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La prima condanna a morte repubblicana?

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

Diventa definitivo il decreto della Corte di Appello di Milano che autorizza a sospendere l’ alimentazione artificiale che tiene in vita Eluana Englaro.
E’ la conseguenza della sentenza della Cassazione che oggi ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Milano contro il provvedimento del luglio scorso.

Tratta da: ANSA.it

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SIGNORI GIUDICI, PENSATECI AVREMO  LA PRIMA CONDANNA A MORTE REPUBBLICANA?
di Davide Rondoni – Avvenire

Ai Signori Giudici chiediamo solo una cosa: non dateci una condanna a morte. La prima condanna a morte dell’Italia repubblicana. Un genere di condanna che l’Italia ripudia – vantandosene dinanzi al mondo – e che mai nessun motivo di rivalsa, di odio, di giustizialismo ha introdotto sarà invece inaugurata in nome di una malintesa idea di pietà? È quasi sempre in nome del bene che gli uomini compiono qualcosa di oscuramente cattivo. Se la Corte darà il via libera alla volontà del padre di staccare l’alimentazione per Eluana e se egli troverà qualche centro medico disposto a farlo, avrà luogo l’esecuzione e l’inizio della pubblica estenuante agonia. 
Ai Signori della Corte chiediamo di considerare tutto questo: a una ragazza inerme, che non può né esprimere né difendere le sue reali, attuali volontà, si cesserà di dare alimento. A una ragazza, avvolta sì in un silenzio misterioso, ma non arida dentro, tanto da affrontare un’estenuante emorragia come le è capitato alcune settimane fa, si vorrebbe ora dare quella morte da cui ella con le sue sole forze si è invece tirata fuori. E questo perché qualcuno – a differenza di altri – non sopporta più questa dura, triste condizione. Il padre in coscienza ha voluto combattere questa strana battaglia perché sua figlia muoia. Non ce la faceva più. È comprensibile. Meno comprensibile l’accanirsi non perché le cure e la pazienza di altri sopportino la pena e le premure, bensì per la sua morte. Per toglierla di torno. Anche se non dà nessun fastidio, e già ci sono le voci di chi, come le suore che l’accudiscono, dice: la teniamo noi. Il problema, ora che i magistrati hanno scelto di occuparsi di questa faccenda, non è più, per così dire una drammatica faccenda privata tra il signor Englaro e sua figlia. È una faccenda di diritto. E il diritto italiano non contempla la condanna a morte. Per nessuno. Neppure per chi compie la strage o lo stupro più efferato. Vogliamo cominciare da una ragazza?
 
Il dilemma ora è: uno può chiedere e ottenere che un altro muoia? A meno che non si consideri Eluana già morta. Pensate a lei così, Signori della Corte? La medicina, secondo i protocolli internazionali, non classifica Eluana tra i morti. E nemmeno tra coloro che sono tenuti in vita con inutile accanimento. Voi la condannerete a morte? O la considererete come già morta? E siete certi che la sue condizioni siano davvero ‘irreversibili’, come lo stesso Pg della Cassazione ieri è sembrato chiedervi?

