• Accueil
  • > Archives pour octobre 2008

La squadra che ha inventato il calcio

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

« Qui è iniziata la storia ». In viaggio con la squadra che ha creato il calcio 
di Giuseppe De Bellis – Il Giornale (2007)

La squadra che ha inventato il calcio dans Sport calcioxj6

L’ora del tè, più o meno. Il campo là, a vista: erba verde, un po’ alta, fitta, perfetta per il cricket. Però la pioggia, maledetta: Sheffield non era ancora triste come oggi. Grigia sì, il 24 ottobre. Nuvole. Allora la noia. William, Nathaniel e Thomas: «Dovremmo trovare qualcosa da fare per divertirci in inverno, quando il cricket si ferma». Sulla poltrona di fronte alla finestra, sotto la pioggia, col tè bollente. Il football fu quella cosa lì: l’antinoia. Ne avevano sentito parlare, William, Nathaniel e Thomas. L’avevano visto, pure: la palla presa a calci, due pali, un punteggio. Pioggia, sole, vento, neve: sull’erba il pallone rotola sempre. This is football. Il calcio moderno, eccolo. Esisteva il gioco, non una squadra. Si faceva così: scapoli e ammogliati, oppure misti, gruppi di amici, la terza E del liceo, contro la terza B dell’altro liceo.

Quel giorno no: Sheffield Football Club, la prima squadra della storia. Maglie, pantaloncini, calzettoni. Berretto, pure: all’epoca era obbligatorio. Undici ragazzi: Thomas Ward si defilò, troppo preso dal resto. Rimase proprietario della sede del Club: una depandance di casa sua, quella del tè e della noia, quella di quel pomeriggio di pioggia. Da soli, Nathaniel Creswick e William Prest, andarono a chiamare i ragazzi che avevano visto giocare sui prati della città: «Vuoi venire? Abbiamo formato una squadra di calcio». Uno alla volta ne presero una ventina. Li misero in campo, a scannarsi. Perché il football allora era un’appendice del rugby. Con le punizioni, però: non si poteva trattenere un avversario, non si poteva sgambettare, non si poteva toccare il pallone con le mani. Sheffield inventò un codice, l’alba di un regolamento. Sulle porte arrivarono le traverse, i giocatori erano limitati a undici per squadra, il pallone non doveva superare i due chili. Poi il corner, che non se ne poteva più di battere con le mani anche quando il portiere salvava un gol. Cambridge aveva già cominciato, nove anni prima, a scrivere i punti chiave del calcio diventati poi le tavole uniche del pallone dal 1863. Sheffield contro Cambridge: per un secolo e mezzo hanno litigato per stabilire chi sia stata la casa del pallone. Si sono divise i meriti: a una la legge, all’altra gli uomini. Quella squadra, allora. Quella squadra che la prima volta in trasferta andò a giocare addirittura a Londra. E perse. Però fece esordire un’altra regola: la partita doveva durare novanta minuti, divisa in due tempi da quarantacinque. Quella squadra che adesso ha 150 anni e che s’è ostinata a rimanere incredibimente uguale: in città è arrivato lo United, poi il Wednesday. Si sono presi la gloria: promozioni, coppe d’Inghilterra, scudetti. First division e pure la Premiership. Lo Sheffield Football Club gioca nella Premier Division della Northern Counties East League. È la nona divisione inglese, una terza categoria italiana. Dilettanti. Di più: amatori. E però con lo store ufficiale, col sito internet, con la maglia griffata Nike. Con uno scudetto sulla divisa: Ordine del merito della Fifa. C’è solo un’altra squadra al mondo ad averlo: è il Real Madrid.

Furbi quelli dello Sheffield Fc: fanno finta di fare i poveri per diventare ricchi. Allora giocano l’amichevole con i Glasgow Rangers e col Manchester United. Venti sterline a testa l’ingresso. «Sono partite uniche. Sono la nostra leggenda e la leggenda del calcio: i 150 anni del club più antico del mondo». Richard Tims è il Nathaniel Creswick contemporaneo. Faccia tosta. S’è comprato la storia nel 1999, in prospettiva. «Nel 2007 volevo essere io il presidente». Ora c’è. Sua la baracca, suo il campo: è la prima volta che l’Fc ne ha uno vero. Prima ha vagato per quelli della zona, alla ricerca di un posto, di uno spogliatoio, di una doccia. L’ha trovato a Dronfield, poco più in là dalle ciminiere di Sheffield, dall’acciaio che cola e fuma, dal paesaggio alla Full Monty. Lontano dallo stadio dello United, lontano dallo stadio del Wednesday, lontani dai tornelli e dagli steward, dalle telecamere, dal satellite e dal cavo.

Cinquecento posti a sedere, gli altri in piedi, please. Il campo si chiama Coach & Horses Ground: alle panchine si accede passando attraverso un pub. Una pinta per la vita, un’altra per la gloria. Ora gli hanno dato un altro nome: Bright Finance Stadium. Questione di sponsor, ovviamente. Soldi anche qui. Soldi sempre. Ne approfitta pure la storia, quando ci sono. Qui non succede sempre, neppure quando arriva uno che sa giocare, quando cresce, quando qualcuno lo viene a vedere e vuole comprarselo. Come Sam Sodje. Oggi gioca nel Reading, Premier League. A Sheffield passò nel 2000, solo per un anno. Lo chiese il Stevenage Borough e lo pagò sull’unghia: quattro palloni e ventidue divise da gioco. Bianco-rosse: maglietta, pantaloncini, calzettoni. Arrivarono sporchi.

Publié dans Sport | Pas de Commentaire »

La disfida di Halloween

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

La disfida di Halloween dans Fede, morale e teologia No-Halloween

La festa della zucca è innocua oppure è soltanto una ricorrenza consumistica, anzi pericolosa, che finisce per irridere i riti sacri tradizionali e per far dimenticare contemporaneamente il senso della morte?
di Roberto Mussapi -  Avvenire

Avevo già espresso, tempo fa, il mio fastidio per la festa di Halloween. Poiché continua a imperversare, con la fatalità dei fenomeni più diffusi e immotivatamente accettati (il presenzialismo televisivo, i grandi fratelli e le isole dei presunti o sedicenti famosi), ma con un’ombra più inquietante, mi pare il caso di soffermarmi su questa carnevalata dello spirito, su questa « festa de noantri » dove il tema però non è la porchetta o il vino dei castelli, ma l’anima, il suo destino dopo la morte. La cupa festa chiaroscurale di Halloween mette infatti in scena zucche svuotate da zucche vuote, che impersonano spiriti dei morti, i quali in tale occasione verrebbero a visitarci. E precede quella dei Santi e di Morti. La prima riguardante i cattolici, che nei Santi vedono una sopravvivenza alla vita straordinaria, esemplare per esemplarità di comportamento già in vita. La seconda, quella dei morti, credo sia una festa di tutti: i morti sono di tutti e lo strazio del decesso riguarda perché ferisce allo stesso modo credente e non credente, che pure hanno, per il « dopo », prospettive ben differenti. Dante ha una visione della morte diversa da quella di Foscolo, ma è identico nei due poeti lo sgomento dell’attimo unito a un subitaneo desiderio, anzi bisogno, d’immortalità, a un perdurare comunque degli affetti, o in assoluto o nel non minimale assoluto della memoria.

La festa di Halloween attinge a tradizioni afroamericane serie, riguardanti il rapporto tra il vivente e gli antenati, tra l’istante e gli spiriti dei morti, tra il presente e l’origine. Cose serie, ripeto, inscritte nell’ordine sacro in cui in ogni tempo e in ogni parte del mondo l’uomo si interroga da sempre sul proprio destino. Tramutata così in carnevalata americana non offende solo il senso della vita e della morte, la cognizione del dolore, di noi contemporanei, non importa assolutamente se credenti o non credenti, offende anche lo spirito originario e antico da cui è stata presa in prestito per essere poi distorta, tramutata in parodia.

