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Il guaio dell’uomo moderno

Posté par atempodiblog le 26 janvier 2009

Il guaio dell’uomo moderno dans Citazioni, frasi e pensieri chesterton

“Il guaio dell’uomo moderno non è quello di avere perso la fede, ma quello di avere perso la ragione”.

-Gilbert Keith Chesterton-

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… nella forza elementare della vita

Posté par atempodiblog le 24 janvier 2009

Costruire una vita felice nella forza elementare della vita
di Claudio Risé
Tratto da: ilmattino.it

I bravi ragazzi ci sono ancora. Le loro buone azioni, però, fanno notizia per un solo giorno, diventano un breve spot pubblicitario sul «bene», per lasciar subito spazio alle consuete celebrazioni dei soliti «cattivi e cattive ragazze» che, come dicono molte pubblicità: «Vanno dappertutto».
Come mai questo diverso trattamento del sistema di comunicazione, che a parole deplora il male, ma poi non si occupa granché di chi lo contrasta, non presenta la sua vita come esempio per gli altri? Prendiamo la storia di Ermir.
Diciassette anni, vive e studia al quartiere Laurentino di Roma, dove è arrivato dall’Albania 10 anni fa con la mamma, che ha potuto allora ricongiungersi al marito, meccanico. Ermir qualche giorno fa ha rischiato di farsi ammazzare per difendere un compagno, aggredito sul campo di basket del liceo da tre bulli con coltello e pistola. Un fendente gli ha perforato il polmone; è grave, ma ce la farà.

«Non potevo restare fermo e lasciarlo solo», ha raccontato uscendo dalla sala operatoria, «volevano fare del male al mio amico». Questa è la visione della vita del bravo ragazzo: il male da contrastare, il bene da favorire, gli affetti, come, appunto, l’amicizia, da mettere sempre al primo posto. Una visione molto semplice, netta, senza tante storie e tanti ragionamenti.
Anche se non la conosce, né ci pensa, un ragazzo così mette in pratica istintivamente l’esortazione di Gesù nel vangelo di Matteo: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il resto viene dal diavolo».
Forse è proprio per questa semplicità, così lontana dagli intorcinamenti pseudo psicologici dei trionfatori dei reality show, che il sistema delle comunicazioni punisce questi eroi di tutti i giorni, lasciandoli affacciare alla cronaca quando salvano la vita a qualcuno, ma poi condannandoli rapidamente al silenzio. Come si fa, infatti, a costruire una «tendenza» sulla semplice bontà?
Per fare tendenza ci vogliono (si pensa) cose complicate: bizzarrie sessuali, pettegolezzi, dispetti, carognate di cui i media possano parlare a lungo; raccogliendo testimonianze, personaggi di contorno; promuovendo consumi, gadgets, luoghi di ritrovo, meglio se un po’ ambigui e «maledetti».
Nel personaggio Ermir, invece, tutto questo manca. Qui non c’è nulla di superfluo, non ci sono optional. Una storia di autenticità: la lotta per la sopravvivenza nella povertà, il padre meccanico che viene da Durazzo a Roma, la famiglia che lo raggiunge, tutti che fanno la loro parte, con intelligente prontezza, e, di nuovo, senza far storie.
Ermir, per esempio, che è bravissimo a smontare e rimontare i motorini, per ora impara a scuola tutto quello che c’è da imparare, e poi farà l’ingegnere meccanico. Tutto semplice e lineare. Com’è caratteristico della forza vitale: una volta riconosciuta, e nutrita con gli affetti e le spinte elementari dell’esistenza (la fame, l’amore, la volontà di affermarsi per come si è), si sviluppa e si esprime. Il resto, il superfluo (che spesso è la materia prima dei commenti mediatici), qui manca del tutto.
Infatti, la forza è, da sempre, nelle cose, sentimenti e personaggi, semplici. «O sole mio», canzone tra le più amate e cantate in tutto il mondo, è semplicissima: «’O sole mio sta nfronte a te». Elementare, ogni innamorato lo pensa, da sempre.
«Non potevo restare fermo e lasciarlo solo, volevano fargli del male». Quintali di discorsi inutili polverizzati da un sentimento, e un comportamento conseguente. Persone così, fedeli alla forza elementare della vita, possono andare più lontano che da Durazzo a Roma: possono, con qualche rischio, costruire una vita felice.