Bisognerà dunque avvisare tutti coloro che hanno parenti e amici in condizioni simili, e non sono pochi. Dire a loro: la Suprema Corte li considera
già morti, o condannabili. Il nostro è un appello senza potere e senza alcun velo politico. Abbiamo solo voglia che in Italia non si condanni a morte alcuno. Tanto meno una ragazza inerme. Nel tenerla in vita, secondo le condizioni che il destino ha misteriosamente riservato a lei, non si fa torto a nessuno. Nemmeno a lei, poiché nessuno può comunque arrogarsi il diritto di interpretare ora la volontà di Eluana . Le persone cambiano. La vita, lo sappiamo, ci modella, a volte radicalmente. Ma se si dà il via libera alla esecuzione allora si stabilisce che in Italia, a determinate condizioni, c’è la pena di morte. E che tali condizioni non sono d’esser assassini o stupratori, o terroristi. Ma la condizione è d’esser inerme, ‘inutile’, insopportabile, e nelle mani degli altri. Io non credo che i Signori della Corte siano favorevoli alla pena di morte. Non lo voglio credere. Magari lasciassero sospesa la vicenda, incalzando piuttosto il Parlamento a fare leggi chiare, a cui tutti attenersi e non variabili da giudice a giudice, da medico a medico. Non si sta ‘solamente’ discutendo di una ragazza, a cui certo tutti auguriamo un corso sereno del suo oscuro destino, ma di un caso le cui conseguenze varranno per tutti. Il suo povero corpo, la sua persona, che sembrano valere più niente, secondo la visione di chi la vede già come morta, potrebbero essere invece quelli di un’incredibile eroina. L’ultima muta barriera, la estrema insurrezione contro una strana volontà di introdurre nella nostra già feritissima Italia l’uso della condanna a morte.

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L’avventura dei ricci

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

L'avventura dei ricci dans Don Bruno Ferrero ricciin2

Un’estate, una famiglia di ricci venne ad abitare nella foresta. Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi. Poi correvano nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mosche per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane. Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno. Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po’ più fredde, dormivano sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo. Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie. I ricci tremavano tutto il giorno, e la notte non potevano chiudere occhio, tanto avevano freddo.
Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all’altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe. Timidamente, si avvicinarono ancora, ma di nuovo si punsero il muso. E tutte le volte che uno correva verso l’altro, capitava la stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini: gli uccelli si tenevano caldo uno con l’altro, così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.
Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accostarono l’uno all’altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.

Dovrebbe esistere anche un « Decalogo della tenerezza ».
Potrebbe essere, più o meno, così:
1. Poiché la tenerezza è possibile, non c’è nessuna ragione per starne senza.
2. Parlatevi un po’ ogni giorno.
3. Crescete insieme, continuamente.
4. Stimati. Gli unici che apprezzano uno zerbino sono quelli che hanno le scarpe sporche.
5. Sii compassionevole.
6. Sii gentile. L’amore non ammette le cattive maniere.
7. Scopri il lato buono e bello delle persone, anche quando fanno di tutto per nasconderlo.
8. Non temere i dissapori e i litigi: solo i morti e gli indifferenti non litigano mai.
9. Non farti coinvolgere dalle piccole irritazioni e meschinità quotidiane.
10. Continua a ridere. Tiene in esercizio il cuore e protegge da disturbi cardiaci.

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

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Non c’è più irreligione

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

NON C’E’ PIU’ IRRELIGIONE
di Antonio Socci – @ Libero

Non c'è più irreligione dans Antonio Socci antoniosocci

“Dawkins: ho perso la battaglia per l’ateismo”. “Il sacerdote del’ateismo: ho fallito”.
Questi due titoli del Corriere della sera (7/11) rilanciavano le dichiarazioni al Guardian del famoso ateo militante Richard Dawkins.
Sebbene chi lo intervistava lo confortasse con notizie d’irreligione montante, il professore di Oxford, sconsolato, vede “una maggiore influenza della religione”.
Aveva scritto un libro, “L’illusione di Dio”, che ha venduto un mare di copie, con “lo scopo dichiarato di ‘convertire’ i lettori all’ ateismo”, e ora, a consuntivo, Dawkins “ammette di aver fallito”.
Qualcuno ritiene addirittura che abbia finito per portare acqua al mulino dei “nemici”.

