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Prima e dopo

Posté par atempodiblog le 30 novembre 2008

Prima e dopo dans Sorriso
Tratto da: Cocodix

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Giacomone

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2008

Giacomone
di Giovannino Guareschi
Tratto da: gamblin–ramblin.blogspot.com

Il vecchio Giacomone aveva bottega nella città bassa. Una stanzaccia con un banco da falegname, una stufetta di ghisa e una cassa.
Dentro la cassa, Giacomone teneva un materasso di crine che, la sera, cavava fuori e distendeva sul banco: e lì dormiva. Anche il mangiare non era un problema serio per Giacomone perché, con un pezzetto di pane e una crosta di formaggio, tirava avanti una giornata: il problema era il bere. Giacomone, infatti, aveva uno stomaco di quel tipo che usava tempo addietro: quando, cioè, c’era gente che riusciva a trovare dentro una pinta di vino il nutrimento necessario per vivere sani e svelti come un pesce. Forse perché, allora, non avevano ancora inventato le calorie, le proteine, le vitamine e le altre porcherie che complicano la vita d’oggigiorno.
Giacomone, quindi, finiva sbronzo la sua giornata: d’estate dormiva sulla prima panchina che gli capitava davanti. D’inverno dormiva sul banco. E, siccome il banco era lungo ma stretto e alto, Giacomone, agitandosi, correva il rischio di cascare per terra: allora, prima di chiudere gli occhi, si avvolgeva nel tabarro serrandone i lembi fra le ganasce della morsa. Così poteva rigirarsi senza il pericolo di sbattere la zucca contro i ciottoli del pavimento.
Giacomone accettava soltanto lavori di concetto: riparazioni di sedie, di cornici, di bigonci e roba del genere. La falegnameria pesante non l’interessava. E, per falegnameria pesante, egli intendeva ogni lavoro che implicasse l’uso della pialla, dello scalpello, della sega. Egli ammetteva soltanto l’uso della colla, della carta vetrata, del martello e del cacciavite. Anche perché non possedeva altri strumenti. Giacomone, però, trattava anche il ramo commerciale e, quando qualcuno voleva sbarazzarsi di qualche vecchio mobile, lo mandava a chiamare. Ma si trattava sempre di bagattelle da quattro soldi e c’era poco da stare allegri.
Un affare eccezionale gli capitò fra le mani quando morì la vecchia che abitava al primo piano della casa dirimpetto alla sua bottega. Aveva la casa zeppa di roba tenuta bene e toccò ogni cosa a un nipote che, prima ancora di entrare nella casa, si preoccupò di sapere dove avrebbe potuto vendere tutto e subito.

Giacomone si incaricò della faccenda e, in una settimana, riuscì a collocare la mercanzia. Alla fine, rimase nell’appartamento soltanto un gran Crocifisso di quasi un metro e mezzo con un Cristo di legno scolpito.
«E quello?» domandò l’erede a Giacomone indicandogli il Crocifisso.
«Credevo che lo teneste» rispose Giacomone.
«Non saprei dove metterlo» spiegò l’erede. «Vedete di darlo via. Pare molto antico. C’è il caso che sia una cosa di valore».
Giacomone aveva visto ben pochi Crocifissi in vita sua: comunque era pronto a giurare che quello era il più brutto Crocifisso dell’universo. Si caricò il crocione in spalla ma nessuno lo volea.
Tentò il giorno dopo e fu la stessa cosa. Allora arrivò fino a casa dell’erede e gli disse che se voleva vendere il Crocifisso si arrangiasse lui.
«Tenetevelo» rispose l’erede. «Io non voglio più saperne niente. Se vi va di regalarlo regalatelo. Se riuscirete a smerciarlo, meglio per voi: soldi vostri.»
Giacomone si tenne il Crocifisso in bottega e, il primo giorno che si trovò senza soldi, se lo caricò in spalla e andò in giro a offrirlo.
Girò fino a tardi e, prima di tornare in bottega, entrò nell’osteria del Moro. Appoggiò il Crocifisso al muro e, sedutosi a un tavolo, comandò un mezzo di vino rosso.
«Giacomone» gli rispose l’oste «dovete già pagarmi dodici mezzi. Pagate i dodici e poi vi porto il vino».
«Domani pago tutto» spiegò Giacomone. «Sono in parola con una signora di Borgo delle Colonne. È un Cristo antico, roba artistica, e saranno soldi grossi».
L’oste guardò il Cristo e si grattò perplesso la zucca:
«Io non me ne intendo» borbottò «ma ho l’idea che un Cristo più brutto di quello lì non ci sia in tutto l’universo».
«La roba antica più è brutta e più è bella» rispose Giacomone. «Voi guardate le statue del Battistero e poi ditemi se sono più belle di questo Cristo».
L’oste portò il vino, e poi ne portò ancora perché Giacomone aveva una tale fame che avrebbe bevuto una damigiana di barbera.
L’osteria si riempì di gente e il povero Cristo sentì discorsi da far venire i capelli ricci a un’ brigadiere dei carabinieri pettinato all’umberta.
A mezzanotte Giacomone tornò in bottega, col suo Cristo in spalla e, siccome due o tre volte si trovò a un pelo dal cadere lungo disteso perché quel peso io sbilanciava, tirò fuori di sotto il vino che aveva nello stomaco delle bestemmie lunghe come racconti.

La storia del Cristo si ripeté i giorni seguenti: e ogni sera Giacomone faceva tappa a un’osteria diversa e passò tutte le osterie dove era conosciuto.
Così continuò fino a quando, una notte, la pattuglia agguantò Giacomone che, col Cristo in spalla, navigava verso casa rollando come una nave sbattuta dalla burrasca.
Portarono Giacomone in guardina e il Cristo, appoggiato a un muro della stanza del corpo di guardia, ebbe agio di ascoltare le spiritose storie che rallegrano di solito i questurini di servizio notturno.
La mattina Giacomone fu portato davanti al commissario che gli disse subito che non facesse lo stupido e spiegasse dove aveva rubato quel Crocifisso.
«Me l’hanno dato da vendere» affermò Giacomone e diede il nome e l’indirizzo del nipote della vecchia signora morta.
Lo rimisero in camera di sicurezza e, verso sera, lo tirarono fuori un’altra volta.
«Il Crocifisso è vostro» gli disse il commissario «e va bene. Però questo schifo deve finire. Quando andate all’osteria, lasciate a casa il Cristo. La prima volta che vi pesco ancora vi sbatto dentro».
Fu, quella, una triste sera per il Cristo: perché Giacomone se la prese con lui e gli disse roba da chiodi.
Si ubriacò senza Cristo ma, alle tre del mattino, si alzò, si caricò il Cristo in spalla e, raggiunta per vicoletti oscuri la periferia, si diede alla campagna.
«Vedrai se questa volta non riesco a rifilarti a qualche disgraziato di villano o di parroco!» disse Giacomone al Cristo.
Era autunno e incominciava a far fresco, la mattina: Giacomone s’era buttato addosso il tabarro e così, col grande Crocifisso in spalla e il passo affaticato, aveva l’aria di uno che viene da molto lontano.
All’alba, passò davanti a una casa isolata: una vecchia era nell’orto e, vedendo Giacomone con la croce in spalla, si segnò.
«Pellegrino!» disse la vecchia. «Volete una scodella di latte caldo?»
Giacomone si fermò.
«Andate a Roma?» s’informò la vecchia.
Giacomone fece cenno di sì con la testa.
«Da dove venite?»
«Friuli» disse Giacomone.
La vecchia allargò le braccia in atto di sgomento e gli ripeté che entrasse a bagnarsi le labbra con qualcosa.
Giacomone entrò. Il latte, a guardarlo, gli faceva nausea: poi lo assaggiò ed era buono. Mangiò mezza micca di pane fresco e continuò la sua strada.
Schivò le strade provinciali; prese scorciatoie attraverso i campi e batté le case isolate.
«Passo di qui perché la strada è piena di sassi e di polvere e ho i piedi che mi sanguinano e gli occhi che mi piangono» spiegava Giacomone quando traversava qualche aia. «E poi ho fatto il voto così. Vado a Roma in pellegrinaggio. Vengo dal Friuli».
Una scodella di vino e un pezzo di pane non glieli negava nessuno. Giacomone metteva il pane in saccoccia, beveva il vino e riprendeva la sua strada. Di notte smaltiva la sua sbronza sotto qualche capanna in mezzo ai campi.
In seguito era diventato più furbo: s’era procurato una specie di grossa borraccia da due litri. Non beveva il vino quando glielo davano; lo versava dentro la borraccia:
«Mi servirà stanotte se ho freddo o mi viene la debolezza» spiegava.
Poi, appena arrivato fuori tiro, si attaccava al collo della borraccia e pompava. Però faceva le cose per bene in modo da trovarsi la sera con la borraccia piena. Allora, quando si era procurato il ricovero, scolava la borraccia e perfezionava la sbornia.