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Di fronte alla morte

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2009

UN VENTENNE DI FRONTE ALLA MORTE E QUELLA COSA DELL’ALTRO MONDO CHE SONO…I CRISTIANI
di Antonio Socci – Libero

Di fronte alla morte dans Antonio Socci antoniosocci

“Le scrivo perché anche oggi entrando a scuola abbiamo respirato un’aria di morte”. Comincia così la lettera che mi ha scritto Marco, 19 anni, di Firenze. “Stanotte una ragazza che frequentava il terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La sera prima stava andando in discoteca, era in macchina con altri ragazzi (…) la macchina si è schiantata contro un albero. La nostra scuola era già stata protagonista di grandi fatti di morte: tre anni fa, una ragazza che frequentava l’ultimo anno si è suicidata gettandosi da una finestra del terzo piano.

Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e mesi seguenti… Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce meste dei professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenza fisica o psicologica dei suoi amici più cari e dei parenti”. Marco è uno studente che frequenta l’ultimo anno di liceo. Fin qui la sua è solo una cronaca consueta, descrive ciò che accade quando la morte visita le nostre giornate e specialmente un luogo di giovinezza come una scuola. Capita che – dopo lo choc di qualche giorno – gli adulti si affrettino a richiudere quella finestra spalancata sull’immenso, sul mistero dell’esistenza, per fingere che la vita sia solo il consueto teatrino in cui ci trasciniamo tristemente a recitare una parte assegnata. Ma i giovani non distolgono facilmente lo sguardo dal Mistero.
Infatti è il seguito di questa lettera che più mi ha colpito e commosso. Marco è un avventuriero, assetato di verità e di una felicità che non svanisce in un istante, dunque continua: “Il Signore sta parlando alla mia generazione e lo sta facendo con forza. Ci sta parlando attraverso la sofferenza più estrema, attraverso la morte. Non molto tempo fa altri ragazzi sono morti o rimasti gravemente feriti a causa di incidenti stradali e la loro storia si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la nostra fede di Cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo non può darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parola d’ordine del mondo è ‘essere’ e se non sei nessuno o non appari, rimarrai sempre solo. Non può darti la felicità perché non dura più di 30 secondi. Non può darti la consolazione perché la sera quando arrivi a dormire ti ritrovi solo; solo coi tuoi problemi insormontabili, solo perché i tuoi genitori si stanno separando, solo perché nessuno ti ama. Non pensa anche lei che per noi Cristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella di ricominciare una nuova evangelizzazione?”.

Mi ha colpito leggere queste parole nella lettera di un diciannovenne, di un ragazzo normalissimo, ma che non si fa addomesticare dall’industria del rincoglionimento. Evidentemente Marco ha visto e sperimentato qualcosa di così bello e così grande che non si dissolve davanti al soffio di sorella morte. Questa parola, “evangelizzazione”, indica infatti un volto e un nome, Gesù, che stupisce e commuove, che sui giovani specialmente esercita un fascino più potente perfino della desolazione della morte. E parla al loro cuore assetato di vita, di felicità, di amore.

