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La prima condanna a morte repubblicana?

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

Diventa definitivo il decreto della Corte di Appello di Milano che autorizza a sospendere l’ alimentazione artificiale che tiene in vita Eluana Englaro.
E’ la conseguenza della sentenza della Cassazione che oggi ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Milano contro il provvedimento del luglio scorso.

Tratta da: ANSA.it

*****

SIGNORI GIUDICI, PENSATECI AVREMO  LA PRIMA CONDANNA A MORTE REPUBBLICANA?
di Davide Rondoni – Avvenire

Ai Signori Giudici chiediamo solo una cosa: non dateci una condanna a morte. La prima condanna a morte dell’Italia repubblicana. Un genere di condanna che l’Italia ripudia – vantandosene dinanzi al mondo – e che mai nessun motivo di rivalsa, di odio, di giustizialismo ha introdotto sarà invece inaugurata in nome di una malintesa idea di pietà? È quasi sempre in nome del bene che gli uomini compiono qualcosa di oscuramente cattivo. Se la Corte darà il via libera alla volontà del padre di staccare l’alimentazione per Eluana e se egli troverà qualche centro medico disposto a farlo, avrà luogo l’esecuzione e l’inizio della pubblica estenuante agonia. 
Ai Signori della Corte chiediamo di considerare tutto questo: a una ragazza inerme, che non può né esprimere né difendere le sue reali, attuali volontà, si cesserà di dare alimento. A una ragazza, avvolta sì in un silenzio misterioso, ma non arida dentro, tanto da affrontare un’estenuante emorragia come le è capitato alcune settimane fa, si vorrebbe ora dare quella morte da cui ella con le sue sole forze si è invece tirata fuori. E questo perché qualcuno – a differenza di altri – non sopporta più questa dura, triste condizione. Il padre in coscienza ha voluto combattere questa strana battaglia perché sua figlia muoia. Non ce la faceva più. È comprensibile. Meno comprensibile l’accanirsi non perché le cure e la pazienza di altri sopportino la pena e le premure, bensì per la sua morte. Per toglierla di torno. Anche se non dà nessun fastidio, e già ci sono le voci di chi, come le suore che l’accudiscono, dice: la teniamo noi. Il problema, ora che i magistrati hanno scelto di occuparsi di questa faccenda, non è più, per così dire una drammatica faccenda privata tra il signor Englaro e sua figlia. È una faccenda di diritto. E il diritto italiano non contempla la condanna a morte. Per nessuno. Neppure per chi compie la strage o lo stupro più efferato. Vogliamo cominciare da una ragazza?
 
Il dilemma ora è: uno può chiedere e ottenere che un altro muoia? A meno che non si consideri Eluana già morta. Pensate a lei così, Signori della Corte? La medicina, secondo i protocolli internazionali, non classifica Eluana tra i morti. E nemmeno tra coloro che sono tenuti in vita con inutile accanimento. Voi la condannerete a morte? O la considererete come già morta? E siete certi che la sue condizioni siano davvero ‘irreversibili’, come lo stesso Pg della Cassazione ieri è sembrato chiedervi?

Bisognerà dunque avvisare tutti coloro che hanno parenti e amici in condizioni simili, e non sono pochi. Dire a loro: la Suprema Corte li considera
già morti, o condannabili. Il nostro è un appello senza potere e senza alcun velo politico. Abbiamo solo voglia che in Italia non si condanni a morte alcuno. Tanto meno una ragazza inerme. Nel tenerla in vita, secondo le condizioni che il destino ha misteriosamente riservato a lei, non si fa torto a nessuno. Nemmeno a lei, poiché nessuno può comunque arrogarsi il diritto di interpretare ora la volontà di Eluana . Le persone cambiano. La vita, lo sappiamo, ci modella, a volte radicalmente. Ma se si dà il via libera alla esecuzione allora si stabilisce che in Italia, a determinate condizioni, c’è la pena di morte. E che tali condizioni non sono d’esser assassini o stupratori, o terroristi. Ma la condizione è d’esser inerme, ‘inutile’, insopportabile, e nelle mani degli altri. Io non credo che i Signori della Corte siano favorevoli alla pena di morte. Non lo voglio credere. Magari lasciassero sospesa la vicenda, incalzando piuttosto il Parlamento a fare leggi chiare, a cui tutti attenersi e non variabili da giudice a giudice, da medico a medico. Non si sta ‘solamente’ discutendo di una ragazza, a cui certo tutti auguriamo un corso sereno del suo oscuro destino, ma di un caso le cui conseguenze varranno per tutti. Il suo povero corpo, la sua persona, che sembrano valere più niente, secondo la visione di chi la vede già come morta, potrebbero essere invece quelli di un’incredibile eroina. L’ultima muta barriera, la estrema insurrezione contro una strana volontà di introdurre nella nostra già feritissima Italia l’uso della condanna a morte.