Il freddo incominciò a farsi sentire, ma, quando Giacomone aveva fatto il pieno, era come se avesse un termosifone acceso dentro la pancia.
E via col suo povero Cristo in spalla.
«Vado a Roma, vengo dal Friuli» spiegava Giacomone. E quando era sborniato e traballava, la gente diceva:
«Poveretto, com’è stanco!».
E poi gli era cresciuta la barba e pareva un romito davvero.
Giacomone, che aveva la testa sulle spalle, aveva fatto in modo di gironzolare tutt’attorno alla città: ma l’uomo propone e il vino dispone. Così andò a finire che perdette la bussola e si trovò, un bel giorno, a camminare su una strada che non finiva mai di andare in su.
Voleva tornare indietro e rimanere al piano: poi pensò che gli conveniva approfittare di quelle giornate ancora di bel tempo per passare il monte. Di là avrebbe trovato il mare e, al mare, freddo che sia, fa sempre caldo.
Camminò passando da una sbronza all’altra, sempre evitando la strada perché aveva paura di imbattersi nei carabinieri: prendeva i sentieri e questo gli permetteva di battere le case isolate.
L’ultima sbronza fu straordinaria perché capitò in una casa dove si faceva un banchetto di nozze e lo rimpinzarono di mangiare e di vino fino agli occhi.
Oramai era quasi arrivato al passo. La notte dormì in una baita e, la mattina dopo si svegliò tardi, verso il mezzogiorno: affacciato alla porta della baracca si trovò in mezzo a un deserto bianco con mezza gamba di neve. E continuava a nevicare.
“Se mi fermo qui rimango bloccato e crepo di fame o di freddo” pensò Giacomone e, caricatosi il Cristo in spalla, si mise in cammino.
Secondo i suoi conti, dopo un’ora avrebbe dovuto arrivare a un certo paese. Aveva ancora la testa annebbiata per il gran vino bevuto il giorno prima, e poi la neve fa perdere l’orizzonte.
Si trovò, sul tardo pomeriggio, sperduto fra la neve. E continuava a nevicare.
Si fermò al riparo di un grosso sasso. La sbornia gli era passata completamente. Non aveva mai avuto il cervello così pulito.
Si guardò attorno e non c’era che neve, e neve veniva giù dal cielo. Guardò il Cristo appoggiato alla roccia.
«In che pasticcio vi ho messo, Gesù» disse. «E siete tutto nudo…».
Giacomone spazzò via col fazzoletto la neve che si era appiccicata sul Crocifisso. Poi si cavò il tabarro e, con esso, coperse il Cristo.
Il giorno dopo trovarono Giacomone che dormiva il suo eterno sonno, rannicchiato ai piedi del Cristo. E la gente non capiva come mai Giacomone si fosse tolto il tabarro per coprire il Cristo.
Il vecchio prete del paese rimase a lungo a guardare quella strana faccenda. Poi fece seppellire Giacomone nel piccolo cimitero del paesino e fece incidere sulla pietra queste parole:

Qui giace un cristiano
e non sappiamo il suo nome
ma Dio lo sa
perché è scritto nel libro dei Beati.

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Collocazione provvisoria di un crocifisso

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2008

Dalle lettere di Mons. Tonino Bello

NEL DUOMO VECCHIO DI MOLFETTA (BARI) C’E’ UN GRANDE CROCIFISSO DI TERRACOTTA.
L’HA DONATO QUALCHE ANNO FA UNO SCULTORE DEL LUOGO.
IL PARROCO, IN ATTESA DI SISTEMARLO DEFINITIVAMENTE, L’HA ADDOSSATO ALLA PARETE DELLA SACRESTIA E VI HA APPOSTO UN CARTONCINO CON LA SCRITTA « COLLOCAZIONE PROVVISORIA ».
LA SCRITTA, CHE IN UN PRIMO MOMENTO AVEVO SCAMBIATO COME INTITOLAZIONE DELL’OPERA, MI E’ PARSA PROVVIDENZIALMENTE ISPIRATA, AL PUNTO CHE HO PREGATO IL PARROCO DI NON RIMUOVERE PER NESSUNA RAGIONE IL CROCIFISSO DI LI, DA QUELLA PARETE NUDA, DA QUELLA POSIZIONE PRECARIA, CON QUEL CARTONCINO INGIALLITO.
COLLOCAZIONE PROVVISORIA. PENSO CHE NON CI SIA FORMULA MIGLIORE, PER DEFINIRE LA CROCE.
LA MIA, LA TUA CROCE, NON SOLO QUELLA DI CRISTO.
CORAGGIO, ALLORA, TU CHE SOFFRI INCHIODATO SU UNA CARROZZELLA. ANIMO, TU CHE PROVI I MORSI DELLA SOLITUDINE. ABBI FIDUCIA TU CHE BEVI AL CALICE AMARO DELL’ABBANDONO. NON TI DISPERARE MADRE DOLCISSIMA CHE HAI PARTORITO UN FIGLIO FOCOMELICO. NON IMPRECARE, SORELLA, CHE TI VEDI DISTRUGGERE GIORNO DOPO GIORNO DA UN MALE CHE NON PERDONA. ASCIUGATI LE LACRIME FRATELLO CHE SEI STATO PUGNALATO ALLE SPALLE DA COLORO CHE RITENEVI TUOI AMICI. NON ANGOSCIARTI TU CHE PER UN TRACOLLO IMPROVVISO VEDI I TUOI BENI PIGNORATI, I TUOI PROGETTI IN FRANTUMI, LE TUE FATICHE DISTRUTTE.
NON TIRARE I REMI IN BARCA TU CHE SEI STANCO DI LOTTARE E HAI ACCUMULATO DELUSIONI A NON FINIRE.
NON ABBATTERTI, FRATELLO POVERO, CHE NON SEI CALCOLATO DA NESSUNO, CHE NON SEI CREDUTO DALLA GENTE E CHE, INVECE DEL PANE, SEI COSTRETTO AD INGOIARE BOCCONI DI AMAREZZA. NON AVVILIRTI AMICO SFORTUNATO CHE NELLA VITA HAI VISTO PARTIRE TANTI BASTIMENTI, E TU SEI RIMASTO SEMPRE A TERRA.
CORAGGIO, LA TUA CROCE, ANCHE SE DURASSE TUTTA LA VITA, E’ SEMPRE « COLLOCAZIONE PROVVISORIA ».
IL CALVARIO, DOVE ESSA E’ PIANTATA NON E’ ZONA RESIDENZIALE.
E IL TERRENO DI QUESTA COLLINA , DOVE SI CONSUMA LA TUA SOFFERENZA, NON SI VENDERA’ MAI COME UN SUOLO EDIFICABILE.
ANCHE IL VANGELO CI INVITA A CONSIDERARE LA PROVVISORIETA’ DELLA CROCE.
C’E’ UNA FRASE IMMENSA ,CHE RIASSUME LA TRAGEDIA DEL CREATO AL MOMENTO DELLA MORTE DI CRISTO:  » DA MEZZOGIORNO FINO ALLE TRE DEL POMERIGGIO SI FECE BUIO SU TUTTA LA TERRA ».
FORSE E’ LA FRASE PIU’ SACRA DI TUTTA LA BIBBIA. PER ME E’ UNA DELLE PIU’ LUMINOSE.
PROPRIO PER QUELLE RIDUZIONI DI ORARIO CHE STRINGONO, COME DUE PALETTI INVALICABILI IL TEMPO IN CUI E’ CONCESSO AL BUIO DI INFIERIRE SULLA TERRA. DA MEZZOGIORNO FINO ALLE TRE DEL POMERIGGIO.
ECCO LE SPONDE CHE DELIMITANO IL FIUME DELLE LACRIME UMANE.
ECCO LE SARACINESCHE CHE COMPRIMONO IN SPAZI CIRCOSCRITTI TUTTI I RANTOLI DELLA TERRA.
ECCO LE BARRIERE ENTRO CUI SI CONSUMANO TUTTE LE AGONIE DEI FIGLI DELL’UOMO.
DA MEZZOGIORNO ALLE TRE DEL POMERIGGIO. SOLO ALLORA E’ CONSENTITA LA SALITA AL GOLGOTA.
AL DI FUORI DI QUELL’ORARIO C’E’ DIVIETO ASSOLUTO DI PARCHEGGIO. DOPO TRE ORE CI SARA’ LA RIMOZIONE FORZATA DI TUTTE LE CROCI. UNA PERMANENZA PIU’ LUNGA SARA’ COSIDERATA ABUSIVA ANCHE DA DIO.
CORAGGIO, FRATELLO CHE SOFFRI. C’E’ ANCHE PER TE UNA DEPOSIZIONE DALLA CROCE. ECCO GIA’ UNA MANO FORATA CHE SCHIODA DAL LEGNO LA TUA. ECCO UN GREMBO DOLCISSIMO DI DONNA CHE TI AVVOLGE DI TENEREZZA. TRA QUELLE BRACCIA MATERNE SI SVELERA’ FINALMENTE, TUTTO IL MISTERO DI UN DOLORE CHE PRA TI SEMBRA ASSURDO. CORAGGIO. MANCANO POCHI ISTANTI ALLE TRE DEL POMERIGGIO. TRA POCO, IL BUIO CEDERA’ IL POSTO ALLA LUCE, LA TERRA RIACQUISTERA’ I SUOI COLORI VERGINALI E IL SOLE DELLA PASQUA IRROMPERA’ TRA LE NUVOLE IN FUGA.