Non intendo colpevolizzare chi innocentemente, con la famiglia o gli amici, festeggia questo obbrobrioso atto di scherno ai defunti e allo spirito: intendo metterlo in guardia, fargli sapere che, in buona fede, sta scherzando col fuoco. Se oggi la vita non vale nulla e padri e figli si ammazzano come bestie, se si sceglie ciecamente la morte altrui e propria in folli scorribande notturne dopo la discoteca, se ci si distrugge a quindici anni con droghe acquistate davanti alla scuola e consumate in gruppo con inquietanti corollari, se a Perugia avviene un delitto esemplare per sprezzo di ogni forma di respiro, se ragazzotti ignoranti sfondano le porte delle chiese di notte per improvvisare orridi riti satanisti, con fiumi di sangue, non è forse perché non abbiamo più il senso tragico della morte? Certo la festa in questione non ha nessuna intenzione malvagia, sia chiaro. Ma sottende una sottovalutazione, anzi una farsesca messa in ridicolo di una questione di fondo.

Non è il caso di svegliarci rispetto a riti questa volta innocenti e pacifici, ma nel fondo sprezzanti del sacro confine tra vita e morte? Che, sia chiaro, non deve essere un incubo puritano, ma al contrario un ringraziamento alla vita, un inno a tutto ciò che respira, e che, se amato, vivrà ancora, e per sempre, ovunque ognuno di noi gli trovi posto secondo la sua sensibilità, in Cielo o semplicemente nel suo Cuore.

Boicottiamo Halloween dans Halloween divisore-halloween

E se provassimo a rendere «cristiana» la festa?
I nostri antenati hanno saputo trasformare in autentico senso religioso i riti pagani. E noi?
di Roberto Beretta – Avvenire

La zucca è uno strano vegetale, che quando le metti davanti un ostacolo – sia un muro, sia una grossa e apparentemente invalicabile pietra, per non dire una rete o qualsivoglia altra recinzione – cerca, spinge, annusa e s’insinua nelle minime fessure fino a che, un bel giorno, ti ritrovi nell’orto una grossa cucurbitacea che certo non avevi piantato, voluto e programmato nemmeno; ma c’è. Eccome se c’è. La paraboletta tardo-autunnale non ha molte pretese, se non quella di attirar l’attenzione su un dato di fatto assai pratico e peraltro robustamente fondato su dati storici: ogniqualvolta cioè i cattolici si sono arroccati in difesa, hanno sempre inguaribilmente fallito (e, Halloween a parte, dobbiamo pur confessare che oggi la Chiesa gioca spesso il catenaccio). Non si tratta soltanto dell’applicazione pedissequa del buon (buon?) senso comune – tipo «La miglior difesa è l’attacco»; no, qui si va oltre: è che il cattolicesimo è fatto per essere espansivo, missionario, per contagiare ed entusiasmare, sennò è morto. E non riesce nemmeno a mantenere le posizioni che si era illuso di aver «conquistato» a mai più riparlarne.

Dipinto lo sfondo, il quale peraltro dovrebbe suggerire prudenza dallo sparar anatemi e indire crociate pastorali, non risulta inutile annotare che – in fondo – la Chiesa vien ripagata della sua stessa moneta. Già. Fu almeno dal IV secolo, infatti, che la saggezza dei Padri (non tutti, per la verità: ci fu anche chi abbatté gli idoli con l’ariete e la spada…) ha preferito mediare anziché cancellare, sovrapporsi e trasfigurare piuttosto che annullare, incenerire, seppellire, censurare. Ovvero: le feste pagane, i nostri antenati le hanno sapute «cristianizzare», riciclando intelligentemente il contesto – ormai ben introdotto nella tradizione popolare – e imbottendolo di contenuti completamente nuovi. Se dunque Hallowen (che, ricordiamolo, significa letteralmente «vigilia di Ognissanti») dovesse riprendere le sue vesti celtiche – vere o presunte che siano – o piuttosto ammantarsi di lustrini consumistici oppure celarsi sotto rituali più o meno «satanici», non farebbe che riappropriarsi di un territorio già suo; e a noi resterebbe semmai da meditare come e perché non ci sia data la forza culturale (e fors’anche spirituale) per ripetere l’impresa dei nostri antedecessori.

Ogni generazione ha i suoi modi per riflettere sulla morte: nel Seicento lo si faceva meditando davanti a un teschio, oggi sganasciandosi di fronte a una cucurbitacea intagliata. Ma lo scherzo e la stessa parodia non sono sempre stati nei secoli – dalle «danze macabre» al cinema horror – sistemi per esorcizzare la paura, in fondo dunque per riconoscerla, sia pure in via di paradosso e per contrari? Il nostro tempo cerca confusamente i contorni del mistero della vita e lo fa come sa, come può: poveramente, forse; carnascialescamente, anche. Del resto, bisognerebbe andare ben lontano per rintracciare le radici di una «scomparsa della morte» che coinvolge ormai tutti gli ambiti sociali (dagli ospedali alle chiese) e interessa versanti etici, intacca abitudini familiari, induce comportamenti nuovi. Dovrebbe sfiorarci dunque il dubbio che, con l’innocuo dilemma «Dolcetto o scherzetto?», i nostri figli mascherati da scheletri balbettino a modo loro (ma forse è l’unico che conoscono) una domanda – magari malposta o superficiale, comunque una domanda. Il futuro sarà quel che risponderemo.

Tratti da Holy Queen

Publié dans Fede, morale e teologia, Halloween, Riflessioni | Pas de Commentaire »

« Lezione nei luoghi di Gomorra »

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2008

« Lezione nei luoghi di Gomorra »
L’iniziativa degli studenti della Seconda Università


Foto: Riccardo Siano

Previste anche manifestazioni degli studenti del Convitto

Lezioni bloccate, traffico fermo, centinaia di studenti universitari in corteo per le strade di Napoli: è il bilancio nel pomeriggio di mobilitazione degli atenei contro la riforma Gelmini nella città partenopea.

Cortei. Manifestazioni spontanee di studenti contro la riforma Gelmini si sono susseguite in mattinata a Napoli. La prima attuata da circa 400 ragazzi di quattro istituti superiori della zona occidentale della città, che in corteo hanno attraversato viale Kennedy, la sede dei binari del metro all’altezza della stazione di Campi Flegrei (provocando uno stop alla circolazione dei treni per un breve lasso di tempo), manifestando infine sotto la sede della Rai in viale Marconi. Assemblea e presidio spontaneo a piazza del Gesù, davanti allo storico liceo classico « Genovesi », occupato due giorni fa, con un via vai di centinaia di studenti universitari e delle superiori.

Seconda Università: lezioni nei luoghi di Gomorra. Lezioni all’aperto in luoghi « simbolo » della provincia di Caserta, identificati come regno del clan dei Casalesi, come Casal di Principe e Castel Volturno, spazi di discussione permanenti nelle Facoltà, una manifestazione contemporanea a quella nazionale del 14 novembre con un’assemblea generale. Queste le principali iniziative prese oggi nel polo scientifico in via Vivaldi a Caserta della Seconda Università di Napoli, dove oltre 600 persone (presidi, docenti, ricercatori e studenti) hanno animato per oltre tre ore il dibattito.

L’Orientale. Una manifestazione è partita da palazzo Giusso, sede storica dell’Università L’Orientale occupata da ieri. Oltre trecento studenti si sono riuniti in assemblea nel primo pomeriggio e di lì si sono mossi per bloccare le lezioni negli altri palazzi dell’Università.

Prima tappa palazzo del Mediterraneo in via Marina dove i manifestanti hanno bloccato i corsi della scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario. Il corteo si è poi snodato per le strade del centro paralizzando il traffico al suo passaggio: corso Umberto, via Sant’Anna dei Lombardi e in ultimo via Forno Vecchio.

Qui nella sede di Architettura si è svolta un’ulteriore assemblea: fra le proposte emerse durante la riunione pomeridiana ci sono le lezioni all’aperto. Domattina il liceo Fonseca dovrebbe fare da apripista con delle lezioni tenute in piazza, fanno sapere i rappresentanti degli studenti.