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L’avventura dei ricci

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

L'avventura dei ricci dans Don Bruno Ferrero ricciin2

Un’estate, una famiglia di ricci venne ad abitare nella foresta. Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi. Poi correvano nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mosche per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane. Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno. Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po’ più fredde, dormivano sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo. Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie. I ricci tremavano tutto il giorno, e la notte non potevano chiudere occhio, tanto avevano freddo.
Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all’altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe. Timidamente, si avvicinarono ancora, ma di nuovo si punsero il muso. E tutte le volte che uno correva verso l’altro, capitava la stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini: gli uccelli si tenevano caldo uno con l’altro, così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.
Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accostarono l’uno all’altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.

Dovrebbe esistere anche un « Decalogo della tenerezza ».
Potrebbe essere, più o meno, così:
1. Poiché la tenerezza è possibile, non c’è nessuna ragione per starne senza.
2. Parlatevi un po’ ogni giorno.
3. Crescete insieme, continuamente.
4. Stimati. Gli unici che apprezzano uno zerbino sono quelli che hanno le scarpe sporche.
5. Sii compassionevole.
6. Sii gentile. L’amore non ammette le cattive maniere.
7. Scopri il lato buono e bello delle persone, anche quando fanno di tutto per nasconderlo.
8. Non temere i dissapori e i litigi: solo i morti e gli indifferenti non litigano mai.
9. Non farti coinvolgere dalle piccole irritazioni e meschinità quotidiane.
10. Continua a ridere. Tiene in esercizio il cuore e protegge da disturbi cardiaci.

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

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Non c’è più irreligione

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

NON C’E’ PIU’ IRRELIGIONE
di Antonio Socci – @ Libero

Non c'è più irreligione dans Antonio Socci antoniosocci

“Dawkins: ho perso la battaglia per l’ateismo”. “Il sacerdote del’ateismo: ho fallito”.
Questi due titoli del Corriere della sera (7/11) rilanciavano le dichiarazioni al Guardian del famoso ateo militante Richard Dawkins.
Sebbene chi lo intervistava lo confortasse con notizie d’irreligione montante, il professore di Oxford, sconsolato, vede “una maggiore influenza della religione”.
Aveva scritto un libro, “L’illusione di Dio”, che ha venduto un mare di copie, con “lo scopo dichiarato di ‘convertire’ i lettori all’ ateismo”, e ora, a consuntivo, Dawkins “ammette di aver fallito”.
Qualcuno ritiene addirittura che abbia finito per portare acqua al mulino dei “nemici”.

FAMOLO STRANO
La campagna ateistica lanciata sugli autobus di Londra per esempio è stata ideata da Ariane Sherine proprio con l’appoggio di Dawkins.
Ecco lo slogan: “Probabilmente Dio non esiste, smettete quindi di preoccuparvi e godetevi la vita”.
Probabilmente? E’ difficile immaginare un’idea più controproducente.
Innanzitutto da atei militanti, che pretendono di convincere gli altri, si esige che proclamino con certezza che Dio non esiste. Se neanche loro ne sono sicuri, chi pretendono di convincere?
Chiunque ricordi la celebre “scommessa” di Pascal (un genio della matematica e del calcolo, oltreché grande pensatore cristiano) sa che quel “probabilmente” basta ed avanza per scommettere sull’esistenza di Dio. E’ assai più conveniente.
In pratica lo slogan è un clamoroso autogol. Anzi due. Perché, in qualche modo, dà ragione a chi – con Dostoevskij – afferma “se Dio non c’è tutto è permesso”.
Tesi aborrita proprio dal pensiero laico che rivendica un suo codice morale.