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Diario di un parroco di campagna

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2008

Georges Bernanos
Diario di un parroco di campagna
Oscar Mondadori

Immagine

Note: Traduzione di Paola Messori

Caratteristiche: brossura

Note di Copertina

« La mia parrocchia non si distingue in niente dalle altre parrocchie »: a scrivere queste parole è lo straordinario parroco di Ambricourt, che, forte solo della propria fede, si rivolge ai suoi parrocchiani come « un povero mendicante che va di porta in porta a mano tesa senza aver animo neppure di bussare », preoccupato e stupito dalla noia, dal disamore, dall’aridità presenti in questo piccolo villaggio delle Fiandre. La sua vita quotidiana è ridotta all’essenziale: goffo e magrissimo com’è, riesce a nutrirsi solo « di pane intinto nel vino ». Il suo corpo, del resto, è ormai minato da un male incurabile. Proprio questo parroco, tuttavia, è per Bernanos « vincente »: su di sé e sugli altri, in quanto simbolo di una fede autentica. Una forza e una dignità incrollabili sostengono infatti questo giovane prete, intenso e tenerissimo, che, pur sperimentando dentro di sé l’umana angoscia del dubbio, è capace di riaccostarsi con forza alla pienezza della fede, accettando e facendo accettare agli altri, in uno slancio d’amore, il suo destino, perché « è facile odiarsi, più facile di quanto si creda. La grazia è dimenticarsi. Ma quando ogni orgoglio fosse morto in noi, la grazia delle grazie sarebbe amare se stessi inutilmente, come uno delle membra sofferenti di Gesù Cristo ».

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Chi ci pensa

Posté par atempodiblog le 28 novembre 2008

Chi ci pensa dans Don Bruno Ferrero pesciwl2

 

Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro. Nuotando pigramente in tondo avevano anche tempo di filosofare.
Un giorno un pesce chiese all’altro:
« Tu credi in Dio? ».
« Certo! ».
« E come fai a saperlo? ».
« Chi credi che ci cambi l’acqua, tutti i giorni? ».


La vita scorre dentro di noi come un fiume tranquillo ed è un miracolo.
Ma facciamo l’abitudine anche ai miracoli. Ogni giorno è un dono tutto nuovo, una pagina bianca da scrivere. Dio ci cambia l’acqua tutti i giorni.


di Bruno Ferrero

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L’ultimo libro del cardinale Biffi

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

“Al giorno d’oggi non è più l’eresia, ma la retta dottrina a fare notizia”.

L'ultimo libro del cardinale Biffi dans Cardinale Giacomo Biffi Cardinale-Biffi

Notizia choc: un cardinale fa l’elogio dell’ortodossia
di Sandro Magister

Dal suo ritiro sulla collina di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi ha consegnato le sue riflessioni a un nuovo libro. Al quale ha dato il titolo “Pecore e pastori”.

Per approfondire:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/209817

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La conversione di Gramsci

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

« Gramsci si convertì in punto di morte »
di Andrea Tornielli – Il Giornale

Le fonti citate sono testimoni dirette, anche se la rivelazione farà discutere non poco: Antonio Gramsci, sul letto di morte, chiese i sacramenti. Aveva accanto a sé un’immaginetta di santa Teresina di Lisieux e volle baciare l’effigie di Gesù Bambino che le suore della clinica dov’era ricoverato porgevano ai malati. Lo ha raccontato ieri il vescovo Luigi De Magistris, pro-penitenziere maggiore emerito, nel corso della presentazione del primo Catalogo internazionale dei santini che si è tenuta presso la Radio Vaticana, confermando direttamente e autorevolmente quanto già rivelato dal vaticanista Emilio Cavaterra sul Giornale dieci anni fa.

«Il mio conterraneo Gramsci – ha detto il prelato vaticano – aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: “Perché non me l’avete portato?”. Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci “perseguita”. Il Signore non si rassegna a perderci».

La fonte citata da De Magistris è una suora sarda, sorella di monsignor Giovanni Maria Pinna, segretario della Segnatura apostolica. Suor Pinna, in occasione di una messa in suffragio del fratello, celebrata nella chiesa di San Lorenzo in Damaso, aveva raccontato ad alcuni dei prelati presenti l’inedito particolare riguardante Gramsci. L’intellettuale comunista era ricoverato nella clinica Quisisana dal 24 agosto 1935. Le religiose della clinica in occasione delle festività natalizie erano solite, per tradizione, portare di stanza in stanza una statua di Gesù Bambino, «offrendola al bacio degli ammalati». Tutti i ricoverati ricevono la singolare visita, ad eccezione di Gramsci il quale, appresa l’esclusione, ne chiede il motivo alle suore. Le religiose si scusano con lui e gli dicono che non volevano infastidirlo. A questo punto, raccontava suor Pinna, «il signor Gramsci disse di voler vedere quella statuetta e quando l’ebbe di fronte la baciò con evidenti segni di commozione». Oltre a De Magistris, ad ascoltare le parole della suora c’era monsignor Sebastiano Masala, all’epoca giudice della Sacra Rota. Un’altra religiosa in servizio alla clinica, di origini svizzere, suor Gertrude, ha invece rivelato che nella stanza numero 26, dove Gramsci trascorse l’ultimo periodo della sua vita, c’era un’immagine di santa Teresina del Bambin Gesù, «verso la quale lui sembrava nutrire una simpatia umana, tanto da non volere che fosse tolta e nemmeno spostata».

Un accenno alle ultime ore di vita di Gramsci, morto nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1937, è contenuto in una lettera che sua cognata Tatiana Schucht scrisse il 12 maggio di quello stesso anno: «Il medico fece capire alla suora che le condizioni del malato erano disperate. Venne il prete, altre suore, ho dovuto protestare nel modo più veemente perché lasciassero tranquillo Antonio, mentre questi hanno voluto proseguire nel rivolgersi a lui per chiedergli se voleva questo, quell’altro…». La frase della cognata rimane sospesa, rispetto a quella che lei considerava un’invadenza indebita, ma che le suore, testimoni dei due episodi precedenti, non ritenevano certo tale. Non dice dunque se Gramsci acconsentì, come invece oggi conferma il vescovo De Magistris.Nel gennaio scorso, intervistato da Famiglia Cristiana, il cardinale Tarcisio Bertone aveva detto: «La posizione di Gramsci e di tanti esponenti comunisti verso la religione era ben diversa da quella di certi laicisti attuali. C’era più rispetto».

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Se perde la radice tutto può cominciare a tremare

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

LA PROFEZIA DI UN GRANDE POETA
SE PERDE LA RADICE
 TUTTO PUÒ COMINCIARE A TREMARE
di Marina Corradi – Avvenire

 

Di fronte all’ansia, che trapela ogni tanto in questo o quel Paese d’Europa, di eliminare il crocifisso dai luoghi pubblici – idea subito accolta da qualche intellettuale italiano con compiacimento, quasi fosse urgente liberare aule e ospedali da quelle mute effigi di un Uomo straziato – ci viene da fare una domanda, da avanzare un dubbio, diciamo, un po’ inquieto. Forse anche perché da giorni tv e stampa non parlano che di quella ragazza in stato vegetativo, e del fatto che si vuole staccare la sonda che la nutre e disseta. 
Come una battaglia oscuramente simmetrica: il crocifisso è l’emblema della sofferenza del Dio fattosi uomo; il volto di Eluana Englaro, invisibile ma incombente nel dialogo di questi giorni, è un’icona della sofferenza degli uomini. Il crocifisso, e la donna immobile e inerme: come casualmente si combatte in due Paesi di forte tradizione cattolica perché l’uno, e l’altra, spariscano.
 
Ma dicevamo di un dubbio. Sappiamo bene che le civiltà antiche, non solo primitive ma anche progredite, eliminavano i figli imperfetti, e lasciavano moribondi e appestati al loro destino. Era questa, la norma fra gli uomini: vive il sano, il più forte, vive chi si può difendere. L’evento storico che capovolge lo sguardo sui sofferenti è il cristianesimo. È il Medioevo cristiano che inaugura in Occidente gli ospedali, e per primi quelli per i diseredati, per gli ‘ incurabili’, nome che ancora adesso portano nelle nostre città alcuni istituti.
 