Cinquanta scuole mobilitate. Secondo l’Uds, a Napoli sono più di 50 le scuole che si sono mobilitate: « Questa mattina 4000 studenti degli Istituti Villari, Fermi, Galiani e le altre scuole della zona hanno sfilato in corteo sotto l’Assessorato Regionale all’Istruzione. Tra le altre scuole, sono in autogestione il Cuoco, il Caruso, il Torricelli ed il Liceo Artistico, mentre sono occupati il Vittorini, il Margherita di Savoia, il Fantini, il Giordano Bruno di Arzano ed il Pitagora di Pozzuoli. Molte altre scuole sono in assemblea permanente (Don Milani, Ottavo Magistrale) ».

Ci sarà anche il convitto. Domani gli studenti dei licei scientifico e classico europeo del Convitto Vittorio Emanuele II di Napoli protesteranno in Piazza Dante contro il decreto Gelmini. La decisione è stata presa dall’assemblea d’istituto che l’ha votata all’unanimità. « Protestiamo – spiega Lorenzo Nitti, rappresentante d’istituto – perchè vogliamo difendere quel modello di scuola garantito dall’articolo 34 della Costituzione ‘libera e aperta a tutti’; non sarà e non vuol essere una manifestazione politica ma di informazione dell’opinione pubblica anche per difendere il Convitto Nazionale che offre istruzione ed ospitalità di qualità e che sarebbe penalizzato nella diminuzione del numero di educatori. Chiederemo al Consiglio dei docenti – aggiunge Nitti – di fare lezione in Piazza Dante ».

Fonte: napoli.repubblica.it

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Alla fine il 6 ce l’ha fatta ad uscire.

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2008

Alla fine il 6 ce l'ha fatta ad uscire. dans Articoli di Giornali e News enalottocb1

Il premio più alto di sempre per i giochi in Italia, oltre 100 milioni di euro sono stati vinti stasera a Catania con un 6 che mancava dai premi del Superenalotto da 6 mesi e 77 concorsi. Una cifra astronomica, pari a quasi 200 miliardi delle vecchie lire.

Fonte: Ansa

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Spade saranno sguainate…

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2008

Immagine

« La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. E’ una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. E’ una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto ».

-Gilbert Keith Chesterton-

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Gilbert Keith Chesterton | Pas de Commentaire »

Febbre da gioco

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2008

Febbre da gioco dans Articoli di Giornali e News deaoy8

Il Codacons ha presentato questa mattina un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, al Ministero dell’Economia, ai Monopoli di Stato e alla Sisal in merito al gioco del Superenalotto per chiedere di sequestrare il montepremi o di spalmare il jackpot. « Il record raggiunto dal montepremi del Superenalotto sta provocando una pericolosissima ‘febbre da gioco’ in tutta Italia – spiega il presidente Codacons, Carlo Rienzi – con numerosi casi di cittadini che giocano tutti i propri risparmi, che si indebitano con gli usurai, che perdono proprieta’ immobiliari e che mandano in fallimento i bilanci familiari, nel tentativo di accaparrarsi il jackpot. Per questo abbiamo chiesto alla Procura di Roma di valutare se vi siano gli estremi per un intervento da parte della magistratura, disponendo se necessario anche il sequestro del montepremi a tutela degli interessi della collettivita’ ». « La febbre da Superenalotto – prosegue Rienzi – e’ determinata sicuramente dal forte impoverimento che hanno subito i cittadini dall’entrata in vigore dell’euro in poi. Sentendosi tutti piu’ poveri, e dovendo far i conti con prezzi e tariffe in costante aumento, si tenta il colpo di fortuna per risolvere una situazione economica sempre piu’ drastica. Troppi pero’ i casi in cui questo tentativo di riscatto diventa patologia e fa perdere totalmente ai giocatori il contatto con la realta’, determinando situazioni altamente pericolose ». Per tali motivi il Codacons ha chiesto un intervento a tutela dei giocatori e di tutti i cittadini, spalmando gia’ dalla prossima estrazione l’intero montepremi previsto per il 6 tra chi realizzera’ il 5+1 e il 5, cosi’ da porre fine alla ‘febbre da Superenalotto’.

Fonte: agi.it

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

E adesso anche i “silenzi” di Papa Ratzinger…

Posté par atempodiblog le 20 octobre 2008

E adesso anche i “silenzi” di Papa Ratzinger… dans Andrea Tornielli papavc5

Da ‘Il blog di Andrea Tornielli’ 

Cari amici, come sapete ieri Benedetto XVI è andato in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Pompei. Sul Giornale racconto la cronaca della giornata e ciò che il Papa ha detto. Molti quotidiani oggi titolano non su ciò che Ratzinger ha detto, ma su ciò che non ha detto, vale a dire sul fatto che non ha parlato di camorra. Il Papa, insomma, non può fare un pellegrinaggio, un viaggio, un discorso senza che ci sia “notizia” in grado di sostenere un titolo. E se non c’è, per farlo si punta su ciò che non ha detto. Credo che Benedetto XVI debba avere la libertà di fare un pellegrinaggio mariano senza per questo essere obbligato, nei suoi discorsi, a parlare di tutte le piaghe sociali della terra che lo ospita. Piaghe che, del resto, erano presenti in alcuni accenni della sua omelia, anche se mancava la camorra chiamata per nome. Di questo tema, del resto, Ratzinger aveva parlato esattamente un anno fa, in occasione della sua visita a Napoli. Il 21 ottobre 2007, infatti, aveva parlato del “deprecabile numero dei delitti di camorra, ma anche che la violenza tende purtroppo a farsi mentalità diffusa, insinuandosi nelle pieghe del vivere sociale, nei quartieri storici del centro e nelle periferie nuove e anonime, col rischio di attrarre specialmente la gioventù, che cresce in ambienti in cui prosperano illegalità, sommerso e cultura dell’arrangiarsi”. Non credete che il vescovo di Roma, il successore di Pietro, debba avere il diritto e la libertà di fare un pellegrinaggio e tenere un’omelia parlando di Maria, del rosario, della carità senza preoccuparsi dei titoli dei nostri giornali?

Publié dans Andrea Tornielli, Articoli di Giornali e News, Pompei | Pas de Commentaire »

L’eretico

Posté par atempodiblog le 20 octobre 2008

Immagine

“L’eretico […] non è colui che ama troppo la verità […] ma è colui che ama la propria verità più della verità stessa”.

-Gilbert Keith Chesterton-

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Gilbert Keith Chesterton | Pas de Commentaire »

Il devozionismo darwinista

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2008

Il devozionismo darwinista e l’epistolario laico tra il materialista Lima-de-Faria e il card. Schönborn.

LA TRASFORMAZIONE DI UN’IPOTESI SCIENTIFICA IN CATECHISMO ATEO, IL RAZZISMO EVOLUTIVO DELLA TEOSOFIA, I TENTATIVI DI IMPARENTARLA CON MARX, IL FONDAMENTALISMO DI MICROMEGA

di Giuseppe Sermonti – Il Foglio

Dopo la fioritura di metà Novecento, con la scoperta degli antibiotici, della struttura del Dna, della sintesi proteica e delle staminali, la biologia sta diventando una vecchia signora, con remoti sogni extraterrestri, incombenti minacce terrene, povera di fascino e di attrattive, non aliena alle serate di beneficenza.

In questo contesto, il darwinismo assume il ruolo di verità devozionale, di catechismo ateo. Viene allora da chiedersi che cosa fu nei contesti culturali e politici in cui sorse e si sviluppò nel suo secolo e mezzo di vita. Segnalo al riguardo un numero del trimestrale Atrium, dedicato all’evoluzione, curato e presentato da Stefano Serafini. In qualche modo esso ribatte a un recente numero di MicroMega, dedicato a Darwin, Dio e altri animali.