Marco continua: “Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per annunciare Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario partire, non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via, dalla nostra parrocchia. E’ necessario far conoscere alla mia generazione che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire per ognuno di noi, ma che è Risorto e ha distrutto la Morte. Posso assicurarle che queste persone stanno aspettando solo noi. Per grazia divina, i miei genitori sono entrati a far parte del Cammino-Neocatecumenale più di trent’anni fa e questo ha permesso che crescessimo nella fede. Personalmente questo Cammino mi ha permesso di scoprire un Dio che mi ama non per i miei meriti, ma per come sono, soprattutto per i miei peccati, e che vuole solamente curarmi, vuole mostrarmi il suo amore. Nella nostra parrocchia ci siamo ritrovati davanti a tante morti umanamente assurde, ma paradossalmente le famiglie implicate in queste morti hanno risposto con l’Amore… ”.

E a questo punto Marco inizia un resoconto sconvolgente di vita quotidiana. In un mondo disperato, dove i media hanno attenzione solo alle misure delle ospiti del Grande Fratello esistono uomini e donne con una certezza e un amore più forti della morte.

“Più di otto anni fa il mio amico Niccolò è morto per un tumore al cervelletto. Ha potuto concludere solo le scuole elementari e non ha conosciuto l’età più bella della vita. Nonostante tutte queste assurdità, ciò che mi ha sempre colpito di lui era il sorriso che portava con sé arrivando al catechismo, anche dopo aver fatto la terapia. Dalla sua morte, il nostro gruppo di catechismo ha ricevuto la grazia di restare unito fino ad oggi ed è un vero miracolo, pensando a dove possono essere adesso tanti miei amici. Il suo funerale fu una festa indescrivibile; uno dei suoi fratellini era così eccitato che, quando abbiamo accompagnato il suo corpo al cimitero si è messo a gridare ingenuamente di volerlo raggiungere per poter giocare ancora con lui. Quel funerale colpì tutti i presenti, perché non si era detto Addio a nessuno, si era salutato un fratello che avremmo rivisto. Per la fede dei suoi genitori e per la bellezza e la gioia di quel funerale molte persone si sono interrogate profondamente e forse lo fanno ancora oggi. Quello che colpisce sempre le persone è che i funerali nella mia parrocchia sembrano matrimoni: i canti sono tutti gioiosi e la bara è posta sopra il fonte battesimale, che si trova a terra, perché simboleggia il passaggio dalle acque della morte alla vita nuova. Più recentemente, un ragazzo, Jonatan, è morto cadendo di motorino; una cosa che non posso dimenticare è il volto di sua madre che ci invitava a stare allegri, perché Jonatan era andato in Paradiso. Sul sagrato, un suo amico mi disse che non era meravigliato della risposta di questa madre alla morte del figlio. Mi disse: ‘Loro sono religiosi’. Queste morti sono state per me una dura prova perché mi hanno diviso da tanti affetti, mi hanno messo davanti al fatto che non siamo eterni, che possiamo e dobbiamo morire. Ma ho scoperto che questa morte è stata vinta da Cristo. Egli ha vinto le mie morti. Io sono certo di questo, ma vorrei che questa buona notizia arrivasse a tutti i miei amici, a tutti i miei coetanei che forse non sanno dare un senso alla loro vita; io però sono uno solo e non posso raggiungerli tutti. Chiedo quindi aiuto alla Madre Chiesa, in cui confido perché ho sperimentato che è davvero madre, che mi dona il perdono e che davvero da essa passa la mia salvezza”.

Marco mi scrive il suo accorato appello alle parrocchie della sua città (come rispondono sacerdoti e vescovi?), le invita ad aprirsi ai movimenti “perché so che è difficile vivere da Cristiani senza una piccola comunità che ti aiuta, che ti ascolta, che ti corregge, in cui sperimenti il perdono, in cui c’è Cristo… Esorto tutte le parrocchie fiorentine ad aprire le porte a Cristo in queste nuove forme, perché i giovani sono per strada a drogarsi, a bere, senza genitori, senza Amore. La loro vita non ha un senso e noi che siamo il sale del mondo abbiamo il dovere di annunciare loro che Cristo li ama e che possono cominciare a sorridere, possono smettere di fingere, possono piangere senza paura di essere giudicati ‘deboli’, possono scoprire amicizie vere fondate sull’Amore di Cristo. Questi ragazzi hanno il diritto di sapere che rivedranno i loro amici in Paradiso e che non c’è morte che possa dividerci, c’è solo Cristo che ci unisce all’altro”.