La domanda allora è: procedendo nella espulsione ideale di Cristo dalla nostra forma mentale, espulsione di cui la lotta al crocifisso è un simbolo, è prevedibile, oppure no, che anche lo sguardo verso i malati subisca una lenta ma inesorabile trasformazione? Madre Teresa a chi le chiedeva perché si portava a casa i moribondi di Calcutta rispondeva che era semplicemente perché in ognuno di loro riconosceva il volto di Cristo. L’origine della carità cristiana è questa: non buonismo, non un alato altruismo, ma il riconoscere, nella faccia dell’altro sofferente, Cristo. Ma, se questo nesso si affievolisce nella memoria, se addirittura quel silenzioso simbolo sui muri suscita insofferenza e ribellione, viene da chiedersi se la buona volontà, i ‘ valori’, la umana solidarietà davvero basterebbero per continuare a praticare la carità ‘ inventata’ dai cristiani. Se basterebbero, queste pur buone intenzioni, staccate dalla loro storica radice, a continuare a trattare come uomini anche i più vecchi, i dementi, i disabili storpiati da malattie inguaribili.
 
O forse invece il naturale istinto umano davanti alla sofferenza senza rimedio è quello del rifiuto, del non volere vedere, dell’eliminare ‘ per pietà’? Le civiltà antiche lasciavano indietro inguaribili e deformi, come zavorra che un’umanità efficiente non poteva portare con sé. Il cristianesimo ha introdotto un altro sguardo. È realistico pensare che il portato del cristianesimo possa sopravvivere ‘ senza’ Cristo? Sappiamo che schiere di laici ottimisti diranno che certamente, che diamine, che i condivisi ‘ valori’ di quel Dio ucciso non hanno alcun bisogno.
 
Quanto a noi, ricordiamo inquieti un verso di Eliot dei
Cori da la Rocca: « Avete bisogno che vi si dica che persino modeste cognizioni / che vi permettono d’essere orgogliosi di una società educata / difficilmente sopravvivranno alla Fede cui devono il loro significato? » . Quel dubbio, già negli anni Trenta, come la percezione di una possibile alienata deriva. La profezia di un grande poeta avvertiva che tutto ciò che ci sembra acquisito, se perde la radice, può cominciare a tremare.

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Intervista a Dr. Fra Ivan Sesar

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

« Il Padre Provinciale dei francescani sul caso Tomislav »

Intervista al Provinciale dei Francescani di Erzegovina, ex parroco di Medjugorje, Dr. Fra Ivan Sesar. «Siamo pronti ad accogliere una nuova « Commissione » su Medjugorje».

di ŽARKO IVKOVIĆ

Intervista a Dr. Fra Ivan Sesar dans Medjugorje medjivansesargi8
Dr. fra Ivan Sesar
(Foto: Zoran Grizelj)

In questi giorni ha avuto una eco sensazionale la notizia che il Vaticano avrebbe incominciato a fare il regolamento dei conti con il fenomeno di Medjugorje e che il Papa stesso l’avrebbe giudicato un inganno. Nel retroscena di questa non veritiera informazione c’era il caso di fra Tomislav Vlašić, il quale è stato condannato dal Vaticano per “divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disubbidienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti contra sextum”. Siccome si tratta di un Sacerdote che ha prestato il suo servizio a Medjugorje, la veridicità delle apparizioni della Madonna è di nuovo messa in dubbio. Che cosa risponde in merito dr. Fra Ivan Sesar, Provinciale della Provincia Francescana Erzegovinese ed ex parroco di Medjugorje?

– Sono sorpreso di queste errate, e mi permetto di dire malintenzionate, conclusioni. Si sa che la Santa Sede segue con particolare attenzione i fatti di Medjugorje e che ancora non ha pronunciato la sua definitiva sentenza. Il Vaticano non è un’istituzione che fa il regolamento dei conti con qualcuno e tanto meno con Medjugorje.

• Però la condanna di fra Tomislav, per gli scettici costituisce un’altra prova che il fenomeno di Medjugorje e stato ideato dai frati di Erzegovina?
– È una grande falsità che i francescani di Erzegovina abbiano ideato il fenomeno di Medjugorje. Ogni ben pensante che si prende cura di conoscere la verità sugli inizi dei fatti di Medjugorje, facilmente scoprirà che i frati in servizio in quel periodo nella parrocchia di Medjugorje, si sono avvicinati agli eventi che capitavano, con la massima cautela.

• Il collega Inoslav Bešker ha fatto un passo avanti e si è chiesto apertamente se proprio fra Tomislav Vlašić non abbia “ideato le apparizioni”. Qual’è la verità sull’operato di fra Tomislav a Medjugorje?
– Anche l’affermazione che fra Tomislav Vlašić sia autore delle apparizioni a Medjugorje è assurda. Cioè, è risaputo e facilmente dimostrabile che fra Tomislav nel mese di giugno 1981, quando – stando alle testimonianze dei sei ragazzi – sono incominciate le prime apparizioni, non era in servizio a Medjugorje e non conosceva i ragazzi. A Medjugorje è venuto per volontà del superiore in settembre del 1981, dopo l’arresto di fra Jozo Zovko. È stato in servizio nella parrocchia meno di quattro anni, nel 1985 è stato trasferito a Vitina e nel 1988 e andato in Italia.

medjivansesar2cf3 dans Medjugorje

• Fra Tomislav era la guida spirituale dei veggenti? Oppure falsamente si presentava come tale, anche al Papa , cioè come colui che per “Divina Provvidenza guidava i veggenti di Medjugorje”?
– Questo provincialato non ha mai raccomandato né nominato alcuno come guida spirituale dei ragazzi. Penso che nemmeno i parroci di Medjugorje abbiano mai avuto questo mandato di essere guida spirituale dei veggenti. Il fatto è che alcuni frati erano loro confessori, avevano con loro e le loro famiglie un rapporto amichevole e questo si può capire. Chi è amico di chi, oppure chi è la guida spirituale, dovete chiederlo voi stessi ai veggenti. In questi giorni si è potuto leggere nei media che alcuni dei veggenti lo hanno negato categoricamente.

• La condanna inflitta a fra Tomislav ha qualche attinenza con il suo servizio a Medjugorje? Il Vescovo di Mostar Ratko Perić lo mette chiaramente in relazione.
– Per quanto mi risulta dalla lettura delle comunicazioni, fra Tomislav Vlašić non è stato condannato per il suo lavoro pastorale al servizio della parrocchia di Medjugorje, neppure per il fenomeno Medjugorje e neppure per il suo parere personale verso il fenomeno. Con il suo trasferimento da Medjugorje il Vescovo di allora non gli ha tolto nessuno dei privilegi sacerdotali. Non vedo il motivo per il quale qualcuno lo colleghi con il suo lavoro pastorale svolto a Medjugorje oppure con il fenomeno stesso e tanto meno vedo la ragione che questa condanna si spieghi come la negazione Vaticana di Medjugorje.

• Qual è la posizione della Provincia francescana Erzegovinese nel caso di fra Tomislav?
– Fra Tomislav risulta ufficialmente trasferito in Italia nel 1992, nella Provincia francescana dell’Abruzzo, dove vive e lavora. Significa che la nostra Provincia, da allora, non ha nessuna informazione del suo operato. Perciò, in accordo con la legge del nostro Ordine, lui non ha l’obbligo di rendere conto del suo lavoro alla Provincia Francescana di Erzegovina della Beata Vergine Maria, e neppure lo ha fatto. Per lui è competente il Provinciale e l’amministrazione provinciale alla quale appartiene. Sui dettagli del suo operato in Italia non sono mai stato informato.

• Il Vaticano ha annunciato la formazione di una nuova Commissione che inizierà di nuovo a studiare il fenomeno di Medjugorje. Che cosa ci potete dire al riguardo?
– Anche se si parla di questo sempre più spesso e con sempre maggior insistenza, quest’ufficio non ha ricevuto nessuna nota di conferma.

• La nuova Commissione sarà sotto il “patronato” del Papa? E qualcuno è gia stato nominato come membro di questa Commissione?
– Da quanto so da fonti non ufficiali, si tratterebbe di una Commissione internazionale che dovrebbe essere nominata dalla Santa Sede. In qualità di Provinciale della provincia alla quale appartiene la Parrocchia di Medjugorje, a cui è stata affidata la cura pastorale, e come ex parroco di Medjugorje, dichiaro che siamo completamente aperti e pronti alla collaborazione con qualsiasi Commissione che sarà nominata dalla Chiesa ufficiale. La Parrocchia di Medjugorje è da sempre legalmente guidata dai francescani i quali, in accordo con le prescrizioni, hanno proposto e nominato competenti governi. Il personale pastorale desidera che tutto ciò che accade lì, sia in accordo con le prescrizioni e l’insegnamento della Chiesa. Medjugorje non è come alcuni pensano e dichiarano “progetto individuale » né di alcuni gruppi, ma è un dono provvidenziale del cielo ed una grande offerta all’uomo odierno e all’umanità intera.