Fanatismo
Stando a quello slogan, chi è certo che Dio non esiste e ne è ben felice, se la dovrebbe spassare. Non dovrebbe certo consumare i suoi anni in una faticosa propaganda dell’ateismo. Anche perché ritiene ovvio che Dio è una favola. Nessuno spreca i suoi giorni per convincere gli altri che i draghi non esistono.
Dawkins dovrebbe essere il primo ad applicare lo slogan che stava scritto sui bus di Londra: “Godetevi la vita”.
Invece ha dedicato l’esistenza a quella missione, si è fatto in quattro, con uno zelo che rasenta il fanatismo.
Russel Stannard, un fisico che si è occupato di rapporti fra scienza e Dio, intervistandolo, anni fa, nel libro “La scienza e i miracoli”, si diceva incuriosito dalla strenua lotta di Dawkins.
Sembra ossessionato da Dio. Ha versato fiumi di inchiostro. E’ uno degli intellettuali che più pensa a Dio. Ricorda un tipo del romanzo di Graham Greene, “La fine dell’avventura”.
Costui stava sempre ad Hyde Park a comiziare contro il cristianesimo, con un tale impegno che la protagonista del romanzo, Sara, da sempre agnostica, sentendolo tuonare di continuo, cominciò a porsi seriamente la domanda su Dio perché non si può odiare così il nulla.
Alla fine lei si converte e muore quasi in fama di santità.

Grande vecchio
Il padre dell’ateismo filosofico-scientifico moderno, quello a cui tutti si sono abbeverati, da mezzo secolo, è Antony Flew, 82 anni, grande carriera accademica alle spalle fra Oxford e gli Stati Uniti, che però, nel dicembre 2004, ad un convegno a New York, ha annunciato di essersi completamente sbagliato.
Alla luce delle ultime scoperte della biologia (specialmente il Dna) e della fisica dichiara di arrendersi all’evidenza razionale dell’esistenza di Dio.
Il grande vecchio ha pure spazzolato sonoramente i “rampolli” del’ateismo, come Dawkins.

Ma il suo eccezionale libro, peraltro godibilissimo, dove spiega i motivi di questa conversione, “There is God” (sottotitolo: “Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea”), un libro che ha fatto scalpore in America, da noi non esce. Perché?

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Gli animali in Paradiso?

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

Gli animali in Paradiso? dans Riflessioni santopadre

Padre Livio disse che gli animali vissuti qui, quando la Terra passerà, non spariranno ma dovrebbero esserci in un altro modo e che, forse, gli animali sono stati creati proprio perché guardandoli capissimo quanto siamo diversi da loro.
Durante le apparizioni mariane, se vi sono animali prestenti questi non vanno in estasi.
Per Padre Livio, infatti, la Madonna ha dato un segno a La Salette: il cane di Massimino (uno dei veggenti) era presente all’apparizione però dormiva, quindi si può dedurre che nella nuova creazione ci saranno anche loro ma non avranno come noi la capacità di Dio e saranno come “addormentati”, cioè non coscienti.
L’essere umano si differenzia dagli animali perché ha un’intelligenza che va oltre il limite della materia e ha una moralità che va oltre l’istinto.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica solo dell’uomo dice che è stato creato capace di Dio.

Giovanni Paolo II:
“Certamente, agli occhi di Dio noi siamo più importanti. Ciò che determina il valore dell’uomo è essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, il che si riflette nella sua natura di persona, nella capacità di conoscere il bene e di amarlo.
Proprio per questo motivo, l’uomo non può accettare che il suo essere spirituale sia subordinato a ciò che è inferiore nella gerarchia delle creature.”
Benedetto XVI:
“Mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano.”
Benedetto XVI (dall’UDIENZA GENERALE dell’ 11 gennaio 2006):
“Grande felicità per l’uomo, conoscere il proprio Creatore. In questo noi ci differenziamo dalle fiere e dagli altri animali, perché sappiamo di avere il nostro Creatore, mentre essi non lo sanno”. Vale la pena meditare un po’ queste parole di Origene, che vede la differenza fondamentale tra l’uomo e gli altri animali nel fatto che l’uomo è capace di conoscere Dio, il suo Creatore, che l’uomo è capace della verità, capace di una conoscenza che diventa relazione, amicizia”.

Il Papa, ancora, dice che non sono chiamati alla vita eterna e afferma il Catechismo « Si deve dunque far notare ai fedeli che la vita eterna significa non tanto la perpetuità della vita, alla quale partecipano anche i demoni e gli uomini cattivi, quanto la perpetuità della beatitudine, capace di soddisfare appieno il desiderio dei beati. », quindi è possibile che il Papa abbia voluto affermare che gli animali non potranno partecipare alla beatitudine, non che non ci saranno.