Non è una cosa dell’altro mondo? Don Giussani diceva che il cristianesimo “è letteralmente una cosa dell’altro mondo in questo mondo”. In effetti il Paradiso inizia già qui, come il sorriso che si apre nelle lacrime e alla fine prende il sopravvento. Come il sole quando spalanca le nuvole e illumina le ultime gocce di pioggia portando finalmente l’azzurro.

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Le bufale di Hamas

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2009

Le bufale di Hamas
L’inviato del Corriere dice che le cifre sulle vittime nella Striscia di Gaza sono gonfiate ad arte
Tratto da: IL FOGLIO.it

Le bufale di Hamas dans Articoli di Giornali e News hamas4hi6 
Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo formidabile dell’inviato Lorenzo Cremonesi, che era riuscito a entrare nella Striscia di Gaza dentro un’ambulanza prima che i combattimenti finissero, quando il resto dei giornalisti aspettava sul confine, ed è finito pure sotto il fuoco israeliano. Il pezzo del Corriere demolisce le cifre fornite da Hamas sul numero di vittime civili nei 22 giorni di guerra. Cifre inspiegabilmente, finora, date per buone. “C’è un dato che sta emergendo sempre più evidente visitando cliniche, ospedali e le famiglie delle vittime del fuoco israeliano – scrive Lorenzo Cremonesi – In verità il loro numero appare molto più basso dei quasi 1.300 morti, oltre a circa 5.000 feriti, riportati dagli uomini di Hamas e ripetuti da ufficiali Onu e della Croce Rossa locale. ‘I morti potrebbero essere non più di 500 o 600. Per lo più ragazzi tra i 17 e 23 anni reclutati tra le fila di Hamas che li ha mandati letteralmente al massacro’, ci dice un medico dell’ospedale Shifah che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita.

Un dato però confermato anche dai giornalisti locali: ‘Lo abbiamo già segnalato ai capi di Hamas. Perché insistono nel gonfiare le cifre delle vittime? Strano tra l’altro che le organizzazioni non governative, anche occidentali, le riportino senza verifica. Alla fine la verità potrebbe venire a galla”. Al Foglio l’inviato conferma: “Ho visto gli ospedali, in genere in zone di guerra per ogni morto ci sono in media tre feriti gravi, non ho assolutamente visto queste cifre a Gaza. Cito anche reporter locali ‘very senior’ che conosco da molto tempo e dicono 500, 600 uno si è spinto a 700, ma non oltre”.

Il precedente che viene subito in mente è quello di Jenin nel 2002. Durante l’offensiva israeliana nel campo profughi si parlò di 1.500 morti. L’agenzia palestinese Wafa, citando fonti mediche, parlò di “massacro del Ventunesimo secolo”. Il rappresentante palestinese alle Nazioni Unite, Nasser al Kidwa, descrisse alla Cnn “gli elicotteri che stanno bersagliando con i missili un chilometro quadrato affollato da 15.000 persone”. La stampa inglese, Guardian, Independent e Times, si bevve subito la storia. Poi venne fuori che c’erano soltanto 56 vittime, di cui 45 erano guerriglieri caduti combattendo.