• Succede qualche cosa che rimane celato agli occhi del popolo di Medjugorje?
– Non succede niente di segreto né di nascosto agli occhi del pubblico. Ciascuno è libero di venire, sia come fedele sia come non credente, per vedere che cosa succede lì e per cercare di capire per quale ragione arrivano tante masse di pellegrini da tutto il mondo. I numeri chiaramente confermano che, nonostante tutto, Medjugorje è oggi uno dei luoghi di pellegrinaggio più conosciuti nel mondo cattolico, un centro di spiritualità, una « calamita » che attrae molte persone in cerca di Dio.

Fonte: dal quotidiano croato « Vecernji list »
Traduzione italiana di Jadranka H.
© Centro d’Informazione « MIR » Medjugorje
http://www.medjugorje.hr/
Tratto da: Holy Queen – holy.harmoniae.com


L’11 luglio 1988 la veggente Marija Pavlovic con una lettera autografa scritta sotto giuramento davanti al Santissimo Sacramento, inviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva denunciato l’azione subdola del Falsario a Medjugorje facendo nomi e cognomi. La Madonna, Vergine Prudentissima, aveva preso per tempo le Sue precauzioni. In quella lettera viene messa una separazione netta tra la comunità di Padre Tomislav e le apparizioni di Medjugorje. Padre Livio ha la fotocopia di questa lettera.

Dalla Rassegna Stampa di Radio Maria del 5 settembre 2008.

Per approfondire:« Padre Tomislav sospeso a divinis »
iconarrowti7 http://www.radiomaria.it/documenti/dwnl.php?id=1277

Le direttive ufficiali della Sante Sede su Medjugorje
iconarrowti7 http://www.radiomaria.it/documenti/dwnl.php?id=1201

DICHIARAZIONE DI MARIA PAVLOVIC
“Non vi è nessun rapporto fra la Comunità di Padre Tomislav Vlasic
e le apparizioni di Medjugorje”

iconarrowti7 http://www.radiomaria.it/documenti/dwnl.php?id=1223

Lo status canonico del Rev. fra Tomislav Vlašić, OFM
iconarrowti7 http://www.radiomaria.it/documenti/dwnl.php?id=1221

IL CASO TOMISLAV VLASIC: le rivelzioni ufologiche
di Suor Stefania Caterina

iconarrowti7 http://www.radiomaria.it/documenti/dwnl.php?id=1222

Lettera di Marija Pavlovic – Commento di Padre Livio
iconarrowti7 http://www.radiomaria.it/archivio_audio/popup.php?id=1498&browser=0

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Da Holy Queen:

[...] con lettera autografa scritta sotto giuramento e inviata alla Congregazione della Dottrina della Fede, la veggente Marija Pavlovic aveva posta una chiara cesura tra la comunità di Medjugorje e quella fondata da Padre Tomislav « Kraljice mira ». Non possiamo che rallegrarci per la decisione della Chiesa di tutelare il Popolo di Dio.

Lo status canonico del Rev. fra Tomislav Vlašić, OFM
Vescovo, 2008-08-31

La Congregazione per la Dottrina della Fede, con Lettera prot. 144/1985-27164, del 30 maggio 2008, mi ha incaricato, in qualità di Vescovo locale di Mostar-Duvno, di informare la comunità diocesana sullo status canonico di fra Tomislav Vlasic, fondatore dell’aggregazione ”Kraljice mira potpuno Tvoji – po Mariji k Isusu”.

Nella Lettera, firmata dal Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, arcivescovo Angelo Amato, sta scritto:

„Nel contesto del fenomeno Medjugorje, questo Dicastero sta trattando il caso del Rev. P. Tomislav Vlasic, OFM, originario di codesta regione e fondatore dell’aggregazione ‘Kraljice Mira, potpuno tvoji – po Mariji k Isusu’.

Con Decreto del 25 gennaio 2008, debitamente intimato, questo Dicastero imponeva severe misure cautelari e disciplinari al Rev. Vlasic.

Notizie non infondate, giunte a questa Congregazione, rivelano che il religioso in parola non abbia ottemperato, neppure parzialmente, all’obbedienza ecclesiastica richiesta dalla delicatissima situazione in cui versa, mentre si appura che svolge solerte attività in codesta diocesi di Mostar-Duvno e nei territori pertinenti, dando vita ad opere di religione, edifici ed altro.

Poiché il Rev. Vlasic è incorso nella censura dell’interdetto latae sententiae riservato a questo Dicastero, prego l’E.V., per il bene dei fedeli, di informare la comunità della condizione canonica del P. Vlasic, e, nel contempo, di relazionare circa la situazione in merito…”.

* * * * *

Si tratta del fatto che la stessa Congregazione della Santa Sede ha applicato le sanzioni ecclesiastiche nei confronti del R. P. Tomislav Vlašić, come risulta dal Decreto della Congregazione (prot. 144/1985), del 25 gennaio 2008, firmato dal Cardinale William Levada, Prefetto, e dall’Arcivescovo Angelo Amato, Segretario della Congregazione, e il “Concordat cum originali”, del 30 gennaio 2008, verificato da msgr. John Kennedy, ufficiale della Congregazione.

Il Decreto è notificato al R. P. fra Tomislav Vlašić in Curia Generale OFM a Roma, il 16 febbraio 2008, e l’intimazione è stata controfirmata dal Ministro Generale dei Frati Minori, Padre fra José R. Carballo, Ordinario del Padre Vlašić.

Nel Decreto della Congregazione sta scritto che il R. P. Tomislav Vlašić, è chierico dell’Ordine dei Frati Minori – fondatore dell’aggregazione „Kraljice Mira, potpuno tvoji – po Mariji k Isusu“ e coinvolto nel “fenomeno Medjugorje » -segnalato alla Congregazione “per divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti contra sextum”.

Studiato il caso, la Congregazione nel suo Congresso particolare ha decretato le sanzioni al R. P. fra Tomislav Vlašić, come segue:

„1. È fatto obbligo di dimora in una domus Ordinis della regione Lombardia (Italia) determinata dal Ministro Generale dell’Ordine, da attuarsi entro trenta giorni dalla legittima intimazione del presente decreto;

2. È interdetta ogni relazione con la comunità ‘Kraljice Mira…’ e con i suoi membri;

3. È vietato effettuare negozi giuridici e agire negli organismi amministrativi sia canonici che civili senza licenza scritta ad actum del Ministro Generale dell’Ordine e sotto la responsabilità dello stesso;

4. È fatto obbligo di seguire un iter formativo teologico-spirituale con valutazione finale e, previa recognitio di questo Dicastero, emissione della professio fidei;

5. Sono proibiti l’esercizio della ‘cura d’anime’, la predicazione, i pubblici interventi ed è revocata la facoltà di confessare fino alla conclusione di quanto disposto al numero precedente, salva la valutazione di merito.

Alla violazione dell’obbligo di dimora (n. 1) e dei divieti menzionati ai nn. 3 e 5 è annessa la sanzione dell’interdetto (ex can. 1332) latae sententiae, riservato alla Sede Apostolica.

Si ammonisce il Rev. Vlasic che in caso di contumacia si procederà al processo penale giudiziale in vista di più aspre sanzioni, non esclusa la dimissione, considerati anche i sospetti di eresia e scisma nonché di atti scandalosi contra sextum, aggravati da motivazioni mistiche.

Il Rev. Vlašić rimane sotto la giurisdizione diretta del Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori che provvederà alla vigilanza tramite il Superiore locale o altro Delegato”.

* * * * *

Ai sacerdoti, religiosi, religiose ed altri fedeli nelle Diocesi di Mostar-Duvno e Trebinje-Mrkan, nonché a tutti a cui spetta “nei territori pertinenti”, si porta a conoscenza in quale status canonico versa il R. P. fra Tomislav Vlašić.

Con particolari ossequi

+ Ratko Perić, vescovo, m.p.

don Ante Luburić, cancelliere, m.p.

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Censurano il crocifisso ed esaltano le parodie dissacranti

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

Mettono la Croce sui poster. Ma la tolgono dalle aule.
di Antonio Socci – Libero
Tratto da: RadioMaria.it

Censurano il crocifisso ed esaltano le parodie dissacranti dans Antonio Socci antoniosocci

In estate la rana crocifissa (col bicchiere di birra e un uovo nelle mani) esposta al museo di Bolzano.
Ora la donna seminuda crocifissa del noto manifesto contro gli stupri, che ricorda la famosa copertina sull’aborto fatta dall’Espresso il 19 gennaio 1975 (rappresentava una donna nuda incinta e crocifissa).
Guai a chi tocca questi “capolavori” chiedendo rispetto per il simbolo cristiano della morte di Gesù (guai anche al Papa che aveva criticato la “scultura” di Bolzano).
Subito incorre negli anatemi dei salotti radical-chic, pronti a vedere in ogni critica un vile attacco alla “libertà di espressione” perché – signora mia – “l’arte deve essere sempre libera e l’artista mai deve avere limitazioni alla sua creatività”.