Tratto da Maria Valtorta, Il poema dell’Uomo-Dio, vol. 7° cap. 237: pag. 1856-1859 (cristiani.altervista.org):
Quando un animale è morto è insensibile perché con la morte, per esso, è la vera fine. Non c’è futuro per esso. Ma sinché è vivente soffre la fame, freddo, stanchezza, è soggetto a ferirsi e soffrire, a godere, ad amare, ad odiare, ad ammalarsi e morire. E l’uomo, in ricordo di Dio, che gli ha dato quel mezzo per rendergli meno aspro l’esilio sulla Terra, deve essere umano verso i suoi servi minori che sono gli animali. Nel Libro mosaico non è forse prescritto di avere sensi di umanità anche per gli animali, volatili o quadrupedi che siano?
In verità vi dico che bisogna saper vedere con giustizia le opere del Creatore. Se si guardano con giustizia si vede che sono “buone”. E cosa buona va sempre amata. Si vede che sono cose date con fine buono e per impulso d’amore, e come tali le possiamo, le dobbiamo amare, vedendo, oltre l’essere finito, l’Essere Infinito che le ha create per noi. Si vede che sono utili, e come cose utili vanno amate. Nulla, ricordatevelo bene, è stato fatto senza scopo nell’Universo. Dio non sciupa la sua perfetta Potenza in inutili cose. Questo filo d’erba non è meno utile del tronco poderoso al quale si appoggia il nostro temporaneo rifugio. La stilla di rugiada, la piccola perla della brina, non sono meno utili dell’immenso mare. Il moscerino non è meno utile dell’elefante, e il verme che sta nel fango del fossato meno della balena. Nulla di inutile è nel Creato. Dio tutto ha fatto con fine buono, con amore per l’uomo. L’uomo deve usare tutto con retto fine e con amore per Dio che gli ha dato tutto quanto è sulla Terra, perché sia suddito al re del Creato.

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Mons. Maggiolini è tornato alla casa del Padre

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

Mons. Maggiolini è tornato alla casa del Padre dans Articoli di Giornali e News maggiolinijy7

In ricordo di Mons. Alessandro Maggiolini  (che è stato, tra le altre cose, l’unico Vescovo italiano che faceva parte del gruppo di esperti che hanno compilato il Catechismo della Chiesa Cattolica):

Il Sacramento della riconciliazione (per capire il suo spessore)
iconarrowti7 dans Articoli di Giornali e News http://www.radiomaria.it/archivio_audio/popup.php?id=1609&browser=0

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Prima del riposo notturno

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2008

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Preghiera a Maria Santissima
prima del riposo notturno


“O Vergine, si fa tardi,
tutto si addormenta sulla terra,
è l’ora del riposo: non abbandonarmi !
Metti la tua mano sui miei occhi
Come una buona madre.
Chiudili dolcemente alle cose di quaggiù.
L’anima mia è stanca di affanni e di tristezze,
la fatica che mi attende è qui a me vicina.
Metti la tua mano sulla mia fronte,
arresta il mio pensiero.
Dolce sarà il mio riposo,
se benedetto da te.
Perché domani il tuo povero figlio
Si desti più forte
E riprenda allegramente
Il peso del nuovo giorno.
Metti la tua mano sul mio cuore.
Lui solo vegli sempre e
Ridica al suo Dio
Un amore eterno.”

P. Claude Wittock

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« Quando crederai il mondo abbandonato… »

Posté par atempodiblog le 11 novembre 2008

Gesù all’anima:
« Quando crederai il mondo abbandonato ai prepotenti e ai tiranni, e tutto schierato contro la Chiesa, allora sappi che il trono del mostro è minato e che si dissolve in un baleno per una pietruzza dal monte che lo percuote. Lasciami fare perché io armonizzo la libertà e le esigenze della divina gloria, e lascio il corso agli uomini cattivi per poi trarne la divina gloria. Anche nel piccolo lo vedrai, perché certi violenti spariranno dalla sera al mattino e le famiglie riacquisteranno la pace e la prosperità.
Adora Dio e lascia a Lui, che tutto vede e dispone e permette, la cura del pacifico ordine del mondo. Lasciati dunque portare anche tu dalle misteriose vie della sua Provvidenza e prega…
Oh la preghiera! Prega, prega, prega e sii certo di operare pregando, perché la più potente della azioni è la preghiera ».