Cremonesi mette in dubbio anche il numero ufficiale dei feriti, 5.000, perché ha fatto il giro degli ospedali – che da fuori la Striscia tutti descrivevano “al collasso” – e li ha trovati semivuoti. “Molti letti sono liberi all’Ospedale europeo di Rafah, uno di quelli che pure dovrebbe essere più coinvolto nella ‘guerra dei tunnel’ israeliana. Lo stesso vale per il Nasser di Khan Younis. Solo 5 letti dei 150 dell’Ospedale privato al Amal sono occupati”. E descrive la disperazione degli abitanti di Gaza, che gridavano alle squadre di ragazzini di Hamas, dai 16 ai 23 anni, di andare via, di non attirare con la loro presenza e il lancio di razzi il fuoco degli israeliani. “I più coraggiosi si erano organizzati e avevano sbarrato le porte di accesso ai loro cortili, inchiodato assi a quelle dei palazzi, bloccato in fretta e furia le scale per i tetti più alti”.

Amira Hass, l’unica giornalista israeliana dentro la Striscia, ha invece per prima dato la notizia delle esecuzioni segrete di Hamas contro i membri di Fatah. La popolazione di Gaza non è l’incrollabile monolite filoHamas descritto da fuori. Il numero delle vittime di Gaza non è definitivo, ancora nascosto nella nebbia della guerra. Ieri l’esercito israeliano ha contestato le stime del Corriere e ha detto che il numero finale dei morti si avvicinerà a 1.300, dei quali però 750 soldati di Hamas.