Ammesso e non concesso che si tratti di arte, resta da capire perché la parodia della crocifissione o la provocazione metaforica della stessa manda tutti costoro in brodo di giuggiole, mentre il Crocifisso vero scatena immediatamente l’istinto della rimozione e della censura.

Ricordiamo tutti quante urla scandalizzate provocò, in questi stessi salotti, il film “The Passion” di Mel Gibson che rappresentava realisticamente i supplizi della crocifissione a cui Gesù fu effettivamente sottoposto.
Quante anime belle deprecarono la “volgarità” di quelle immagini, quanti cuoricini delicati si dissero traumatizzati da tale brutalità. La si giudicò un’operazione cinica.
La rubrica sull’Espresso di Umberto Eco aveva questo sommario: “ ‘La Passione’ è un film che vuol guadagnare molto denaro offrendo tanto sangue e tanta violenza da far apparire ‘Pulp Fiction’ un cartone animato”.

Natalia Aspesi, il 6 aprile 2004, tuonò dalla “Repubblica” contro quel “troppo sangue” deprecando il fatto che il film non fosse vietato ai minori: “Una commissione di censura punitiva, in Italia, non ha previsto nessuna limitazione. Gli pare giusto” denunciava la Aspesi “che a qualsiasi età si assista a un’orgia di sangue, a due ore di sofferenza splatter, al film più horror mai arrivato nei cinema”.
Secondo la “giornalista democratica” in questo (e solo in questo caso!) la censura era necessaria.

Niente crocifissione di Gesù per non turbare la nostra gioventù: non importa se poi, secondo le statistiche, un bambino italiano, prima di aver concluso le elementari, ha visto in media in tv 8.000 omicidi e 100 mila atti di violenza.
Ma la Passione di Gesù giammai deve essere mostrata nella sua cruda realtà (non sia mai che si pongano qualche domanda su quel pericoloso e inquietante Gesù…).

Invece le parodie della crocifissione – dicevamo – spopolano nei salotti “illuminati”: le rane crocifisse prima e ora la donna crocifissa.
Ieri l’Unità ha messo addirittura in copertina la foto del manifesto della campagna antistupro in occasione della manifestazione di Roma organizzata dalle femministe.
Premesso che trovo orribile qualsiasi violenza sulle donne e che il mondo femminista sembra stranamente silente e disattento quando gli orrori contro le donne vengono perpetrati in un contesto islamico (penso alla recente vicenda di Aisha, tredicenne, che in Somalia è stata rapita e stuprata da tre uomini e poi è stata fatta lapidare dalla “corte islamica”, con l’accusa di adulterio perché chiedeva giustizia, mentre i tre violentatori sono stati lasciati liberi), premesso pure che in questo caso il richiamo al simbolo della crocifissione può anche essere sensato e giusto (se non fosse che la nudità offerta da quel manifesto antistupro in fondo rischia di ricadere nella stessa mercificazione del corpo femminile che si intende condannare), premesso tutto questo, perché la repulsa dell’unico che a quella croce è stato inchiodato davvero?

E’ curioso. Nei giorni scorsi Michele Serra è intervenuto sulla Repubblica, naturalmente a favore di tale manifesto con la donna crocifissa, con questa affermazione di singolare superficialità: “La croce, per quanto dura e crudele sia la sua funzione, segna e nobilita il suo passeggero, sia una rana, un dio, una donna nuda. Mette in fuga solamente vampiri e satanassi, solo i malvagi si turbano quando la vedono”.
A parte quella volgarotta parificazione fra la rana, “un dio” (con la d minuscola come usava nei Paesi dell’est) e “una donna nuda”, Serra mostra di ignorare totalmente che, al contrario, la crocifissione era il peggiore supplizio dei romani proprio perché, alle atroci sofferenze, aggiungeva l’umiliazione, l’esposizione vergognosa del corpo offeso, il dileggio crudele della nudità. Ciò che l’ha nobilitata è stata solo la crocifissione di Gesù, cioè di Dio.

Ma soprattutto, viene da chiedersi, se la croce “mette in fuga solamente vampiri e satanassi”, se “solo i malvagi si turbano quando la vedono”, perché lui stesso – Serra Michele – il 30 ottobre 2003, sulla Repubblica, si univa al coro di coloro che non volevano il crocifisso nelle scuole?

Scriveva: “i simboli religiosi, nei luoghi dello Stato, invischiano lo stesso Stato in una inevitabile e spinosa commistione di ruoli e di significati. Tolte la bandiera e l’immagine del Presidente della Repubblica, che appartengono a tutti i cittadini, ogni altra icona, comprese quelle più affini ai sentimenti di maggioranza, è inevitabilmente di parte, e non può essere la percentuale soverchiante a giustificarne la legittimità.”

Sennonché, per distinguersi da Adel Smith, Serra lanciò una proposta di compromesso: “in ogni nuovo edificio pubblico – scuola, tribunale, ospedale – non devono essere esposti simboli di fede, perché lo Stato è la casa di tutti.
Quanto al già edificato, e già arredato da crocifissi e altro, si condona munificamente, nella profonda e serena convinzione che ogni muro debba rimanere come è stato concepito e osservato dai milioni di italiani che ci sono passati davanti”.

Pure Corrado Augias è intervenuto sulla Repubblica in difesa del manifesto con la donna crocifissa, eppure lo stesso Augias sullo stesso giornale, il 18 giugno 2004, si era pronunciato non solo contro i crocifissi appesi sui muri delle scuole, ma addirittura a favore della fanatica legge francese la quale, in nome dei “principi laici… vieta nelle scuole i simboli ‘ostentatori’ come il velo, la kippah, il crocifisso”.

Così la donna seminuda-crocifissa sui manifesti o sulla copertina di un giornale o la rana crocifissa nel museo e sui giornali sarebbero legittime rappresentazioni, mentre invece portare il crocifisso cristiano al collo sarebbe un attentato alla laicità.
Come si vede si va ben oltre la questione del crocifisso appeso alle pareti.
In questo caso mi sembra che vi sia addirittura la limitazione della libertà personale.

Resta comunque da capire il perché di questa avversione al crocifisso. Il giurista ebreo-americano John Weiler sostiene che in Europa divampa la “cristianofobia” provocata dal “risentimento” che gli eredi delle vecchie ideologie provano verso la Chiesa, che non è scomparsa come loro volevano e prevedevano.
Ma forse questa avversione è pure un tentativo inconscio di “autodifesa” dal fascino formidabile che Gesù esercita su chiunque posi su di lui lo sguardo.

Un giorno, dopo il pronunciamento di un tribunale sulla rimozione di un crocifisso, il maestro Marcello d’Orta, l’autore di “Io speriamo che me la cavo” scrisse un articolo dove ricordava le risposte dei suoi alunni al tema “Che mestiere vorresti fare” da lui assegnato: “qualcuno dei miei bambini rispondeva; il camorrista, il boss, perché solo il camorrista, solo il boss è uomo”.
Il maestro spiegava nell’articolo che le materie scolastiche non lo aiutavano a far riflettere i ragazzi e che trovò un sorprendente aiuto proprio nel Crocifisso: “Fu grazie al costante, quotidiano riferimento a questo simbolo di dolore, ma anche di salvezza e di speranza che più d’uno dei miei ragazzi ebbe salva la vita.
Togliete i crocifissi dalle scuole e avrete fatto ben più che offendere un popolo, lo avrete privato di tante coscienze”.

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La conversione di Gramsci e santa Teresina di Lisieux

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

La conversione di Gramsci e santa Teresina di Lisieux dans Andrea Tornielli Teresina-di-Lisieux

[...] il vescovo Luigi De Magistris, pro-penitenziere maggiore emerito, intervenendo alla presentazione del primo catalogo internazionale dei santini, ha rivelato i particolari delle ultime ore di vita dell’ideologo del Pci Antonio Gramsci: “Il mio conterraneo, Gramsci, aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: ‘Perché non me l’avete portato?’ Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i Sacramenti, è tornato alla fede della sua infanzia. La misericordia di Dio santamente ci ‘perseguita’. Il Signore non si rassegna a perderci”.

di Andrea Tornielli – blog.ilgiornale.it/tornielli

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Qualcuno era comunista

Posté par atempodiblog le 26 novembre 2008

«Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri. Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa. Qualcuno era comunista perché… era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana, e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita». Ieri qualcuno ha scoperto di essere stato comunista per aspettare il giorno del trionfo non della classe operaia, ma di Vladimir Luxuria all’Isola dei Famosi.