Da uno scritto del Sacerdote Dolindo Ruotolo

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Il santo che contraddice

Posté par atempodiblog le 11 novembre 2008

Il santo che contraddice dans Citazioni, frasi e pensieri chestertonvu7

« Ancora ogni generazione cerca per istinto il suo santo. Ed egli è non ciò che la gente vuole, ma piuttosto colui del quale la gente ha bisogno (…). Da ciò il paradosso della storia che ciascuna generazione è convertita dal santo che la contraddice maggiormente ».

-Gilbert Keith Chesterton-

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Il bisogno di essere perdonati

Posté par atempodiblog le 11 novembre 2008

Il bisogno di essere perdonati dans Antonio Socci antoniosocciff4

[...]  il Papa parlava dei santi come peccatori (come noi) rinati dal “perdono”. Di peccati e peccatori è pieno il mondo: siamo noi. La Chiesa ha proclamato solennemente al Concilio di Trento che – con la sola eccezione di Maria – nessuno “può evitare nella sua vita intera ogni peccato, anche veniale”. In soldoni: ogni uomo pecca. Anche i santi.

Non solo quelli come S. Agostino d’Ippona, padre della Chiesa, che sul racconto della sua vita da peccatore, poi redento, ha scritto un capolavoro di tutti i tempi, Le Confessioni. E non si tratta solo dei peccati della loro vita precedente (Francesco d’Assisi e san Paolo si sentivano per questo i più grandi peccatori). Ma anche i peccati dopo la conversione. Lo ha ripetuto il papa descrivendo gli amici-collaboratori di san Paolo: Barnaba, Silvano e Apollo. Ha raccontato la loro grande avventura missionaria, ma anche le liti fra loro. E ha concluso: “Quindi anche tra i santi ci sono contrasti, discordie, controversie. E questo a me appare molto consolante, perché vediamo che i santi non sono ‘caduti dal cielo’. Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono”.

Poi – per sottolineare il messaggio che intende mandarci – Benedetto XVI ha ribadito: “Non è quindi il non aver mai sbagliato, ma la capacità di riconciliazione e di perdono che ci fa santi”. E’ facile capire il motivo di questa insistenza. Papa Ratzinger sta tentando da mesi di confutare tutte le false idee del cristianesimo che i mass media e la mentalità dominante diffondono. Una, la più insidiosa, è quella moralista secondo cui il connotato della vita cristiana sarebbe la “coerenza”. Ma il cristianesimo non è affatto questo “non sbagliare” (che non è umano e non è possibile all’uomo senza la grazia). Il cristianesimo è semmai essere innamorati di Cristo, appartenergli. E quindi la disponibilità continua, indomabile, di ogni giorno e ogni ora a chiedergli perdono del proprio limite, del proprio peccato. Il santo – dice il Papa – non è un uomo “coerente”, ma è un uomo commosso dall’essere continuamente perdonato e riportato in vita da Cristo. Don Divo Barsotti, una grande intelligenza cristiana, nel suo libro su Dostoevskij – il più grande romanziere cristiano di tutti i tempi – scrive: “la creazione più alta in cui si incarna, nei romanzi di Dostoevskij, la santità è paradossalmente una prostituta. Nemmeno Zosima (il monaco staretz dei ‘Fratelli Karamazov’, ndr) vive una viva comunione con Dio personale come Sonja in ‘Delitto e castigo’… La religione di Sonja è adesione di tutto il suo essere a Cristo. Essa crede in Dio, nel Dio vivente e vive un rapporto con Dio di umile e confidente abbandono”.

La consapevolezza della sua orribile condizione di peccato, cui è stata costretta dalle circostanze, non scalfisce la totale fiducia di Sonja nella bontà di Dio, ma la rende umilissima e compassionevole verso tutti. La sua confessione fa venire il groppo in gola: “è vero, non c’è motivo di avere pietà di me, bisogna crocifiggermi, non già conpiangermi… Ma colui che ebbe pietà di me, ma colui che ebbe pietà di tutti gli uomini, colui che comprese tutto avrà certamente pietà di noi. E’ l’unico giudice che esista. Egli verrà nell’ultimo giorno e domanderà: ‘Dov’è la figliola che si è sacrificata per una matrigna astiosa e tisica e per dei bambini che non sono i suoi fratelli? Dov’è la figliola che ebbe pietà del suo padre terrestre e non respinse con orrore quell’ignobile beone?’. Ed Egli dirà: ‘Vieni, ti ho già perdonato una volta e ancora ti perdono tutti i tuoi peccati, perché hai molto amato’. Così Egli perdonerà alla sua Sonja, le perdonerà, io lo so… Tutti saranno giudicati da Lui ed Egli perdonerà a tutti, ai buoni e ai malvagi, ai savi e ai miti. E quando avrà finito di perdonare agli altri perdonerà anche a noi. ‘Avvicinatevi voi pure’, ci dirà, ‘venite ubriaconi; venite viziosi; venite lussuriosi’. E noi ci avvicineremo a Lui, tutti, senza timore, e ci dirà ancora: ‘Siete porci, siete uguali alle bestie, ma venite lo stesso’. E i saggi, gli intelligenti, diranno: ‘Signore, perché accogli costoro?’. Ed Egli risponderà: ‘Io li accolgo, o savi e intelligenti, perché nessuno di loro si credette degno di questo favore’, e ci tenderà le braccia e noi ci precipiteremo sul suo seno e piangeremo dirottamente e capiremo tutto. Allora tutto sarà compreso da tutti e anche Katerina Ivanovna comprenderà, anche lei. O Signore, venga il Tuo Regno’ ”.