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Lezione di napoletano

Posté par atempodiblog le 20 janvier 2009

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Pazze per Dio

Posté par atempodiblog le 14 janvier 2009

Pazze per Dio, la riscossa delle mistiche italiane
di Laura Bosio – Avvenire

Non si sa da quale casato venisse Angela da Foligno, nata nella città legata al suo nome intorno al 1248. Quasi nulla si conosce del periodo che precede la conversione. Non compì studi, ma pare certo che sapesse leggere. Più difficile dire se sapesse scrivere. Si sposò dopo i vent’anni, forse nel 1270, con un signorotto rimasto anonimo ed ebbe figli, che scomparvero in breve tempo insieme alla madre e al marito. In seguito a un’apparizione di san Francesco, era però già iniziato un mutamento che l’aveva portata a incontrare un direttore spirituale, un frate minore, suo concittadino e consanguineo, Arnaldo, che sarebbe diventato il depositario delle sue confidenze. Ma fu nel 1291, durante un pellegrinaggio ad Assisi, che un’esperienza mistica sconvolgente trasformò radicalmente la sua vita. Arnaldo avvertì subito la necessità di comprendere fino in fondo le cause di quella folgorazione e cominciò a scrivere tutto quello che Angela gli veniva dicendo. Nacque così il Libro della beata Angela da Foligno: lei dettava nel ‘ volgare suum’, mentre Arnaldo trascriveva in un latino semplice e piano; e quando lui, ‘frate scrittore’, non comprendeva, si faceva ripetere il discorso, talvolta riportando la parola così come la sentiva riferire. L’itinerario di Angela non è tanto un andare verso Dio, quanto un andare dentro Dio, in un rapporto diretto così forte da farla gridare. «E la sua storia – scrivono Giovanni Pozzi e Claudio Leonardi nell’antologia dedicata alle Scrittrici mistiche italiane – sarà, in questo senso, tutta una ‘pazzia’ interiore, cioè una coscienza mistica altissima, senz’altro la più alta di una donna italiana durante il Medioevo».
Morì a Foligno il 4 gennaio 1309. In Caterina da Siena si realizzò, scrivono ancora Pozzi e Leonardi, «l’esperienza di una straordinaria capacità di partecipazione: universalità dell’amore, totalità dell’allegrezza e della tristezza, senso di Dio e del nulla, compresenza di Dio e dell’uomo: Dio come perfetta giustizia oppure come piena misericordia, ma alla fine visto come ‘mare pacifico’ e l’uomo come il ‘pesce’ di questo mare». Un’universalità che ha il suo contrassegno definitivo nel motto con cui Caterina annunciò e accolse la sua morte, il 29 aprile 1380: «Sangue, sangue, sangue», dove «sangue sta per ciò che è fondamento di unità e di libertà, dando la vita a ogni vita». Quando morì, circondata da un vero cenacolo spirituale e politico, aveva solo trentatré anni, bruciata da un ardore profetico che l’aveva condotta in lungo e in largo per l’Italia e l’Europa, come la ‘fanciulla universale’ che i primi biografi riconoscono in lei. I suoi inizi non avrebbero mai lasciato prevedere simili esiti: nata da un tintore, penultima di venticinque figli, dovette lottare per vincere l’ostilità della famiglia alle sue severe ascesi e poi per superare, lei giovane analfabeta, il filtro di chi trascriveva le sue parole, con le quali costruiva una personalità e un cammino in tutto singolari, attraverso la conoscenza di Dio in sé e la conoscenza di sé in Dio: «Tu sei colui che non è. Io sono Colui che è. Se tu scorgi questa verità nella tua anima, il nemico non ti ingannerà: tu sfuggirai a tutti i suoi lacci». Maria Maddalena de’ Pazzi, fiorentina, aristocratica per nascita, si fece carmelitana nel luogo più appartato della città, il quartiere povero di San Frediano.
Come Angela e Caterina non scrisse, solo parlò, ma, diversamente da loro, non dettò per fissare nella scrittura il suo pensiero. Fu scritta da altri a sua insaputa. Durante le numerose e lunghissime estasi – nel 1584, diciottenne, subito dopo i voti ebbe estasi per quaranta giorni di seguito – parlava con un invisibile destinatario. Le sue compagne, con interminabile pazienza, raccoglievano le sue parole, formando un documento unico per la sua natura di totale e autentica oralità. Ignare di stenografia, avevano escogitato un modo ingegnoso: alcune di loro ripetevano ad alta voce le parole di Maddalena, altre le trascrivevano, poi facevano il montaggio delle parti, chiedendo alla veggente chiarimenti nei punti oscuri. La sua vita straordinaria, cui oggi dà rilievo il corpus degli scritti, passò quasi inosservata.
Tramandate attraverso le lettere, i diari, le autobiografie o sopravvissute in filigrana in testi di altri, le mistiche italiane sono un universo solo parzialmente esplorato, che dal Medioevo arriva fino a noi. A partire da Chiara d’Assisi, che condivise con san Francesco una drammatica e luminosa ‘uscita dal secolo’, o Umiltà da Faenza, fondatrice, nella Firenze del Duecento, di un monastero consacrato a Giovanni Evangelista, che le era apparso in una visione, e autrice di Sermoni percorsi da una violenza d’amore che ricorda Teresa di Lisieux, o Caterina Fieschi, nata nella Genova di metà Quattrocento, che nel suo itinerario arriva a cancellare l’’io’ e il ‘mio’, anche se riferito al Signore, fino a Veronica Giuliani, Rosa Brenti, Gemma Galgani, Lucia Mangano, Itala Mela. Cercatrici dell’impossibile che si staccano dal mondo, ma per avvicinarlo più profondamente, che fuggono per rendersi simili a Dio e nascere, più libere, nell’amore dell’Altro. Sperimentatrici che non chiedono di conoscere: chiedono di essere. Nelle possibilità impensate di un’esperienza spirituale aperta più all’intuizione che alla ragione sembrano raggiungere quegli spazi del divino che permettono di vedere senza vedere, di avere un corpo evanescente e un’anima carnale, e di celebrare la tenebra luminosa, la chiarezza più oscura, come si esprimeva Dionigi l’Areopagita, a cui la mistica deve, nel VI secolo, la sua definizione cristiana. Ma la mistica non è sentimentalismo; al contrario, è desiderio di superare, fino a estinguerle, tutte le vicissitudini delle sensazioni e dei sentimenti. È il rogo che brucia la psicologia per fare il vuoto e godere di una impossibile pienezza, nel fondo senza fondo dell’anima. Niente a che vedere con patetici abbandoni e languide estasi pittoriche, con fremiti e occasioni del cuore: nella solitudine delle mistiche il vento gelido dell’impossibile si scontra con l’ardente consapevolezza che la realtà è una, che Dio e uomo sono lo stesso.Amore è il termine della loro esperienza. Un amore che contiene e trascende tutti i termini che lo rappresentano: affetto, simpatia, sollecitudine, devozione, carità, eros. La conoscenza amorosa non è però teorica né astratta, ma sperimentale e piena di gusto. E le parole impossibili che tentano di descriverla – tanto più impossibili nell’esperienza univoca delle mistiche – non può che essere mobile e saporosa come il suo inafferrabile oggetto, se vuole essere vera. Quando scrivono, le mistiche incitano il pensiero a correre liberamente, al di là di preoccupazioni estetiche o compositive. Usano inevitabilmente il linguaggio della tradizione, ma lo alterano con irriverenza, rianimando generi abusati e antiche dottrine. Nelle lettere applicano senza disciplina il metodo del ‘meditare scrivendo’; nei dialoghi optano per una registrazione fedele dei colloqui dell’anima con Dio, o con se stessa.
La solennità dell’eloquio ecclesiastico si mescola con la vitalità del parlato quotidiano, dando vita a una prosa di volta in volta robusta o prolissa, ignara di ornato. «Mi pareva di non essere più quella – scrive nelle Lettere Maria Cecilia Baij, vissuta nella prima metà del Settecento, benedettina a Montefiascone, cantante, cembalista, assalita da apparizioni apocalittiche –: vedevo in me stessa l’immagine di Gesù, tanto risplendente e chiara che non saprei in che modo darla a intendere. Ero io, eppure non ero io, perché era Gesù in me e unito a me in modo che eravamo un’istessa cosa… Sentivo in me una pienezza totale di tutto ciò che possa godersi e bramarsi… Non so meglio spiegarmi».

