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La segnaletica del Calvario

Posté par atempodiblog le 26 mars 2009

Riflessioni sul triduo pasquale. La segnaletica del Calvario
Tratta da: lnx.santantonionovoli.it

Nel triduo pasquale, una pagina di spiritualità di don Tonino Bello che riflette bene il significato profondo del cristianesimo.
Nella strada verso il Golgota, le frecce dell’accoglienza, della riconciliazione e della comunione.

La segnaletica del Calvario
dagli scritti di don Tonino Bello…

Miei cari fratelli, sulle grandi arterie, oltre alle frecce giganti collocate agli incroci, ce ne sono ogni tanto delle altre, di piccole dimensioni, che indicano snodi secondari. Ora, per noi che corriamo distratti sulle corsie preferenziali di un cristianesimo fin troppo accomodante e troppo poco coerente, quali sono le frecce stradali che invitano a rallentare la corsa per imboccare l’unica carreggiata credibile, quella che conduce sulla vetta del Golgota? Ve ne dico tre. Ma bisogna fare attenzione, perché si vedono appena.

La freccia dell’accoglienza.
E’ una deviazione difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta dritto al cuore del Crocifisso. Accogliere il fratello come un dono. Non come un rivale. Un pretenzioso che vuole scavalcarmi. Un possibile concorrente da tenere sotto controllo perché non mi faccia le scarpe. Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del nostro egoismo: la sua carta d’identità! Si, perché non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome, o senza contorni, o senza fisionomia. Ma occorre una gran fatica per accettare quello che è iscritto all’anagrafe del mio quartiere o che abita di fronte a casa mia. Coraggio! Il Cristianesimo è la religione dei nomi propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non degli ectoplasmi. Del prossimo in carne ed ossa con cui confrontarsi, e non delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi.

La freccia della riconciliazione.
Ci indica il cavalcavia sul quale sono fermi, a fare autostop, i nostri nemici. E noi dobbiamo assolutamente frenare. Per dare un passaggio al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti. Per stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo. Per porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di rapporto. E’ sulla rampa del perdono che vengono collaudati il motore e la carrozzeria della nostra esistenza cristiana. E’ su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo ed a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce.

La freccia della comunione.
Al Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù. Non da soli. Pregando, lottando, soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si rompe qualcosa. Non il cristallo di una virtù che, al limite, con una confessione si può anche ricomporre. Ma il tessuto di una comunione che, una volta lacerata, richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture. Il Signore ci conceda la grazia di discernere, al momento giusto, sulla circonvallazione del Calvario, le frecce che segnalano il percorso della Via Crucis. Che è l’unico percorso di salvezza.

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Il senso della croce

Posté par atempodiblog le 26 mars 2009

Per uscire da ogni difficoltà, si deve passare attraverso di essa!

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Tratto da: webalice.it/gospodine/QUARESIMA_2009.html

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Sacrificare la propria immagine per l’Africa

Posté par atempodiblog le 26 mars 2009

Immagine

Non esiste amore più grande di questo: sacrificare la propria immagine per l’Africa

Vip in declino, per ritrovare lo smalto perduto, promettono benessere ma in cambio chiedono l’anima: il continente dovrebbe rinunciare alla sua devozione alla vita. L’opposto della testimonianza di Benedetto XVI
di Tempi

Che coraggio ci vuole per rinunciare a sfruttare la photo opportunity di un viaggio in Africa, facile iniezione ricostituente di ogni star in difficoltà, e trasformarlo in un corpo a corpo con tutti poteri che vogliono asservire gli africani ai propri disegni: dalle multinazionali agli stregoni, dall’internazionale del condom e dell’aborto alle predatorie élite locali? Ci vuole il coraggio di un grande amore. L’amore senza paura che Benedetto XVI ha dimostrato in occasione di questo suo primo viaggio nel continente nero. Da tempo una nuova forma di sfruttamento dell’Africa, solo apparentemente più soft, sì è aggiunta a quelle tradizionali (tratta degli esseri umani, espropriazione delle materie prime, guerre per procura): il sapiente uso delle disgrazie africane a fini di immagine. Rockstar in crisi d’ispirazione, attrici in declino e capi di Stato in perdita di consensi ostentano la loro solidarietà con mamme e bambini afflitti dalla fame, mutilati dalle mine, colpiti dall’Aids, per ritrovare lo smalto perduto. Promettono benessere per il tramite dei grandi organismi internazionali, ma in cambio chiedono l’anima: l’Africa dovrebbe rinunciare alla sua devozione sconfinata alla generazione della vita, il tratto più suggestivo della sua identità tradizionale. L’opposto della testimonianza del Papa, che non ha temuto di mettere a repentaglio la propria immagine e il proprio tasso di gradimento (secondo un istituto francese avrebbe perso più della metà dei consensi fra i battezzati all’indomani della polemica sui profilattici) pur di difendere l’Africa dai lupi, compresi quelli travestiti da pecora. Fedele al suo mandato di vicario di Cristo, il pastore che ha dato la vita per il gregge, anziché utilizzarlo per i propri progetti. L’amore sta nel dare, se necessario con sacrificio, e non nel prendere.

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