Questa pagina struggente (mi scuso per la lunga citazione) riecheggia il Vangelo. Gesù va incontro ai peccatori e ha misericordia di loro. Farisei e benpensanti scatenano una polemica contro di lui e lui li scandalizza ancor più dicendo loro: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio” (Mt 21, 31). Gesù non intende certo fare l’elogio del meretricio e della criminalità (il male provoca sofferenza e infelicità e va espiato). Ma Gesù vuole far capire ai benpensanti che non esistono “uomini perbene”, uomini che non abbiano bisogno del suo perdono per rinascere, e che i peccatori – che se ne sentono indegni e si confessano disgraziati – sono i più vicini al cuore di Dio, che è un Padre misericordioso.

E’ il paradosso cristiano. Un grande convertito come Charles Péguy lo diceva provocatoriamente: “Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia… Ciò che si chiama ‘la morale’ è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia opera sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”.

Paradossalmente il peccato – che è un insulto a Dio e che rende profondamente infelici e insicuri – è una ferita da cui la grazia entra più facilmente rispetto alla corazza della presunzione perbenista è [...]. I mass media laici – a cui non piace la parola peccato – sono di solito ancora più scandalizzati per quell’altra parola: “perdono” [...]. Forse perché il “perdono” è seducente per gli esseri umani ancor più del “peccato”. Infatti il “perdono” rivela il cuore profondo di Dio che tutti noi cerchiamo, spesso inconsapevoli, brancolando nel buio.

di Antonio Socci – “Libero”

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Mane nobiscum, Domine!

Posté par atempodiblog le 10 novembre 2008

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Come i due discepoli del Vangelo,
ti imploriamo,
Signore Gesù: rimani con noi!

Tu, divino Viandante,
esperto delle nostre strade e conoscitore del nostro cuore,
non lasciarci prigionieri delle ombre della sera.

Sostienici nella stanchezza,
perdona i nostri peccati,
orienta i nostri passi sulla via del bene.

Benedici i bambini,
i giovani, gli anziani,
le famiglie, in particolare i malati.
Benedici i sacerdoti e le persone consacrate.
Benedici tutta l’umanità.

Nell’Eucaristia ti sei fatto « farmaco d’immortalità »:
dacci il gusto di una vita piena,
che ci faccia camminare su questa terra come pellegrini fiduciosi e gioiosi,
guardando sempre al traguardo della vita che non ha fine.

Rimani con noi, Signore! Rimani con noi!

Amen.

di Giovanni Paolo II

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Quelli che non si vergognano…

Posté par atempodiblog le 10 novembre 2008

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« Non ti arrossire di Cristo e della sua dottrina ».

San Padre Pio da Pietrelcina

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A coloro che si sentono falliti

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2008

« Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo » (Col 1,24)

Questa lettera la scrivo un po’ anche a me. Sono convinto, infatti, che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all’alba abbiamo visto svanire…

Io, per esempio, mi figuravo una splendida carriera. Volevo diventare santo. Cullavo l’idea di passare l’esistenza tra i poveri in terre lontane, aiutando la gente a vivere meglio, annunciando il Vangelo senza sconti, e testimoniando coraggiosamente il Signore Risorto. Ora capisco che in questo sogno eroico forse c’entrava più l’amore verso me stesso che l’amore verso Gesù. Comprendo, insomma, che in quegli slanci lontani della mia giovinezza la voglia di emergere prevaleva sul bisogno di lasciarmi sommergere dalla tenerezza di Dio.