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Spot involontario

Posté par atempodiblog le 14 janvier 2009

La pubblicità atea sui bus spot involontario per la fede
di Michele Brambilla – Il Giornale

Al giornalista de La Stampa che le ha chiesto se non pensa che qualche genovese potrebbe sentirsi offeso dalla pubblicità atea sugli autobus della città, il sindaco Marta Vincenzi ha risposto «Si può sempre salire sul bus successivo», e in questa battuta c’è tutta la sciatteria e l’incoscienza con la quale il nostro mondo «illuminato» sta affrontando la questione religiosa, e più in generale la questione delle nostre radici, della nostra tradizione, della nostra cultura. Si ritiene del tutto ininfluente che di fronte alle nostre cattedrali si preghi come alla Mecca; che la festa del Natale venga cancellata nelle scuole e negli asili; che nei presepi compaiano moschee o le natiche di una pornostar. Tanto, «di Dio non hai bisogno», come recita la pubblicità che comparirà sui bus genovesi.

La storia si è già incaricata di smentire. E non solo perché – come qualsiasi antropologo può confermare – ogni civiltà di ogni tempo e di ogni luogo ha sempre sentito il bisogno di interrogarsi su Qualcosa che la trascende; ma anche perché c’è stato, e non tanto tempo fa, un sistema politico che ha cercato di estirpare il senso religioso e di creare un «uomo nuovo» finalmente liberato dalle «vecchie superstizioni», e le macerie lasciate dall’impero sovietico sono lì a dimostrare com’è finita.