Nella belle époque di fine Ottocento, sazia di positivismo, luce della ragione e darwinismo sociale, si assisteva a una rinascita di esoterismo, occultismo, spiritismo e buddismo teosofico. Presso i cercatori di una rifondazione religiosa su base gnostica, la prospettiva evolutiva era stata accettata di buon grado. « Teosofia e occultismo – scrive Massimo Marra – si fanno propugnatori di un evoluzionismo spirituale che guarda alle antiche tradizioni sapienziali. » E’ il tempo dell’antroposofia di Madame Blavatsky. In essa, la fede nel progresso si inquadra in una visione ciclica della storia e si oppone alla salvazione unica ad opera del Cristo. I cicli si evolvono come spirali ascendenti, che non conducono a specie più elevate ma a sette successive razze umane (root-races). Le prime due erano immateriali e traslucide, la terza è la Lemuriana, da cui nascono i negri, la quarta è l’Atlantide, da cui derivano aztechi, cinesi, fenici e semiti, la quinta è quella Ariana che genera egizi, indù, greci, romani e teutoni. La sesta e la settima razza devono ancora venire, ma cominciano a manifestarsi nella razza americana futura. La selezione darwiniana è ben accetta, perché provvede a liberare il campo dalle razze inferiori, condannate comunque alla scomparsa. La teosofia blavatskiana è alle fondamenta del razzismo e c’è certamente un nesso tra la sua mistica del capo e quella del Führer. La rinascita esoterica fin de siècle appare figlia diretta delle suggestioni culturali evoluzioniste e delle tentazioni razziste della antropologia positivista. Nei tempi in cui la teosofia evoluzionista si fa teoria sociale influenzando con il suo spiritualismo laico ambiti socialisti e sindacali, si stabilisce un rapporto, ancorché indiretto, tra Charles Darwin (1809-1882) e Karl Marx (1818- 1883). La famosa lettera che Marx avrebbe scritto a Darwin con l’offerta di dedicargli « Il Capitale » è in realtà una letterina a Darwin del genero inglese di Marx, Edward Bibbins Aveling, che voleva dedicare allo scienziato un suo opuscolo socialista, offerta che Darwin declinò. « E’ stato Karl Marx un ‘darwinista’? » si chiede Costanzo Preve, che di Marx è autorevole studioso. In realtà, il terreno su cui i due si sarebbero potuti incontrare, l’estensione del mondo naturale a quello sociale, trovava Darwin riluttante. Mentre un partito di « filosofi marxiani » adotterà un campo unificato naturale- sociale di leggi dialettiche, altri (come Lukàcs e lo stesso Preve) ne negano l’esistenza. Darwin non ha inteso parlare del futuro della specie umana, Marx si occupa invece proprio di questa previsione e « non aveva in testa alcuno scontro adattativo tra Borghesia e Proletariato ». Qualificare il Capitalismo come ‘fissista’ e la Classe Operaia come ‘riformatrice’ è, per Preve, un vero e proprio vaudeville filosofico da belle époque. L’equivoco fu generato dal discorso di Engels sulla tomba di Marx, che propose Darwin, morto l’anno prima, come scopritore

delle leggi generali dell’evoluzione della natura in rapporto a un Marx scopritore di quelle sociali. Questo codice darwininano fu poi sviluppato dallo steso Engels e da Kautsky, il futuro « papa rosso » (morto nel 1938). Nell’intento di dare un contenuto più scientifico al pensiero progressista, alcuni socialisti, tra cui Aveling, cercarono di fondare una sinistra scientifica, idea ripresa in questi anni dall’animalista australiano Peter Singer, nella sua operetta « Una Sinistra Darwiniana » (Ed. di Comunità, 2000). Singer auspica che la sinistra sostituisca Marx con Darwin, accetti l’esistenza di un sottofondo egoistico e competitivo negli individui e denunci l’equivalenza tra « naturale » e « giusto ». Sbocco di queste posizioneè la proposta di migliorare la società dei lavoratori con la selezione e l’eugenetica (Pearson, fine Ottocento; Muller, prima metà del Novecento). L’autoassemblaggio Singer rimprovera a Engels di aver travisato il pensiero di Darwin attribuendogli l’idea (lamarckiana) della trasmissione dei caratteri acquisiti. Giovanni Monastra, in un saggio nel volume che stiamo illustrando, ribatte che è Singer a non conoscere abbastanza Darwin, che fu invece ardente sostenitore della trasmissione dei caratteri acquisiti. Piuttosto Darwin si distaccava da Lamarck rifiutando l’esistenza di una « spinta interna » negli organismi. A due secoli da Lamarck, proprio quest’idea sta riguadagnando credito, in nuove forme, presso alcuni biologi strutturalisti (D’Arcy Thompson, Thom, Limade-Faria e il Gruppo di Osaka). Per questo aspetto la biologia moderna si ricollega più a Marx che al neo-darwinismo. In Marx, conclude Preve, non c’è un evoluzionismo selettivo à la Darwin, c’è piuttosto un evoluzionismo « per ragioni endogene ». E’ quello che oggi alcuni naturalisti propugnano col termine di « auto-evoluzione ». L’argomento è trattato, nel volume di Atrium, dal suo più autorevole rappresentante vivente, il portoghese Antonio Lima-de-Faria, autore di « Evoluzione senza selezione, Autoevoluzione di Forma e Funzione » (Ediz. italiana, Nova Scripta, Genova 2003). Lavoratore indomito, con i suoi ottantasei anni, egli considera la selezione naturale una realtà inconsistente, alla stregua dell’etere della vecchia fisica o del flogisto della chimica settecentesca, ed è convinto che si potrà trattare l’evoluzione seguendo semplicemente le leggi della fisica e della chimica moderne. Nonostante sia il decano dei citologi, non esita ad affermare che l’evoluzione ha preceduto la vita e « geni e cromosomi sono venuti dopo » (Io parlo di tre evoluzioni). La forza guida, che opera al livello cosmologico, minerale, vegetale e animale è l’autoassemblaggio. La stessa legge morfogenetica che ha prodotto la spirale della galassia M51, conforma corna di montone, colonie a spirale di invertebrati e il guscio del cefalopode Nautilus (figg. a p. 95). Rifiutando il lato « competitivo » dell’evoluzione, Lima-de-Faria ne sviluppa l’altro lato, quello dei principi generali della funzione e della forma. In una lettera al cardinale Christoph Schönborn, autore di un articolo di fondo sul New York Times del 7 luglio 2005 (« Finding Design in Nature »), il fiero materialista si complimenta con il prelato austriaco per aver definito il neodarwinismo un dogma e aver affermata la realtà di fatto del Disegno in natura. L’evoluzione è accertata, conviene, ma « una teoria dell’evoluzione non è mai esistita. » Risponde gentilmente il cardinale: mia madre ha un anno più di Lei ed è ancora attiva. Quanto Lei dice sull’autoassemblaggio appare assai coerente e trovo interessante quello che Lei afferma sul legame tra il darwinismo e l’attuale economia. In fede, Christoph Card. Schönborn. Nessuno dei due interlocutori introduce Dio nei suoi argomenti, in contrasto col fondamentalismo di MicroMega, che ha offerto l’apertura del fascicolo sull’evoluzione a Richard Dawkins che intitola il suo articolo ironicamente: « Perché quasi certamente Dio non esiste. »

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Le denunce

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2008

da Avvenire.it

STUDENTI NEL MIRINO
«Agli esami siamo obbligati a dire che Dio non esiste»
 

«All’inizio dell’anno i professori a scuola chiedono agli alunni: alzi la mano chi è cattolico. Lo fanno per discriminarli e punirli». La confidenza, raccolta da un vescovo vietnamita, rende bene lo stato di sudditanza che i cattolici devono subire in uno dei pochi Stati che ancora si definiscono orgogliosamente «socialisti». 
Da alcuni mesi, inoltre, i cattolici – conosciuti e ‘schedati’ dalle autorità: il controllo è asfissiante, ‘spie’ e delatori sono presenti in tutte le parrocchie, i seminari, perfino nei vescovadi – hanno difficoltà ad ottenere i passaporti per uscire dal Paese. Ha Vi, studentessa cattolica di lingue all’università di Dalat, secondo centro universitario del Vietnam, confida: «Agli esami siamo obbligati a dire che l’uomo deriva dalla scimmia e che Dio non esiste, se vogliamo superare le prove. Lo scorso anno a me, cattolica, un anno hanno fatto fare apposta un esame proprio il giorno di Natale».
(L. Faz.) 