E’ il difetto di quasi tutti i sogni irrealizzati: quello di partire con un certo tasso di orgoglio. E il mio non ne era indenne. Ciò non toglie, però, ritrovandomi oggi in fatto di santità neppure ai livelli del mezzobusto, mi senta nell’anima una grande amarezza. I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me, sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l’hanno fatta a raggiungere neppure gli standard sui quali « normalmente » scorre una esistenza che voglia dirsi realizzata.

Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e, immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto di « brillante carriera » per un distacco irreversibile della retina.

Ugo, ragazzo prodigio fino alla maturità classica che si è insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a districarsene. Oggi ha quarant’anni, e sua moglie, ad ogni lite, gli rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo studio di un avvocato.

Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte all’Accademia Chigiana di Siena ha avuto decine di occasioni per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell’altro. Alla fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.

Lucia che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi non è partita perché i suoi l’hanno ostacolata. Ora margherite non ne sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da regalo.

Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della vita voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia della salvezza. A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire a uno a uno gli ideali accarezzati in gioventù. A voi che avete meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete rimasti al palo. A voi che non avete trovato mai spazio, e siete usciti da ogni graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti. A voi che una malattia, o una tragedia morale, o un incidente improvviso, o uno svincolo delicato dell’esistenza, hanno fatto dirottare imprevedibilmente sui binari morti dell’amarezza. A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.

A tutti voi voglio dire: volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!

La riuscita di una esistenza non si calcola con i fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l’applausometro delle platee, o con gli indici di gradimento delle folle.

Da quando l’Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell’impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell’atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n’è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell’antichità, il pregio della riuscita.

Non voglio sommergervi di consolazioni. Voglio solo immergervi nel mistero. Nella cui ottica una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre carreggiate mai divenute carriere, non soltanto inutili, ma costituiscono il fondo di quella Cassa deposito e prestiti che alimenta ancora oggi l’economia della salvezza.

A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!

Vostro don Tonino Bello

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La Casa Bianca che cambia

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2008

Su bioetica e famiglia incognite da chiarire
di Francesco Ognibene – Avvenire

Cambiamento, novità, svolta: la presidenza di Barack Obama inizia sotto auspici mediatici e politici che difficilmente si potrebbero immaginare più
incoraggianti per il neoeletto ma che, allo stesso tempo, suonano densi di rimandi a doveri proporzionali al diffuso ottimismo. Sulle spalle del 44° inquilino della Casa Bianca gravano infatti attese che valicano ampiamente i confini americani, ben espresse ieri mattina dal direttore della Sala stampa vaticana padre Federico Lombardi quando ha ricordato che «il compito del presidente degli Stati Uniti è di immensa e altissima responsabilità non solo per il suo Paese, ma per tutto il mondo». Un augurio, certo, ma anche un garbato promemoria: ogni passo calcato a Washington risuona per tutti, specie se a compierlo è un uomo al quale viene assegnato un credito di fiducia tanto vasto.
 