Non credo che alla campagna scattata con singolare sincronia in diverse città del mondo (Washington, Londra, Barcellona, Genova e presto, forse, anche Roma) la Chiesa debba reagire con toni da crociata. Anzi, penso che faccia bene a reagire con un sorriso di compatimento. In fondo, pagliacciate di questo tipo sono destinate a confortare il credente nella sua fede. Aveva ragione Pascal quando diceva che le ragioni degli atei lo convincono dell’esistenza di Dio più che le ragioni dei credenti. Quale «ragionevolezza» c’è, infatti, nel proselitismo ateista? Se uno è convinto che Dio non c’è, perché dovrebbe affannarsi tanto nel cercare di convincere gli altri della sua stessa idea? Si goda la vita senza perdere troppo tempo, vistoche la vitaè breve, anzi è un soffio come dice la Bibbia, e come l’esperienza conferma.

E proprio questo è scritto sui bus di Barcellona: «Dio non esiste, quindi non preoccuparti e goditi la vita». Paradossalmente, questa esortazione fa cadere la maggiore obiezione che viene posta ai credenti, e cioè che ci si aggrappa all’idea di un Dio per cercare una consolazione. Si crederebbe, insomma, perché fa comodo credere. La pubblicità dei militanti ateisti di mezzo mondo ci fa invece capire, al contrario, che credere è scomodo perché pone Qualcuno e una Legge Morale sopra di noi, e quindi non ci fa sentire totalmente liberi di fare ciò che vogliamo, non ci permette appunto di «goderci la vita». La campagna sui bus ci dimostra insomma che, se è vero che molti vorrebbero credere ma non ci riescono, e per questa assenza provano angoscia, molti altri preferirebbero, e di gran lunga, un cielo vuoto per farsi una morale a proprio uso e consumo. «Se Dio non esiste, tutto è permesso», dice Ivan Karamazov. In un periodo in cui anche tanti preti sono spesso tentati di parlare solo di questioni terrene (la pace,la solidarietà, la crisi economica, l’inquinamento) la campagna ateistica dei pullman arriva quasi provvidenziale, riporta la discussione al nocciolo: Dio esiste oppure no? Ed è provvidenziale pure che, come ai tempi di Pascal, le ragioni di chi nega siano affidate a protagonisti tanto fragili, come a quella Uaar (Unione atei agnostici e razionalisti) di cui è presidente onorario Odifreddi, il matematico di Cuneo che i genitori chiamarono Piergiorgio in onore del beato Frassati, che studiò in seminario per diventare prete, ma che poi cambiò progetto di vita e ora dice (testualmente) che solo un cretino può essere cristiano.

Quante prese di posizione si spiegano più con la psicologia che con la teologia. La Chiesa lo sa, e fa bene a non prendere troppo sul serio l’apostolato al contrario dei mezzi pubblici. Resta la sciatteria di cui dicevamo, quella di un mondo occidentale che sembra aver deciso di chiudere i conti con il cristianesimo, e che crede che a tale scopo tutto faccia brodo,dallepubblicità degliatei all’avanzata dell’islam, considerato alleato strategico contro ilnemicostorico, la Chiesa. Si accorgeranno presto di quanto un musulmano possa apprezzare un autobus che nega quel Dio che, secondo l’islam, solo un pazzo non riconosce nel sole che sorge a mezzogiorno. A differenza dei cristiani, per i quali la fede è una grazia, e che anche per questo sono molto più «laici» nei confronti di chi non crede.

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L’irrigidirsi dei piccoli principi morali

Posté par atempodiblog le 9 janvier 2009

L'irrigidirsi dei piccoli principi morali dans Citazioni, frasi e pensieri chesterton

“Se c’è qualcosa di peggio dell’odierno indebolirsi dei grandi principi morali, è l’odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali”.

-Gilbert Keith Chesterton-

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Essere sale

Posté par atempodiblog le 8 janvier 2009

Essere sale dans Citazioni, frasi e pensieri saleai5

«Il Signore non ci ha detto di essere miele della terra, ma il sale. Certo, il sale brucia sulle ferite, ma impedisce loro di andare in cancrena. Il problema è che oggi molti cristiani hanno la smania di essere miele, e lasciano il mondo andare in rovina».

Georges Bernanos – Diario di un curato di campagna

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