IL «CASO» DEI MONTAGNARD
Dimenticati e sfruttati. «Se non ci fossero i missionari…»
 
 

Sono 55 i gruppi etnici presenti in Vietnam; alla maggioranza Kinh, cioè vietnamita, appartengono circa l’89% degli 84 milioni di abitanti del Paese. Tra i gruppi etnici (quali i K’ho, i Churu, i Ma, i Hmong) i missionari cattolici (numerose anche le confessioni protestanti) sono molto presenti con attività di evangelizzazione, aiuto sociale e promozione umana. «Il governo si disinteressa di noi», dice una giovane montagnard K’ho nei pressi di Dalat. 
«Se non ci fossero i missionari, la gente vivrebbe ancora povera, lavorando i campi e senza istruzione. Invece i padri ci hanno insegnato nuovi lavori, istruiscono i bambini che non hanno i soldi per pagare la scuola pubblica, ci insegnano la fede con il catechismo». La povertà dei montagnard è doppia: si tratta di gente in situazione di sottosviluppo e sfruttata dalla maggioranza Kinh con la colpevole compiacenza del governo. I vietnamiti, ad esempio, si impossessano dei loro terreni oppure li pagano cifre irrisorie.
(L. Faz.) 



I FRATI ARRESTATI
Necessario un permesso per distribuire le medicine ai poveri


Alcuni giorni fa due frati francescani sono andati in un villaggio della diocesi di Kon Toum, negli Altopiani centrali, per consegnare dei medicinali ad un gruppo di poveri della zona. I seguaci di San Francesco hanno fatto del servizio ai montagnard uno dei punti centrali del loro apostolato. Essendo privi del permesso delle autorità, sono stati fermati e tenuti in arresto per un giorno intero dalla polizia del posto. «Ma come si fa a chiedere ogni volta un permesso per una cosa simile?» si chiede un religioso. Un vescovo che lavora con i montagnard ci conferma: «Di certo le autorità non motivano degli arresti con il fatto che le persone incarcerate sono cattoliche, ma ancora oggi ci sono montagnard che vengono imprigionati per la loro fede cristiana, magari con la scusa di aver
disobbedito o infranto le leggi». (L. Fazz.)

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

L’Università dei somari

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2008

L'Università dei somari dans Articoli di Giornali e News diddlxs2

Agli esami per magistrati abbiamo scoperto schiere di laureati che riempiono i loro temi di «ogniuno», «comuncue», «l’addove», «un’altro», «qual’è» e «risquotere». Un altro laureato tristemente celebre, Raffaele Sollecito, processato a Perugia per la morte di Meredith, nel suo memoriale scrive: «Il bagno è sporco ho chiesto che venghino a pulirlo». Ricevo il curriculum di una laureata in Scienza della Comunicazione alla Sapienza che si candida a lavorare come giornalista che comincia così: «Denoto un grande interesse per il mondo del giornalismo…». Denoto? Io denoto, tu denoti, egli denota interesse? E vuol fare la giornalista? Sempre meglio della sua collega, pure lei laureata, che ha scritto: «L’attore all’ungandosi verso la finestra…».
E dunque: laureati? O l’aureati? In questi giorni gli studenti di alcuni atenei hanno provato a inscenare proteste. Fallite. In corteo quattro gatti e un megafono, tutti gli altri in classe a studiare. Ma studiare cosa? Quanto? Come? E con che profitto? Cercheranno, nelle prossime settimane, di far montare la protesta anche qui, in facoltà. La sinistra ha voglia di Sessantotto, e il Sessantotto non partì proprio dagli atenei? Il paradosso è che quarant’anni fa la rivolta, che si rivelò sciagurata, cominciava da un principio sano: quello di cambiare un sistema universitario che non funzionava. Ora, invece, chi scende in piazza, quel sistema che non funziona, lo vuole conservare. Ma sì, vuole conservare quest’Università, cioè l’Università dei concorsi bloccati, della parentopoli, degli scandali dei baroni. L’Università delle lauree vendute e dei testi falsificati. L’Università truccata, come rivela in un bel libro della Einaudi, il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi: l’Università che nelle classifiche internazionali finisce dietro quella delle Hawaii, che spende più di tutto il resto del mondo (16mila dollari per ogni studente contro i 7mila degli Usa) ma non dà risultati scientifici né una formazione adeguata. L’Università che, grazie alle sue inefficienze, premia le élite e, contrariamente a quello che si crede, punisce i ceti meno abbienti: solo l’8 per cento degli universitari italiani proviene dalle fasce più basse contro il 13 per cento degli Stati Uniti. Ma non erano i costosi Atenei americani il simbolo dell’anti-democrazia educativa?
Oggi vi raccontiamo l’ultima scoperta: all’Università di Como ci sono 24 docenti per 17 studenti. Un bel record, non vi pare? Ma da qualche giorno il Giornale (e solo il Giornale, come spesso accade) sta denunciando questa strana situazione dei nostri atenei che alzano la voce per lamentarsi dei tagli, dimenticando i loro sprechi. In sei anni le Università hanno moltiplicato i corsi di laurea: da 2444 a 5400. E non tutti utilissimi, si direbbe a prima vista. In effetti oggi si può diventare dottori, tanto per dire, in scienza dell’aiuola, in mediazione dei conflitti, in tecnologia del fitness, in scienza del fiore e in benessere animale. Manca solo il corso di laurea in raffreddore dei suini e quello in filosofia delle oche e poi il quadro sarebbe completo.
Ma poi che sbocchi danno queste facoltà? E chi le frequenta? Tenetevi forte: trentasette corsi di laurea in Italia (dicasi: 37) hanno un solo studente, a questi vanno poi aggiunti altri 66 corsi che hanno meno di sei studenti. Ma vi pare possibile? Tenere in piedi un corso di laurea e relative spese per un unico studente? O per due o tre? E poi le Università si lamentano dei tagli… A Siena hanno collezionato un buco di 145 milioni, non pagano le tasse dal 2004. Poi vai a vedere i bilanci e scopri che, per esempio, l’oculato ateneo spendeva 150mila euro l’anno per affittare alcune stanze di lusso con affaccio su piazza del Campo: inutile tutto l’anno, certo, ma nei giorni del Palio, sai che goduria…

L’Università di Siena utilizza il 104 per cento del suo bilancio per pagare stipendi. 104, avete capito bene: e per tutto il resto? Niente. Nell’ateneo toscano i tecnici sono più numerosi dei professori. E non è un caso unico: a Palermo, per esempio, ci sono 2.103 professori e 2.530 amministrativi, a Messina 1.403 professori e 1.742 amministrativi. La Federico II di Napoli, che nelle classifiche si piazza fra le dieci peggiori università d’Italia, spende il 101 per cento dei suoi soldi per il personale. L’impressione è che anche le facoltà, come la scuola, negli ultimi anni siano stati concepiti più come ammortizzatori sociali che come luoghi di formazione: non si sa se chi esce troverà un posto di lavoro. L’importante è che trovi un posto di lavoro chi resta dentro.
Dunque è vero che ci vorrebbe una protesta. Ci vorrebbe un Sessantotto. Ma per rivoluzionare l’Università, non per tenerla così com’è. E invece oggi assistiamo a questo strano paradosso: si scende in piazza solo per difendere il sistema, anche quando il sistema non funziona. I riformisti nel palazzo e i conservatori nel corteo. Strano, no? Ma nelle università ci sono i nostri migliori cervelli: gente di talento, e anche di buona volontà. Non possono non capire che dietro i luoghi comuni e la lagna per i tagli si nasconde la solita difesa di privilegi, baronie, sprechi e inefficienze, quelli che hanno creato quest’Università di laureati (o l’aureati?) pieni di lacune. O forse lagune. Quelli che ti dicono: vedrete, faremo il Sessantotto e la protesta si estenderà a macchia d’occhio. Sì, a macchia d’occhio. E la gente arriverà in piazza a frottole.


di Mario Giordano – Il Giornale

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Marcellino Pane e Vino

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2008

« Marcellino Pane e Vino » racconta la storia di un bambino abbandonato davanti ad un convento di frati che lo accolgono e lo allevano. Un giorno scopre nella soffitta un enorme crocifisso che desta in lui una profonda compassione tanto da decidere di prendersene cura portandogli da mangiare e riparandolo dal freddo.
Quell’amicizia lo rende felice; l’Uomo della soffitta diventa tutto per il suo cuore semplice, il centro dei suoi pensieri e della sua affezione.
«Gli occhi di Marcellino» ha commentato don Luigi Giussani «sono due occhi sgranati sulla positività dell’essere», sono un inno alla «morale cattolica, che è un guardare lasciandosi attrarre».
Da questo racconto, scritto per bambini e capace di commuovere il lettore adulto, è stato tratto il celebre film.

