La cometa su Napoli
Posté par atempodiblog le 5 décembre 2008
Tradizione
La cometa su Napoli
La storia del presepe napoletano. Che nel Settecento vide il massimo fulgore, coinvolgendo scultori importanti, artisti, abilissimi artigiani e tutto il popolo. Una risposta cattolica al protestantesimo e al razionalismo illuministico
di Eugenio Russomanno - Tracce.it
Il presepio, analogamente al teatro, è teso a rendere attuale e reale un avvenimento, o meglio l’Avvenimento. Questa era probabilmente l’intenzione di san Francesco, quando nella notte del Natale del 1223 a Greccio dispose una mangiatoia con il fieno (la parola latina praesepium o praesepe, significa “mangiatoia”), vi fece condurre un bue e un asino e davanti a essa fece celebrare la messa. «Avvertiti dal suono delle campane accorsero dalla valle pastori e cittadini, così che quasi per miracolo, nella cornice naturale dei monti, sembrò agli astanti di rivivere lo straordinario evento di tanti secoli addietro», ha osservato lo scrittore napoletano Michele Prisco.
La diffusione del costume del presepio avvenne per opera dei Francescani e dei Domenicani. Nella seconda metà del ’400 dalla Toscana il presepio si propagò nel reame di Napoli: è del 1484 l’importantissimo presepio napoletano di San Giovanni a Carbonara, realizzato da Pietro e Giovanni Alemanno, lombardi. Il Rinascimento napoletano avrebbe donato alla storia del presepio il contributo di insigni scultori: Giovanni da Nola e Antonio Rossellino realizzarono presepi lignei policromi e presepi in marmo. Fin da quell’epoca a Napoli le composizioni presepiali si accentrano intorno a un monte, con la grotta della Natività, con i pastori, con la cavalcata dei Magi sul monte.
L’opera dei Gesuiti
Nella prima metà del XVI secolo giunse a Napoli san Gaetano da Thiene, il fondatore dei Teatini: ebbe il culto della rappresentazione del mistero della Natività e incrementò l’arte del presepio a Napoli. Forse proprio san Gaetano introdusse tra le statue del presepio quelle abbigliate secondo la moda, secondo i costumi popolari del tempo e del luogo: un modo, un “metodo” per rendere vivo, attuale e familiare l’avvenimento della Natività. Il Concilio di Trento (1545-1563) favorì la diffusione del presepio quale espressione della religiosità popolare. Per opera dei Gesuiti il presepio divenne strumento didattico per l’evangelizzazione dei popoli: il presepio, cattolico e mediterraneo, fu contrapposto all’albero di Natale, protestante e nordico, voluto da Martin Lutero.
Nei secoli XVII e XVIII l’arte presepiale raggiunse a Napoli il massimo splendore. Nel Seicento e soprattutto nel Settecento, proprio mentre il materialismo e il razionalismo illuministici cercavano di distruggere l’esperienza cristiana, il presepio napoletano documentava, con intenso verismo e sfoggio di fantasia, l’avvenimento della nascita del Salvatore connesso agli aspetti più vivaci della realtà popolare e quotidiana; sinonimo di calore umano e di casalinga sacralità, occasione, sovente, di spettacolari composizioni scenografiche. Il periodo natalizio divenne uno spazio interamente dedicato alla costruzione e alla visita dei presepi nelle chiese, nelle case e nei palazzi: vera e propria «pazzia collettiva della Napoli settecentesca». Il presepio si presentava diviso in tre scene principali, derivate dai Vangeli: la Natività nella grotta, l’Annunciazione ai pastori e la scena del diversorium o taverna. La processione dei Magi divenne in seguito scena a sé stante. La taverna, che traeva origine dal racconto evangelico, divenne occasione per una minuziosa e caratteristica descrizione della vita napoletana in quel periodo. «La Terra Santa si era trasformata in uno spaccato della Campania» (Di Palma).