FAMOLO STRANO
La campagna ateistica lanciata sugli autobus di Londra per esempio è stata ideata da Ariane Sherine proprio con l’appoggio di Dawkins.
Ecco lo slogan: “Probabilmente Dio non esiste, smettete quindi di preoccuparvi e godetevi la vita”.
Probabilmente? E’ difficile immaginare un’idea più controproducente.
Innanzitutto da atei militanti, che pretendono di convincere gli altri, si esige che proclamino con certezza che Dio non esiste. Se neanche loro ne sono sicuri, chi pretendono di convincere?
Chiunque ricordi la celebre “scommessa” di Pascal (un genio della matematica e del calcolo, oltreché grande pensatore cristiano) sa che quel “probabilmente” basta ed avanza per scommettere sull’esistenza di Dio. E’ assai più conveniente.
In pratica lo slogan è un clamoroso autogol. Anzi due. Perché, in qualche modo, dà ragione a chi – con Dostoevskij – afferma “se Dio non c’è tutto è permesso”.
Tesi aborrita proprio dal pensiero laico che rivendica un suo codice morale.

Fanatismo
Stando a quello slogan, chi è certo che Dio non esiste e ne è ben felice, se la dovrebbe spassare. Non dovrebbe certo consumare i suoi anni in una faticosa propaganda dell’ateismo. Anche perché ritiene ovvio che Dio è una favola. Nessuno spreca i suoi giorni per convincere gli altri che i draghi non esistono.
Dawkins dovrebbe essere il primo ad applicare lo slogan che stava scritto sui bus di Londra: “Godetevi la vita”.
Invece ha dedicato l’esistenza a quella missione, si è fatto in quattro, con uno zelo che rasenta il fanatismo.
Russel Stannard, un fisico che si è occupato di rapporti fra scienza e Dio, intervistandolo, anni fa, nel libro “La scienza e i miracoli”, si diceva incuriosito dalla strenua lotta di Dawkins.
Sembra ossessionato da Dio. Ha versato fiumi di inchiostro. E’ uno degli intellettuali che più pensa a Dio. Ricorda un tipo del romanzo di Graham Greene, “La fine dell’avventura”.
Costui stava sempre ad Hyde Park a comiziare contro il cristianesimo, con un tale impegno che la protagonista del romanzo, Sara, da sempre agnostica, sentendolo tuonare di continuo, cominciò a porsi seriamente la domanda su Dio perché non si può odiare così il nulla.
Alla fine lei si converte e muore quasi in fama di santità.

Grande vecchio
Il padre dell’ateismo filosofico-scientifico moderno, quello a cui tutti si sono abbeverati, da mezzo secolo, è Antony Flew, 82 anni, grande carriera accademica alle spalle fra Oxford e gli Stati Uniti, che però, nel dicembre 2004, ad un convegno a New York, ha annunciato di essersi completamente sbagliato.
Alla luce delle ultime scoperte della biologia (specialmente il Dna) e della fisica dichiara di arrendersi all’evidenza razionale dell’esistenza di Dio.
Il grande vecchio ha pure spazzolato sonoramente i “rampolli” del’ateismo, come Dawkins.

Ma il suo eccezionale libro, peraltro godibilissimo, dove spiega i motivi di questa conversione, “There is God” (sottotitolo: “Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea”), un libro che ha fatto scalpore in America, da noi non esce. Perché?

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Gli animali in Paradiso?

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

Gli animali in Paradiso? dans Riflessioni santopadre

Padre Livio disse che gli animali vissuti qui, quando la Terra passerà, non spariranno ma dovrebbero esserci in un altro modo e che, forse, gli animali sono stati creati proprio perché guardandoli capissimo quanto siamo diversi da loro.
Durante le apparizioni mariane, se vi sono animali prestenti questi non vanno in estasi.
Per Padre Livio, infatti, la Madonna ha dato un segno a La Salette: il cane di Massimino (uno dei veggenti) era presente all’apparizione però dormiva, quindi si può dedurre che nella nuova creazione ci saranno anche loro ma non avranno come noi la capacità di Dio e saranno come “addormentati”, cioè non coscienti.
L’essere umano si differenzia dagli animali perché ha un’intelligenza che va oltre il limite della materia e ha una moralità che va oltre l’istinto.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica solo dell’uomo dice che è stato creato capace di Dio.