Immagine

José María Sánchez Silva, Marcellino Pane e Vino, a cua di Erminio Polidori, Edizioni ITACA – 2007, pag. 80, € 10,00

Fonte: Lo Zuavo Pontificio

Publié dans Libri | Pas de Commentaire »

Quella speranza che sconfigge la crisi in Borsa

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2008

Quella speranza che sconfigge la crisi in Borsa dans Antonio Socci antoniosocci

Robert Hughes definì « cultura del piagnisteo » quella della sinistra politically correct. Ma anche la destra reazionaria vive di geremiadi. Il piagnone sommo, Oswald Spengler, le unisce. Da questi acquitrini di lacrime, nel XX secolo, sono nati frutti avvelenati. Oggi col crollo delle Borse tornano gli apocalittici. Stanno col culo al caldo, ma annunciano il tramonto dell’Occidente. Se si voltassero (« metanoia », convertire lo sguardo) vedrebbero l’alba di un tempo nuovo. E gente non disperata: i cristiani.

Certo, c’è il partito dei distruttori, dei pescecani che hanno prodotto lo sfacelo dell’economia. Ma c’è anche il « partito dell’aratro », di quelli che sembrano meno forti, come dice Péguy, ma che fanno la storia. Quando irruppero i barbari crollò l’impero romano e una civiltà millenaria fu travolta. L’economia crolla fino alla sussistenza, le campagne si spopolano, il continente si copre di foreste selvagge piene di lupi e briganti. Tutto sembra perduto per sempre e l’Europa regredisce all’età primitiva.

Eppure rinacque una civiltà più grande, bella e luminosa. Da alcuni uomini che cercavano Dio. L’unico che non passa, che non tramonta, l’eterna giovinezza. Lo ha spiegato il Papa, nel suo splendido discorso parigino: « non era intenzione dei monaci di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato ». Volevano semplicemente conoscere Gesù Cristo. Gustare la sua presenza che non abbandona e non delude mai: « Jesu dulcis memoria/ dans vera cordis gaudia/ sed super mele et omnia/ Ejus dulcis praesentia… ».

Era la loro unica, struggente passione. Da cui venne tutto. Per questo salvarono la cultura antica. E « inventarono » il lavoro. Gesù lavoratore aveva nobilitato il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera. Col lavoro i monaci trasformarono l’Europa devastata e selvaggia in un giardino fertile e rigoglioso. Uno storico scrive: « Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa », con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. « Educatori economici », li definì Henri Pirenne.

Il cristianesimo spazzò via la schiavitù e svegliò l’ingegno cosicché si inventarono macchine per sfruttare l’energia idraulica che « i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura ». I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare, introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, l’apicoltura, la frutticoltura, i vivai di salmone in Irlanda, la fabbricazione della birra, l’invenzione del prosciutto, del formaggio e perfino dello champagne.

I cristiani inventarono gli ospedali, le università, la musica, coprirono l’Europa di cattedrali e di bellezza, inventarono la tecnologia, la scienza, la stessa libertà, l’economia moderna e la democrazia. I monaci avevano cercato solo il regno di Dio: il resto – secondo la promessa di Gesù – arrivò in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.

Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, l’incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo: « Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince ».

E oggi? Oggi il mondo è pieno di nuovi monaci. I mass media non se ne accorgono, perché un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Potrei riempire questo giornale con i loro nomi e le loro bellissime storie. Andate in Lombardia a conoscere Lorenzo Crosta che ha creato cooperative dove lavorano un centinaio di ragazzi, con handicap fisici e mentali, pieni di umanità, sorrisi e dedizione.

Andate a Teramo a vedere cosa hanno messo in piedi Ercole D’Annunzio e sua moglie, Enza Piccolroaz, partendo dal dramma di una figlia nata con una grave malattia: una delle più straordinarie strutture di riabilitazione del meridione, con un pullulare di altre opere anche di ricerca medico-scientifica. Ma penso anche ai detenuti del carcere di Padova che stanno diventando uomini nuovi e all’ultimo Meeting di Rimini hanno stupito e commosso tutti (ci hanno pure deliziato con i prodotti di pasticceria della loro Cooperativa Giotto).

Penso all’immensa opera del Banco alimentare che – nato dallo sguardo di carità di don Giussani – oggi letteralmente coinvolge milioni di italiani e dà da mangiare a un oceano di persone. E a quella stupenda cattedrale della speranza e della preghiera che è Radio Maria. E gli studenti che, invece di okkupare scuole e università dove svaccarsi, portano in giro per le strade i « cento canti » di Dante. E poi i tanti padri e madri di famiglia che sono veri eroi della speranza. E insegnanti come Mariella o Gianni che fanno scoprire ai giovani la Bellezza. E artisti pieni di fede, simpatia e talento come Francesco che ha dipinto il rosone duccesco del Duomo di Siena e si prepara a fare le vetrate della splendida cattedrale barocca di Noto. E lo scultore giapponese Etsuro Sotoo che continua l’opera di Gaudì alla « Sagrada Familia ».

Guardate i silenziosi volontari che lavorano nei Centri di Aiuto alla vita. E quel fiume di straordinarie donne e uomini di Dio su ognuno dei quali si potrebbe scrivere un libro, dalle clarisse di suor Milena, a Trevi, a quelle di suor Beatrice a Perugia, alle francescane di suor Chiara ad Assisi? Penso alle suore che assistono da anni Eluana Englaro e che supplicano: « lasciatela qui, ce ne prendiamo cura noi ». E i tanti religiosi che donano tutta la loro esistenza a sostenere la speranza dei disperati.

Penso a Stefano Borgonovo, l’ex calciatore del Milan e della Fiorentina ora malato di Sla: lui, la sua bellissima famiglia, i suoi amici. Leggete su « Tracce » che umanità e che forza! E i tanti malati che offrono la loro sofferenza e così letteralmente tengono in piedi il mondo. Andate a visitare la Casa di accoglienza « Don Dante Savini », a Perugia, che accoglie e assiste professionalmente malati terminali di Aids o di altre gravi patologie. Guardate i volti, gli occhi, dei giovani seminaristi che vivono alla Fraternità San Carlo e si preparano ad andare fino ai quattro angoli della Terra a portare il senso della vita a popoli assetati di Cristo. Non sono afflitti dal futuro dell’Occidente, perché hanno e gustano l’Eterno nel presente.

Così dissodare, irrigare, coltivare, amare, anche inventare, ingegnarsi diventano come la preghiera. Scoprite l’incredibile storia di Giuseppe Ranalli e della sua Tecnomatic che, nelle sperdute campagne dell’Abruzzo, oggi con un fatturato di 40 milioni di euro (+32 per cento nel 2008), lavora per le maggiori case automobilistiche del mondo grazie a brevetti rivoluzionari.