I figurari
La tecnica di costruzione e modellatura dei pastori raggiunse la perfezione: pittori, scultori, architetti, scenografi, sarti e musicisti collaboravano alla realizzazione del presepio. Schiere di abilissimi artigiani attendevano all’esecuzione delle figure, intagliate in legno, con testine modellate in creta e di tutta la minuscola suppellettile necessaria ai personaggi (vestiti, oreficeria, mobilio). La scultura napoletana del Settecento trovò nell’arte presepiale la sua espressione più felice: scultori famosi, i figurarum sculptores, oggi denominati “figurari”, i Bottiglieri, i Sammartino, i Celebrano realizzarono il celebre presepio Cuciniello e altri straordinari gruppi presepiali, oggi custoditi nel Museo di San Martino a Napoli, nella Reggia di Caserta, in importanti musei a Monaco e a Berlino e presso famose collezioni private.
«Ed ecco l’ottobrata, che sembra materializzare nei suoi colori violacei i fermenti del mosto, e il mercatino con la sua folla ciarliera, il pascolo e l’osteria, l’annunzio ai pastori dai volti dilatati in un’espressione di stupore e d’attesa, e il trionfo della nascita con la gloria degli angeli penduli sulla grotta. E poi le mille e una curiosità: gli scrigni dei Re Magi, le scimitarre e le pipe d’argento dei tartari, le coppe di terracotta, i servizi di vasellame; e le verdure: mazzi di cavoli, i broccoli cupi e ricciuti, le lattughe soffici e spumose, i peperoncini appuntiti come tanti cornetti portafortuna, le melanzane oblunghe e lucide, le “inferte” di pomodori e cipolle; e la frutta: pile di pesche e pere e grappoli d’uva, un vero paese di Bengodi (ma si sa che con l’incarnazione del Verbo tutta la natura fiorì), e ceste di pesce dalle scaglie argentate, collane di salsicce, i quarti di bue o di maiale sventrati e sanguinolenti. E gli animali: i cavalli dai possenti fianchi, le pecore dal vello lanoso che sembra quasi sollevarsi nel soffio del respiro, i cani dal pelo fitto, le galline dalle penne arruffate: tutti lavorati con pazienza e perizia e par quasi di vedere il divertito sorriso dell’artista mentre li creava» (Prisco).
L’impeto missionario della Chiesa, la passione di Carlo III di Borbone e poi del figlio Ferdinando IV per il presepio, il concorso di grandi artisti e abilissimi artigiani, la partecipazione laboriosa del vivace popolo napoletano avrebbero favorito lo sviluppo di questa grande forma di espressione popolare, religiosa (o per meglio dire cristiana) e artistica, nella Napoli spagnola e borbonica.
Regie fabbriche
La missione della Chiesa, il desiderio di portare la buona notizia della Natività, soprattutto nella fervida propaganda di un popolarissimo sacerdote, padre Rocco, entusiastico sostenitore dell’arte del presepio, giovò a diffondere il costume della fabbricazione dei presepi a Napoli. Carlo di Borbone, di vivo sentimento cristiano, amante delle arti e soprattutto delle forme artigianali, ne favorì lo sviluppo. Le Regie Fabbriche di San Leucio a Caserta preparavano i tessuti, la Regina e le dame di corte lavoravano a confezionare vestitini e a ricamare stoffe, ricorrendo a sete, damaschi, trine dorate, bottoni, bordature e altri oggetti. Il popolo, nella sua atavica passione per il pittoresco e nel radicato sentimento cristiano, si dedicò ben volentieri all’arte presepiale. Fiorì dunque «tutto un artigianato specializzato dalla scenografia ai vestiti, alle minuscole gioiellerie, alla modellazione dei personaggi, degli animali e degli oggetti infinitamente vari ospitati nei numerosi angoli pittoreschi della scena del presepe» (Mariani), «tutto un artigianato di gioiellieri, orefici, costruttori di strumenti musicali, ceramisti, ceroplasti, intagliatori, che si dedicavano, con una pazienza da certosini e con un sentimento del vero che sbalordisce, a riprodurre in proporzioni minuscole la vita di un popolo» (Catello).
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