Qualcuno è stato comunista per leggere su Liberazione, «giornale comunista », il titolo in prima pagina «Forza Vladimir, hai vinto tu», e poi parole come queste: «Ha fatto diventare la sua scelta di vita come una bandiera di libertà. (…). Luxuria, partecipando e trionfando all’Isola, ha spiegato a milioni emilioni di italiani che la realtà è diversa e che anche questa realtà deve godere degli stessi diritti della presunta maggioranza. Vladimir come Obama? È un po’ esagerato, ma fatecelo dire».

Qualcuno era comunista, diceva ancora Gaber nel suo celebre monologo, «perché vedeva la Russia come una promessa». Ieri ero a Bologna, città che amo come un sogno di giovinezza, e mi sono sorpreso nel vedere che c’è ancora una via Yuri Gagarin. Il 12 aprile del1961 fu il primo essere umano ad aver esplorato lo spazio; fu il simbolo dell’umanità nuova, un mito di progresso, l’avanguardia degli oppressi finalmente liberati. Dev’essere davvero beffardo, il destino, se ha voluto che alla fine l’unica vittoria del comunismo portasse comunque il nome di un russo: che però è quello di un foggiano che si chiamava Vladimiro, e ora si fa chiamare Vladimir.

«Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio»: ma ieri si è scoperto che perfino Gramsci non era poi così ateo, ed è morto baciando un’immaginetta di Gesù Bambino. Che giornata nera, per chi è stato comunista. Nemmeno noi, che comunisti non lo siamo stati mai, ci sentiamo di fare i maramaldi. Il comunismo lo abbiamo avversato: ma anche ritenuto una cosa seria. Era stato un sogno per milioni di operai e contadini curvi sulle loro fatiche. «Ormai il sogno si è rattrappito», finiva Gaber, «due miserie in un corpo solo». Quello di un transgender che vince un reality.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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«Pecore e Pastori»

Posté par atempodiblog le 25 novembre 2008

«Pecore e Pastori». Il nuovo saggio del cardinal Biffi
di Andrea Tornielli

«Pecore e Pastori» dans Andrea Tornielli Pastori-e-pecore

«Una delle cose che mi impressionano di più è che al giorno d’oggi non è più l’eresia, ma è l’ortodossia a fare notizia». Giacomo Biffi, ottant’anni lo scorso giugno, arcivescovo emerito di Bologna, milanese di nascita, porporato che non ha mai avuto paura ad apparire controcorrente, dopo il volume Memorie e digressioni di un italiano cardinale pubblica per le edizioni Cantagalli un nuovo libro intitolato Pecore e Pastori. Riflessioni sul gregge di Cristo (pagg. 256, euro 13,80, in libreria dal 25 novembre). Chi sono le pecore e chi è il pastore? Quali i loro compiti? Parte da queste domande, il cardinale, che in una delle pagine del volume scrive: «Oggi sempre più frequentemente ci si meraviglia quando un papa o un vescovo dice ciò che la Chiesa ha sempre detto (e non può non dire perché appartiene al suo patrimonio inalienabile); come se fosse ormai persuasione pacifica che anche la Chiesa non creda più al suo messaggio di sempre. Talvolta in qualche settore del mondo cattolico si giunge persino a pensare che debba essere la divina Rivelazione ad adattarsi alla mentalità corrente per riuscire “credibile”, e non piuttosto che si debba “convertire” la mentalità corrente alla luce che ci è data dall’alto. Eppure si dovrebbe riflettere sul fatto che “conversione” non “adattamento” è parola evangelica». Del resto, «la prima frase che Gesù pronuncia inaugurando il suo apostolato non è: “Il mondo va bene così come va; adattatevi al mondo e siate credibili alle orecchie di chi non crede”; ma è: “Il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”». Il brano del nuovo libro di Biffi che anticipiamo in questa pagina è dedicato al tema dell’omosessualità e più in generale della sessualità. Il rispetto, l’accoglienza e la misericordia per il peccatore non inibiscono il cardinale dal ricordare le parole severe contenute nella Scrittura.

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Quella battaglia contro la verità

Posté par atempodiblog le 25 novembre 2008

Russia
Quella battaglia contro la verità

Pigi Colognesi – tracce.it (RIVISTA INTERNAZIONALE DI COMUNIONE E LIBERAZIONE)

La Rivoluzione d’ottobre compie novant’anni. Tra dibattiti, ricostruzioni storiche e celebrazioni di qualche nostalgico. Ma che cosa c’era alla radice di quel fatto capace di generare tragedie nella storia? Un rifiuto della realtà. E un pericolo molto attuale

La Rivoluzione sovietica compie novant’anni. Siamo invasi da ricostruzioni storiche, interpretazioni politiche, dotti dibattiti su meriti e torti dei seguaci di Lenin che hanno attuato il primo esperimento di società comunista, col suo strascico di morti, dittatura, gulag. Non mancano i nostalgici, pervicacemente attaccati all’idea che, in fondo, quella rivoluzione è stata e rimane un grande ideale, malauguratamente tradito dai suoi stessi promotori. Né mancano i parallelismi tra l’Urss e l’attuale Russia putiniana, tornata a far la voce grossa sullo scacchiere internazionale.
Qui non ci occupiamo di tutto ciò. Vogliamo tentare di rispondere a un’altra domanda. Cosa ci dice oggi la Rivoluzione d’ottobre? Va da sé che la storia non si ripete e che, quindi, le condizioni attuali sono così diverse da quel lontanissimo 1917 che ogni parallelo potrebbe apparire forzato. Tuttavia la storia dovrebbe essere magistra vitae e pertanto pertinente al nostro presente. È dunque importante cercare di capire se qualcosa dei movimenti spirituali, culturali e politici che hanno determinato la Rivoluzione sovietica è presente ancora oggi. Tentiamo di rispondere utilizzando la mostra che la Fondazione Russia Cristiana ha curato nella scorsa edizione del Meeting di Rimini.

Il caso Tolstoj
Lev Tolstoj è stato l’intellettuale che più di ogni altro ha determinato la cultura russa dal secondo Ottocento fino alle soglie della crisi rivoluzionaria (muore nel 1910). Per tutta la vita inseguì l’ideale della giustizia e del bene, fino a costruire una sorta di religione fondata sulla non violenza, la bontà, lo spirito comunitario. Ovviamente Tolstoj – cui non sfuggivano le fondamentali domande religiose che urgevano in lui a un’apertura al Mistero – dovette fare i conti anche col cristianesimo. Ma ne accettò solo quello che poteva rientrare negli schemi della sua razionalistica visione del mondo. Benissimo l’insegnamento morale contenuto nel Vangelo, ma che non gli si parlasse della persona di Cristo (disse che non avrebbe neppure avuto piacere di incontrarlo) e tanto meno di una qualche autorità (quella della Chiesa) esterna alla sua coscienza. E la Chiesa ortodossa lanciò contro di lui l’anatema, anche per preservare dalla confusione il popolo che poteva scambiare la predicazione “buonista” di Tolstoj per vero cristianesimo. Da parte sua la Chiesa ortodossa si trovava da due secoli gravemente asservita al potere laico, come si trattasse di un ministero alla pari di altri; tanto che a capo del Santo Sinodo, la massima autorità ecclesiastica russa, sedeva un funzionario laico, nominato dallo Zar. Un cristianesimo, quindi, formalmente ossequiato, ma per certi aspetti lontano dalla vita del popolo e, soprattutto, dal cuore della riflessione culturale, ove si costruiva la mentalità futura. La presunzione razionalistica che si crede capace di costruire “l’uomo nuovo” e la debolezza esistenziale e culturale della Chiesa hanno sicuramente contribuito a creare il clima in cui lo spirito rivoluzionario ha potuto attecchire.
Non è difficile trovare analogia con l’oggi. Da un lato, un cristianesimo lontano dagli interessi integrali della vita, auto-recluso in una evanescente dimensione “spirituale” oppure occupato a cercare una piccola visibilità mediatica. Dall’altro, un mondo culturale e intellettuale che non può non riconoscere i “valori” del cristianesimo, ma che ne rifiuta il metodo essenziale: quello di una compagnia cui aderire e obbedire. In questa condizione si crea per forza un vuoto sia di consapevolezza, sia di esperienza. E uno spirito rivoluzionario (magari non di carattere sociale, ma, per esempio, ammantato di pretese scientifiche) può facilmente trovare terreno di coltura in questo vuoto.

