto da paralisi cerebrale ed epilessia. Era destinato a una morte certamente prematura, come infatti è avvenuto, e non ha potuto godere nulla delle gioie dell’infanzia: né giochi né corse, né parole né pensieri, almeno nel senso che intendiamo noi per pensieri. Ma quale «senso» abbia avuto la sua breve vita l’ha scritto suo padre, in quella mail, con parole commoventi: «Abbiamo sempre saputo – ha scritto – che Ivan non sarebbe vissuto per sempre, ma non ci aspettavamo di perderlo così giovane e così all’improvviso».

La sua morte, per i genitori, non è stata affatto quella «liberazione» invocata da altri genitori che hanno vissuto drammi simili. «Lascia un vuoto nella nostra vita – ha scritto ancora David Cameron – così grande che le parole non riescono a descriverlo. L’ora di andare a letto, l’ora di fare il bagno, l’ora di mangiare: niente sarà più uguale a prima».

Vado avanti: «Ci consoliamo sapendo che non soffrirà più, che la sua fine è stata veloce, e che è in un posto migliore. Ma, semplicemente, manca a noi tutti disperatamente. Quando ci fu detto per la prima volta quanto fosse grave la disabilità di Ivan, pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di luima almeno lui avrebbe tratto beneficio dalle nostre cure. Ora che mi guardo indietro vedo che è stato tutto il contrario. È stato sempre solo lui a soffrire davvero e siamo stati noi – Sam, io, Nancy ed Elwen(la moglie e gli altri figli,ndr) – a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall’amore per un ragazzo così meravigliosamente speciale e bellissimo».

«Ricevere»: in questo verbo semplice e straordinario c’è tutto il mistero della potenza di uno dei più grandi – forse il più grande – tabù del nostro tempo, la sofferenza. In queste settimane in cui mi sono dovuto occupare del caso di Eluana Englaro, ho ascoltato attentamente le argomentazioni di tutti, politici e filosofi e prelati, ma quella che mi ha convinto di più è contenuta nelle pochissime,scarne parole che mi ha detto, durante una chiacchierata sotto la sede del Giornale, un nostro collega, Felice Manti: «Eluana è stata eliminata perché era Cristo in croce. Era un segno visibile e tangibile dell’ineluttabilità, nella nostra vita, della sofferenza».

La sofferenza è lo scandalo supremo, e di fronte ad essa reagiamo cercando (invano) di espungerla dal nostro orizzonte. Ma David Cameron ci dice ora quello che molti altri hanno sperimentato: e cioè che la sofferenza (oserei dire: forse nulla più della sofferenza) può avere il potere di renderci migliori, più attenti al dolore degli altri; di scoprirci capaci di amare e di sentirci amati. Chi vive situazioni del genere fa spesso esperienza di una fraternità che mai, prima, avrebbe immaginato possibile. Ecco «a che cosa serve» unavita come quella di Ivan Cameron. Una vita lontana anni luce dai criteri di felicità e benessere del nostro tempo: eppure capace di produrre una catena di amore che chissà quando cesserà di dare frutti. Una vita breve.

Ma che cosa è breve e che cosa durevole? «Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo» (Seconda lettera di Pietro, 3,8).

PS: Ne approfitto per rispondere ai molti lettori che mi hanno criticato, e spesso coperto di insulti che non fanno onore alla causa pro-life, per aver io scritto di essere contrario alla denuncia per omicidio volontario contro il papà di Eluana. Spero capiscano che è con le testimonianze alla David Cameron, e non con la richiesta di mettere in galera chi non ce la fa, che si può rendere un servizio alla vita e all’amore.

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