L’agenda del nuovo leader americano è irta di grandi temi, dalle aree dove la pace è sotto scacco alla crisi finanziaria globale. Parti integranti di questi nodi epocali sono diventate ormai le questioni connesse alla vita e alla morte, alla famiglia e al matrimonio, alla natura umana e alla dignità della persona, che interrogano in modo sempre più stringente Parlamenti e opinioni pubbliche. Americani in testa. Lo dimostrano i molti referendum – tra i 153 proposti in 39 Stati, insieme al voto presidenziale – dedicati a questioni etiche e familiari, chiusi con un esito altalenante e spesso al termine di un testa a testa: bocciati i quesiti che miravano a limitare il ricorso all’aborto, via libera al suicidio assistito (nello Stato di Washington), no alle nozze tra persone dello stesso sesso, sì alla ricerca sugli embrioni (nel Michigan). Nel sistema federale americano ogni Stato legifera per proprio conto, e le singole scelte hanno dunque un rilievo locale. È però indubbio che l’eco di una decisione presa dal presidente e dal Congresso nel campo della bioetica o della famiglia ha ormai un’immediata risonanza ben al di là dell’America. E in questo clima di attento interesse per vedere all’opera il nuovo leader è facile immaginare il risalto di ogni sua scelta su questioni di rilievo antropologico, con ipotizzabili ricadute anche nel dibattito sempre febbrile di casa nostra. 
Va detto che le idee espresse in materia da Obama in una interminabile campagna elettorale offrono più di un motivo di perplessità. È certo opportuno aspettare i passi ufficiali del nuovo presidente: sfidando dapprima Hillary Clinton e poi John McCain, il candidato afro-americano non ha risparmiato argomenti retorici per blandire ora l’una ora l’altra componente del suo elettorato. Ma ci sono temi sui quali molti suoi supporter – americani e non solo – scalpitano per toccare con mano la ‘svolta’, il ‘cambiamento’, ovvero la coerenza con gli annunci spesi tra comizi e interviste. A cominciare dalla cancellazione della ‘dottrina Bush’ sulle staminali, cioè il fermo divieto introdotto dal presidente repubblicano all’erogazione di fondi federali per la ricerca su embrioni umani. Un punto sul quale il leader uscente si è speso fino a opporre ben due volte il proprio veto su leggi già approvate dal Parlamento. Un approccio altrettanto ‘liberal’ è immaginabile anche sul fronte dell’aborto, tema nel quale Obama ha affermato di pensare a una legge sulla «libera scelta» che escluda ogni limitazione nei tempi e nelle motivazioni per poter ricorrere all’interruzione di gravidanza. Al capo opposto della vita, il candidato democratico ha dichiarato poi di considerare uno errore politico il proprio voto a favore della mozione con la quale nel marzo 2005 il Senato americano tentò di salvare Terri Schiavo dalla morte per fame e sete. E se si è detto personalmente contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso – fiutando l’aria poi confermata martedì in tre diversi referendum locali – ha incluso tra le discriminazioni da abbattere proprio quelle basate sugli orientamenti sessuali pronunciandosi per la difesa della libertà di scelta e lasciando intendere, anche solo a scopo elettorale, di non escludere nulla a priori.
 
Concetti che fanno parte di un programma forzatamente generico, parole spese per chiamare voti, insieme a molte altre in linea con la genuina tradizione americana, incluse ripetute ed esplicite evocazioni religiose.
 
Attendere Barack Obama all’esame dei fatti è quindi un dovere. Ma farlo con la consapevolezza delle idee di cui viene accreditato dai molti euforici obamiani di queste ore è indispensabile.

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Socialità ecclesiale

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2008

Socialità ecclesiale dans Fede, morale e teologia paolovicl1

Una rinnovata coscienza della nostra socialità ecclesiale [...] ci vieta di fomentare i difetti degli ambienti ristretti; le antipatie, le gelosie, le maldicenze, i dispetti, le contestazioni, le avversioni, le liti, che vegetano spesso anche nelle nostre comunità.

Paolo VI

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Crown of thorns

Posté par atempodiblog le 8 novembre 2008

Cristo coronato di spine

Crown of thorns - Danielle Rose

My seed was born
One bright spring morn
In gardens grown by God.
Out of the earth
My stem gave birth
To petals red as blood.

The gentile rain
My growth sustained,
And like each seed God sows,
I dreamed one day
That I’d be named
A king’s most precious rose.

One day a soldier
Bent me over,
Tore me from my bed.
All beaten, battered,
My stem tattered,
Wanted not but dead.

In cruel hands ripped,
My beauty stripped,
‘Twas not the dream I chose,
And filled with shame,
I wept in pain,
No more a precious rose.

Then did I see
The soldiers lead
A man through palace doors.
Was this my king?
Why did they bring him in,
This man so poor?

A purple garment
Hid the torment
None but I could see.
They mocked and laughed,
Gave him a staff,
And bowed on bended knee.

They bent me round
And wove a crown
And placed me on his head.
My petals found
Crushed on the ground,
Like tears of God turned red.

With each small sin
I was pressed in.
I pierced with self-disdain.
In thought and deed
I made him bleed,
My selfishness, his pain.

« Behold! » they’d sing,
« Behold your King!
Hail, King of the Jews! »
With each reed’s blow,
Our pain did grow,
As one we are abused.

Despite the crown
He did not frown;
He smiled with love instead,
And carried me
For all to see
Upon his tender head.

Once placed with awe
In manger straw,
Anointed by John’s hands,
Transfigured on
A mountain dawn,
Now wore a mangled branch.

Once gently kissed
By Mary’s lips,
And blessed with magi’s myrrh,
Baptized by
A parting sky,
Now streamed with blood so pure.

An innocent brow
Calls to us now
To follow this example:
To let our thorns
And all that scorns
Be healed within his temple.

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