Giovanni Paolo II:
“Certamente, agli occhi di Dio noi siamo più importanti. Ciò che determina il valore dell’uomo è essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, il che si riflette nella sua natura di persona, nella capacità di conoscere il bene e di amarlo.
Proprio per questo motivo, l’uomo non può accettare che il suo essere spirituale sia subordinato a ciò che è inferiore nella gerarchia delle creature.”
Benedetto XVI:
“Mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano.”
Benedetto XVI (dall’UDIENZA GENERALE dell’ 11 gennaio 2006):
“Grande felicità per l’uomo, conoscere il proprio Creatore. In questo noi ci differenziamo dalle fiere e dagli altri animali, perché sappiamo di avere il nostro Creatore, mentre essi non lo sanno”. Vale la pena meditare un po’ queste parole di Origene, che vede la differenza fondamentale tra l’uomo e gli altri animali nel fatto che l’uomo è capace di conoscere Dio, il suo Creatore, che l’uomo è capace della verità, capace di una conoscenza che diventa relazione, amicizia”.

Il Papa, ancora, dice che non sono chiamati alla vita eterna e afferma il Catechismo « Si deve dunque far notare ai fedeli che la vita eterna significa non tanto la perpetuità della vita, alla quale partecipano anche i demoni e gli uomini cattivi, quanto la perpetuità della beatitudine, capace di soddisfare appieno il desiderio dei beati. », quindi è possibile che il Papa abbia voluto affermare che gli animali non potranno partecipare alla beatitudine, non che non ci saranno.

Tratto da Maria Valtorta, Il poema dell’Uomo-Dio, vol. 7° cap. 237: pag. 1856-1859 (cristiani.altervista.org):
Quando un animale è morto è insensibile perché con la morte, per esso, è la vera fine. Non c’è futuro per esso. Ma sinché è vivente soffre la fame, freddo, stanchezza, è soggetto a ferirsi e soffrire, a godere, ad amare, ad odiare, ad ammalarsi e morire. E l’uomo, in ricordo di Dio, che gli ha dato quel mezzo per rendergli meno aspro l’esilio sulla Terra, deve essere umano verso i suoi servi minori che sono gli animali. Nel Libro mosaico non è forse prescritto di avere sensi di umanità anche per gli animali, volatili o quadrupedi che siano?
In verità vi dico che bisogna saper vedere con giustizia le opere del Creatore. Se si guardano con giustizia si vede che sono “buone”. E cosa buona va sempre amata. Si vede che sono cose date con fine buono e per impulso d’amore, e come tali le possiamo, le dobbiamo amare, vedendo, oltre l’essere finito, l’Essere Infinito che le ha create per noi. Si vede che sono utili, e come cose utili vanno amate. Nulla, ricordatevelo bene, è stato fatto senza scopo nell’Universo. Dio non sciupa la sua perfetta Potenza in inutili cose. Questo filo d’erba non è meno utile del tronco poderoso al quale si appoggia il nostro temporaneo rifugio. La stilla di rugiada, la piccola perla della brina, non sono meno utili dell’immenso mare. Il moscerino non è meno utile dell’elefante, e il verme che sta nel fango del fossato meno della balena. Nulla di inutile è nel Creato. Dio tutto ha fatto con fine buono, con amore per l’uomo. L’uomo deve usare tutto con retto fine e con amore per Dio che gli ha dato tutto quanto è sulla Terra, perché sia suddito al re del Creato.

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Mons. Maggiolini è tornato alla casa del Padre

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

Mons. Maggiolini è tornato alla casa del Padre dans Articoli di Giornali e News maggiolinijy7

In ricordo di Mons. Alessandro Maggiolini  (che è stato, tra le altre cose, l’unico Vescovo italiano che faceva parte del gruppo di esperti che hanno compilato il Catechismo della Chiesa Cattolica):

Il Sacramento della riconciliazione (per capire il suo spessore)
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