E Pippo Angelico, imprenditore brianzolo della Ceccato spa (settore manifatture di precisione) che – per un’amicizia nata al Meeting del 2005 – ha deciso di andare a investire a Napoli grazie al Centro di solidarietà che lavora nel Rione Sanità e che si fa carico di tanti problemi della povera gente . O scoprite « il circolino di Crescenzago », come lo chiama Giorgio Vittadini.

Mi fermo per mancanza di spazio (se Scalfari conoscesse tutte queste cose non avrebbe scritto ciò che ha scritto della Compagnia delle opere). Ma poi c’è il mondo. La stupefacente storia brasiliana di Cleuza e Marcos Zerbini e dei « Senza Terra », 50 mila persone spesso nipoti di schiavi, che hanno « scoperto » Comunione e liberazione. E i missionari che in India – come spiega padre Gheddo – stanno letteralmente capovolgendo le millenarie caste, restituendo dignità a milioni di Dalit? E donne straordinarie come l’infermiera Rose che in Uganda cura i malati di Aids? E la « resurrezione » della sua amica Vicky che è stata raccontata in un film premiato al Festival di Cannes da Spike Lee? Certo, molte cose tramontano. Ma se voltate lo sguardo vedrete l’alba di un giorno che non finisce.

Da Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco

« Non occorre che un acciarino per bruciare una fattoria. Occorrono degli anni per costruirla. Ci vogliono mesi e mesi, c’è voluto lavoro e ancora lavoro per far crescere una messe. E non ci vuole che un acciarino per dar fuoco a una messe. Ci vogliono anni e anni per far crescere un uomo, c’è voluto pane e ancora pane per nutrirlo, e lavoro e lavori di ogni genere. E basta un colpo per uccidere un uomo. Un colpo di sciabola e la cosa è fatta. Per fare un buon cristiano occorre che l’aratro abbia lavorato venti anni. Per disfare un cristiano occorre che la sciabola lavori un minuto. E’ nel genere dell’aratro lavorare vent’anni. E’ nel genere della sciabola lavorare un minuto; e di fare di più: di essere la più forte. Di farla finita. Allora noi altri saremo sempre i meno forti. Andremo sempre meno veloci. Noi siamo il partito di quelli che costruiscono. Loro sono il partito di quelli che demoliscono. Noi siamo il partito dell’aratro. Loro sono il partito della sciabola ».

di Antonio Socci
Tratto da: Libero – 17 Ottobre 2008

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News | 1 Commentaire »

La verità sul « caso Galilei »

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2008

Il triste episodio de “la Sapienza” ha fatto tornare alla ribalta il Caso Galilei…e si sentono rievocare i soliti luoghi comuni. Ma come davvero andarono le cose?
di Corrado Gnerre

 

Le proteste per la visita di Benedetto XVI all’università de “la Sapienza” hanno fatto tornare alla ribalta il “caso Galilei”. I 67 docenti firmatari del documento contro l’invito al Papa hanno fatto riferimento ad un discorso pronunciato nel 1990 dall’allora cardinale Ratzinger, in cui, parlando del caso Galilei, il futuro papa citò alcune parole del filosofo della scienza Paul Feyerabend (1924-1994) – anarchico e ateo, quindi al di sopra di ogni sospetto – in cui si affermava che nel processo allo scienziato pisano la ragione era dalla parte della Chiesa.

Scienza o scientismo?

In realtà ciò che capitò a Galilei non fu causato dalla sua negazione della concezione geocentrica (il Sole che gira intorno alla Terra) quanto dal fatto che la sua posizione si faceva sostenitrice di un nuovo modo di concepire la scienza, un modo in cui la scienza stessa sarebbe potuta divenire l’unica ed esclusiva lettura della realtà.

Titus Burckhardt (1908-1984) nel suo Scienza moderna e saggezza tradizionale (1968) scrive a pagina 134: «La Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta ma come ipotesi, aveva le sue buone ragioni (…). L’esaltazione letteraria di Galileo ha fatto nascere in svariati dignitari ecclesiastici una sorta di coscienza di colpa che li rende stranamente impotenti dinanzi alle teorie scientifiche moderne, quand’anche queste siano in palese contraddizione con le verità della fede e della ragione. La Chiesa, si suol dire, non avrebbe dovuto immischiarsi nei problemi scientifici. Eppure lo stesso caso di Galileo dimostra che, accampando la pretesa di possedere la verità assoluta, la nuova scienza razionalista del Rinascimento si presentava alla guisa di una seconda religione».

Sfatiamo i luoghi comuni

Dunque, la scienza come una sorta di “nuova religione”, ovvero il passaggio dalla scienza allo scientismo. Ma su questo ritorneremo tra pochissimo. Iniziamo a sfatare alcuni luoghi comuni sul “caso Galilei”. Ci sono sette punti importanti da ribadire. 

1) L’eliocentrismo non c’entra

A differenza di quanto si dice, Galilei non ebbe i suoi problemi per la teoria eliocentrica (la Terra ruota intorno al Sole), per il semplice fatto che questa teoria non faceva paura alla Chiesa. Già quattro secoli prima di Galilei, san Tommaso d’Aquino disse che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva.
Copernico, astronomo polacco e perfino sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galilei, aveva sostenuto la concezione eliocentrica; e molti contemporanei, perfino esponenti della gerarchia ecclesiastica (tra questi anche pontefici come Leone X e Clemente VII) si mostrarono aperti alle sue tesi.

Nella celebre Università di Salamanca, proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la concezione copernicana. Lo stesso Galilei era a conoscenza del fatto che la Chiesa non aveva nulla da ridire sull’ipotesi di Copernico. Così scrisse a Cristina di Lorena: «[Il trattato di Copernico] è stato ricevuto dalla santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa ombra di scrupolo nella sua dottrina (…)».

Piuttosto era nel mondo protestante che l’eliocentrismo faceva paura. Riferendosi a Copernico, Martin Lutero scrisse: «Cadde un giorno il discorso sopra un astrologo moderno il quale voleva dimostrare che la Terra si muove e non già il cielo o il firmamento col Sole e con la Luna (…). Ma le cose adesso vanno così: chi vuole apparire savio e dotto non deve approvare quello che fanno gli altri, ma deve fare alcunché di singolare e tale che a suo credere nessun altro sia capace di fare. Il pazzo vuole rovesciare tutta l’arte astronomica».

2) Atteggiamento scientista e non scientifico

Dunque, il motivo per cui Galilei ebbe problemi non fu legato alla teoria eliocentrica ma a ragioni di filosofia della scienza. Galilei, pretendendo presentare l’eliocentrismo non come ipotesi ma come una tesi comprovata, rappresentava un atteggiamento scientista e non scientifico.

Mentre l’atteggiamento autenticamente scientifico si serve delle prove, parte sì da un’intuizione, ma sottopone questa intuizione a verifica; l’atteggiamento cosiddetto scientista è il contrario, cioè fa dell’intuizione scientifica, indipendentemente dalla verifica, l’intuizione per eccellenza da preferirsi a qualsiasi altra intuizione, tanto a quella della tradizione quanto a quella del senso comune.

Galilei, avendo solo delle intuizioni e non delle prove, pretendeva che la mentalità scientifica, solo perché “scientifica”, potesse essere “giudice” della Rivelazione. Ma la Fede, se può e deve dialogare con la scienza, non può certo dialogare con lo scientismo, che è un’ideologia e che fa della scienza una “seconda religione”, secondo la definizione del citato Burckhardt.

3) La ragionevolezza del Bellarmino

San Roberto Bellarmino (1542-1621), che svolse un ruolo importante nel processo a Galilei, non pretendeva che lo scienziato pisano rinunciasse alla convinzione eliocentrica bensì che ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè un’ipotesi.

Così scrive  in una lettera del 12 aprile del 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: «Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare “ex supposizione” e non “assolutamente”, come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (…) Dico che quando ci fusse “vera dimostrazione” che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra, ma la Terra circonda il Sole, all’hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra».