Le radici del terrorismo
Il terrorismo aveva radici antiche in Russia (lo zar Alessandro II era morto in un attentato nel 1881), ma negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione (e con immensa soddisfazione dei rivoluzionari stessi) raggiunse livelli spaventosi: dal 1900 al 1917 ci furono oltre ventitremila attentati con più di undicimila morti. La vita umana non aveva più nessun valore di fronte alla volontà rivoluzionaria di far cadere il regime. Fino al punto che l’assassinio in quanto tale (a prescindere dai suoi obiettivi politici) era diventato un “valore”. E se a morire in qualche attentato erano anche civili innocenti, non importava; anzi: poteva servire a creare il desiderato clima di terrore. C’erano pure i kamikaze (nel 1907 una ragazza ventunenne entrò nella direzione carceraria di San Pietroburgo con addosso cinque chili di nitroglicerina) e i progenitori delle autobombe (una carrozza imbottita di esplosivo, lanciata contro l’abitazione del Primo Ministro).
Prima della Rivoluzione d’ottobre ci fu una specie di prova generale, nel 1905. Riflettendo su quel primo sussulto, un gruppo di pensatori (Bulgakov, Berdjaev, Struve e altri) pubblicò una raccolta di saggi intitolata La svolta (Vechi). Vi analizzavano soprattutto le colpe della classe intellettuale. Ma quel che qui importa rilevare è che gli estensori di Vechi avevano acutamentemesso in evidenza l’assurda propensione al nulla, alla distruzione, alla morte che animava i rivoluzionari. È impressionante rileggere oggi quelle pagine. Sembra che gli estensori stiano descrivendo la malattia da cui è afflitta la nostra società: non c’è nulla di certo, ogni vecchio valore va distrutto, le basi della convivenza devono essere completamente sradicate, ogni tradizione rifiutata. Essi parlano esplicitamente di funesto «amore per la morte», di fascino del nulla, come del tarlo sotterraneo ma attivissimo che rode le radici della società.

«Lottare contro il gelo»
Non possono non venire in mente le cronache attuali: la paura del terrorismo sta ormai nel sottofondo della nostra consapevolezza quotidiana, così come l’ansia di fronte a trasformazioni che non sappiamo governare, dall’imponente fenomeno migratorio alle incontrollabili mutazioni climatiche. Ma quel che più colpisce è la somiglianza della situazione spirituale di fondo descritta da Vechi con la nostra. La violenza gratuita o per futili motivi (in famiglia, nelle scuole, sulle strade) denota un grave sprezzo per la vita, una sua radicale svalutazione. La verità sembra diventata una chimera irraggiungibile, tanto che il percorso educativo la lascia fuori dal suo orizzonte, sostituendola con qualche blanda regola di convivenza (che alla fine non può che essere un equilibrio di potere). L’assenza di certezze viene eretta a criterio di sanità e laicità del pensiero, generando una insicurezza di fondo dove ogni avventurismo può trovare spazio. «Noi amiamo la morte», dicono nei loro messaggi alcuni kamikaze; e così sembrano confermare che la religione è nemica della vita. Mentre l’Occidente «sazio e disperato» la vita l’ama così poco che i figli stessi diventano un problema. Per questo Benedetto XVI ha parlato di una grave malattia morale che attanaglia la nostra civiltà e che consiste esattamente in una strana propensione per il nulla.
Da premesse simili derivò la rivoluzione sovietica. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Chiara è la responsabilità dei cristiani: la testimonianza che il nulla non può vincere perché è già stato sconfitto. Come diceva Sergej Fudel’, un credente russo che ha passato decenni in lager, il nostro compito è quello di «lottare contro il gelo che attanaglia il mondo col tepore del proprio respiro».

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«La Chiesa è donna e loro ne sono la testimonianza vivente»

Posté par atempodiblog le 24 novembre 2008

Parla la badessa Anna Maria Canopi
«La Chiesa è donna e loro ne sono la testimonianza vivente»
La scelta «Leggiamo le notizie essenziali su alcuni quotidiani per capire le necessità di tutti gli uomini»
di Gian Guido Vecchi – Corriere della sera

«Si dicono troppe parole, c’ è troppo rumore. Ciò che più manca al mondo è l’ interiorità, la profondità: il silenzio». Per questo cresce il numero di giovani che scelgono la clausura, madre? «La scelta oggi è più consapevole e responsabile, una responsabilità che è dono della Grazia di Dio. Le vocazioni contemplative crescono in una società satura di frastuono, di superficialità, anche di volgarità. Si sceglie di impostare la vita su valori eterni, di tornare all’ essenzialità, alla purezza, alla semplicità. Nel Vangelo Gesù dice: rimanete nel mio amore. Rimanete. Significa sostare, raccogliersi, non essere sempre in fuga». Anna Maria Canopi è fondatrice e badessa del monastero Benedettino di clausura «Mater Ecclesiae», nell’ isola di San Giulio sul lago d’ Orta. Arrivarono in sei nel ‘ 73, la piccola isola era abbandonata come l’ ex seminario, oggi le monache sono più di settanta ed il luogo così ieratico e suggestivo che ne I numeri della sabbia di Roger Talbot, thriller fantareligioso che sta scalando le classifiche, diventa il centro dell’ azione, con la superiora dipinta quale Custode dell’ unica copia originale dell’ Apocalisse. Ma la realtà sa essere più sorprendente, la vera badessa è una grande studiosa di Patristica, autrice di diversi libri di Lectio divina e spiritualità cristiana e monastica. Madre Canopi ha collaborato all’ edizione della Bibbia Cei e del Catechismo. Ed è l’ unica donna, con suor Minke de Vries, che sia mai stata chiamata a scrivere, nel 1993, le meditazioni per la Via Crucis del Papa. Al telefono la voce è fragile, sommessa, quasi disincarnata dall’ ascesi. A Sat2000 ha mostrato un volto sereno e luminoso, seminascosto dal velo nero. «Il silenzio è espressione della nostalgia. Siamo come gocce di rugiada che anelano a ritornare nell’ oceano infinito di Dio. Il Signore fa uscire dal silenzio tutto ciò che esiste perché quando si ama si dicono poche parole, e ci si dona». Le testimonianze raccontano spesso di donne colte… «Non è un caso: oggi sono veramente molte le donne colte che scelgono la vita claustrale perché la cultura, quando è seria, porta a scoprire i valori assoluti, il Bene assoluto che è Dio». Lei disse: la Chiesa è donna e le donne «l’ anima della Chiesa». Si pensa che le donne siano piuttosto ai margini. Cosa intendeva? «Le donne sono in certo modo « l’ anima della Chiesa » a somiglianza di Maria che vi è presente con cuore di madre, colma di amore. Per questo anche tra gli apostoli Maria non ha funzioni particolari: è il tempio vivente dello Spirito Santo che è amore e anima tutta la Chiesa». Perché la clausura femminile è più radicale? «È un dono. Certo dipende dai singoli, ma la donna, forse per l’ istinto materno, è portata alla dedizione totale, a compiere scelte di maggior sacrificio, nella gratuità». Come essere sicure di una scelta «per sempre»? «Chi entra in monastero ha in animo di donarsi per sempre; c’ è tuttavia un periodo di formazione, il noviziato, nel quale si è aiutate a fare discernimento sull’ autenticità della vocazione. Ci possono essere dubbi prima e dopo. Talvolta esistono motivi seri per non proseguire. Ma la vocazione che passa attraverso il crogiuolo della prova diventa più pura e forte». C’ è chi pensa alla clausura come una «fuga dal mondo» dettata dal pessimismo. Il mondo è messo così male? «La società del nostro tempo è gravemente malata di superficialità, relativismo, instabilità, protagonismo, edonismo, consumismo e molti altri mali che denotano, loro sì, una concezione pessimista dell’ uomo e della vita. Ha bisogno di una trasfusione di santità e ottimismo cristiano. Le comunità di vita contemplativa possono dare « pronto soccorso » offrendo il loro sangue purificato dalla comunione vitale con il Cristo». Che rapporto avete con il mondo esterno? «Sereni rapporti fraterni, accogliendo quelli che desiderano pregare con noi e approfondire la conoscenza di Dio ascoltando le Sacre Scritture. Noi non abbiamo né radio né Tv; non usiamo internet. Leggiamo alcuni quotidiani per assumere nella nostra preghiera le necessità di tutti, gioie e dolori». Perché il mondo ha bisogno della vita contemplativa? «Il monaco è colui che sta alla presenza di Dio per tutti. Nel silenzio e nella solitudine, nell’ ascolto della Parola e nella preghiera, nell’ umile amore oblativo, si può cercare e conoscere meglio Dio e testimoniarlo agli altri con una vita santa. E questo è possibile soltanto « nulla anteponendo all’ amore di Cristo », per attingere da Lui la grazia divina che rende capaci di amare fino a dare la vita per tutti». Ride con tenerezza, Madre Canopi, mentre racconta che da piccola diceva a sua madre di desiderare almeno venti figli, «quando poi sono entrata in monastero la mamma mi fece: ma tutti quei figli? E io le ho detto: bè, ne avrò altri…».

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