Che poi il Bellarmino dica queste cose non improvvisando né formulando “novità”, è dimostrato dal fatto che egli nel 1571 (cinquant’anni prima) scriveva nelle sue Praelectiones Lovanienses: «Non spetta ai teologi investigare diligentemente queste cose (…). Possiamo scegliere la spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (…). Se però in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano intendersi le Scritture affinchè non contrastino con una verità acquisita. È certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può contrastare con nessun’altra verità sia filosofica come astronomica (…)».

4) Mancanza di prove scientifiche

Galilei non portava prove convincenti per suffragare la sua ipotesi. Una prova in realtà la portava, ma era sbagliata. Inviò una lettera al cardinale Orsini dove affermava che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe provata dalle maree, cioè, secondo lui, il movimento della Terra provocherebbe scuotimento e quindi le alte e basse maree.

I giudici però contestarono questa “prova” e dissero giustamente che le cause delle maree dovevano ricercarsi in altro. Ecco perché il già citato Paul Feyerabend, pur essendo ateo ed anarchico, ha affermato che nel processo a Galilei il rigore scientifico fu più dalla parte della Chiesa che non da quella dello Scienziato pisano.

5) Mitissima pena…

Galilei non subì nulla di eclatante a differenza di quanto molti pensano. Alcuni sondaggi dicono che la stragrande maggioranza degli studenti italiani credono che Galilei subì torture e che fu addirittura arso vivo.

I nostri docenti di scuola e di università invece che fare tanta cagnara dovrebbero  riflettere sulla scientificità dei loro insegnamenti. Ecco cosa davvero subì Galilei. Nel febbraio del 1632 lo Scienziato pisano pubblicò a Firenze il famoso Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo…, e nell’agosto dello stesso anno, a Roma, se ne proibì la diffusione. Il 16 giugno del 1633 il Sant’Uffizio condannò l’autore. Il 22 giugno dello stesso anno Galilei abiurò e fu condannato a recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali e al carcere, ma questo fu subito commutato in domicilio coatto. Prima nel Giardino di Trinità dei Monti (alloggio con cinque camere, vista sui giardini vaticani e cameriere personale); poi nella splendida Villa dei Medici al Pincio; quindi a Siena presso l’amico e arcivescovo Ascanio Piccolomini, in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e, infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore. Di tortura neanche a parlarne. 

Lo stesso Galilei fu consapevole della mitezza della pena, tanto che ringraziò i giudici e confessò di aver fatto di tutto per indisporli. La stessa scelta dell’affezionatissima figlia Virginia di farsi suora (suor Celeste) dimostra la mitezza della pena. Lei che era così attaccata al padre, qualora Galilei fosse stato maltrattato dalla Chiesa, avrebbe avuto il desiderio di consacrarsi?
Galilei, malgrado la condanna, poté continuare a pubblicare e a curare l’amicizia di vescovi e scienziati; e proprio dopo la condanna pubblicò l’opera più importante, Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze. Morì ad Arcetri l’8 gennaio del 1642, assistito da discepoli come Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli; morì con i conforti religiosi e finanche con l’indulgenza plenaria e la benedizione del Papa.

6) Un contesto sfavorevole

Il processo a Galilei si può capire solo collocandolo all’interno del XVII secolo; secolo tutt’altro che facile. Verrebbe da dire che se lo Scienziato pisano fosse vissuto in pieno XIII secolo non avrebbe avuto i problemi che ebbe.

Iniziamo col considerare che nel XVII secolo il riferimento ad Aristotele non era un riferimento critico, capace cioè di selezionare e discernere (come invece riuscì a fare il vertice della Scolastica e in particolar modo san Tommaso), bensì pedissequo: Aristotele doveva essere accettato integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica.

Inoltre, c’era stato da poco (meno di un secolo) lo scoppio della Riforma, imperversavano le guerre di religione… e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla.

Tutto questo portò, per reazione, anche alcuni ambienti cattolici ad un atteggiamento di protezione letteralistica della Bibbia stessa. Per finire, durante la Guerra dei Trenta Anni si erano diffusi i manifesti dei Rosa-Croce, che (come ha ampiamente dimostrato la storica inglese Frances Yates) furono scritti per riproporre una visione ermetica e magica del reale collegata alla prisca philosophia, da contrapporre alla visione cattolica identificabile nel fronte asburgico.

Ora, la visione ermetica e magica si fonda sul monismo e sulla identificazione del creato con il creatore (panteismo) per cui il concepire la Terra non più al centro poteva, secondo alcuni, avvalorare una concezione infinita e divina dell’universo stesso. 

7) L’ultimo dei miti da sfatare

E per finire… la famosa frase che campeggia su buona parte dei libri scolastici, e cioè che Galilei avrebbe detto “eppur si muove”, in realtà non fu mai pronunciata. Fu inventata da un giornalista italiano, Giuseppe Baretti, a Londra nel 1757.

Tratto da Radici Cristiane

Publié dans Articoli di Giornali e News, Corrado Gnerre | Pas de Commentaire »

«Quel giorno a Fatima ferirono Wojtyla»

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2008

In un documentario le memorie del Cardinale polacco Dziwisz
«Quel giorno a Fatima ferirono Wojtyla»

Il cardinale Dziwisz, segretario personale del Papa, racconta cosa accadde nel 1982. «Ricordo il sangue»

Ad appena un anno dall’attentato di Ali Agca in Piazza San Pietro, Papa Giovanni Paolo II fu vittima di una seconda aggressione e «rimase ferito». Ne parla per la prima volta il cardinale polacco Stanislaw Dziwisz, per 39 anni fedele segretario personale di Karol Wojtyla, nel documentario inglese intitolato «Testimony» che racconta la vita e le opere del Papa scomparso tre anni fa. Il prete spagnolo ultraconservatore Juan Fernandez Krohn il 12 maggio del 1982, durante la visita di Wojtyla a Fatima, non solo tentò di assassinare il Pontefice avvicinandosi a lui con un pugnale, ma riuscì a ferirlo leggermente. Il prete fu velocemente immobilizzato dalla polizia e arrestato.

A FATIMA – Giovanni Paolo II si era recato in quei giorni al santuario di Fatima per ringraziare la Madonna di avergli salvato la vita dopo l’attentato subito il 13 maggio dell’ anno prima. «Adesso posso rivelare che il Santo Padre rimase ferito» afferma nel documentario il cardinale Dziwisz. «Ricordo che quando tornammo nella stanza c’era del sangue». Il prete spagnolo passò diversi anni in una prigione portoghese e dopo aver scontato la sua pena fu espulso dal paese lusitano. Nel documentario, basato parzialmente sul libro di memorie del cardinale Dsiwisz, intitolato «Una vita con Karol» e narrato dalla voce dell’attore inglese Michael York, sono presenti anche le immagini dell’ultima apparizione pubblica di Wojtyla dallo studio che affaccia su piazza San Pietro. A causa della sua malattia Wojtyla non riuscì a parlare ai fedeli. Facendo riferimento a quest’ultimo episodio Dsiwisz afferma che Giovanni Paolo II, più tardi nella sua stanza, confessò al suo fedele segretario: «Se non posso parlare più, allora è arrivato il momento di passare a miglior vita».

PROIEZIONE - Il documentario, che sarà proiettato per la prima volta giovedi sera in Vaticano, è stato girato a Roma e in alcune città della Polonia dove Giovanni Paolo II visse durante la sua adolescente e gli anni precedenti al suo Pontificato. Il cardinale Dziwisz ha sottolineato che quest’opera su Karol Wojtyla dimostrerà «che Giovanni Paolo II non è stato dimenticato» e si dichiara orgoglioso di essere stato l’assistente di una personaggio così grande. «Karol è stato quasi un padre per me» ha concluso il cardinale polacco.

Francesco Tortora – corriere.it

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fatima | Pas de Commentaire »

12345
 

Neturei Karta - נ... |
eternelle jardin |
SOS: Ecoute, partage.... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Cehl Meeah
| le monde selon Darwicha
| La sainte Vierge Marie Livr...