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Il devozionismo darwinista

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2008

Il devozionismo darwinista e l’epistolario laico tra il materialista Lima-de-Faria e il card. Schönborn.

LA TRASFORMAZIONE DI UN’IPOTESI SCIENTIFICA IN CATECHISMO ATEO, IL RAZZISMO EVOLUTIVO DELLA TEOSOFIA, I TENTATIVI DI IMPARENTARLA CON MARX, IL FONDAMENTALISMO DI MICROMEGA

di Giuseppe Sermonti – Il Foglio

Dopo la fioritura di metà Novecento, con la scoperta degli antibiotici, della struttura del Dna, della sintesi proteica e delle staminali, la biologia sta diventando una vecchia signora, con remoti sogni extraterrestri, incombenti minacce terrene, povera di fascino e di attrattive, non aliena alle serate di beneficenza.

In questo contesto, il darwinismo assume il ruolo di verità devozionale, di catechismo ateo. Viene allora da chiedersi che cosa fu nei contesti culturali e politici in cui sorse e si sviluppò nel suo secolo e mezzo di vita. Segnalo al riguardo un numero del trimestrale Atrium, dedicato all’evoluzione, curato e presentato da Stefano Serafini. In qualche modo esso ribatte a un recente numero di MicroMega, dedicato a Darwin, Dio e altri animali.

Nella belle époque di fine Ottocento, sazia di positivismo, luce della ragione e darwinismo sociale, si assisteva a una rinascita di esoterismo, occultismo, spiritismo e buddismo teosofico. Presso i cercatori di una rifondazione religiosa su base gnostica, la prospettiva evolutiva era stata accettata di buon grado. « Teosofia e occultismo – scrive Massimo Marra – si fanno propugnatori di un evoluzionismo spirituale che guarda alle antiche tradizioni sapienziali. » E’ il tempo dell’antroposofia di Madame Blavatsky. In essa, la fede nel progresso si inquadra in una visione ciclica della storia e si oppone alla salvazione unica ad opera del Cristo. I cicli si evolvono come spirali ascendenti, che non conducono a specie più elevate ma a sette successive razze umane (root-races). Le prime due erano immateriali e traslucide, la terza è la Lemuriana, da cui nascono i negri, la quarta è l’Atlantide, da cui derivano aztechi, cinesi, fenici e semiti, la quinta è quella Ariana che genera egizi, indù, greci, romani e teutoni. La sesta e la settima razza devono ancora venire, ma cominciano a manifestarsi nella razza americana futura. La selezione darwiniana è ben accetta, perché provvede a liberare il campo dalle razze inferiori, condannate comunque alla scomparsa. La teosofia blavatskiana è alle fondamenta del razzismo e c’è certamente un nesso tra la sua mistica del capo e quella del Führer. La rinascita esoterica fin de siècle appare figlia diretta delle suggestioni culturali evoluzioniste e delle tentazioni razziste della antropologia positivista. Nei tempi in cui la teosofia evoluzionista si fa teoria sociale influenzando con il suo spiritualismo laico ambiti socialisti e sindacali, si stabilisce un rapporto, ancorché indiretto, tra Charles Darwin (1809-1882) e Karl Marx (1818- 1883). La famosa lettera che Marx avrebbe scritto a Darwin con l’offerta di dedicargli « Il Capitale » è in realtà una letterina a Darwin del genero inglese di Marx, Edward Bibbins Aveling, che voleva dedicare allo scienziato un suo opuscolo socialista, offerta che Darwin declinò. « E’ stato Karl Marx un ‘darwinista’? » si chiede Costanzo Preve, che di Marx è autorevole studioso. In realtà, il terreno su cui i due si sarebbero potuti incontrare, l’estensione del mondo naturale a quello sociale, trovava Darwin riluttante. Mentre un partito di « filosofi marxiani » adotterà un campo unificato naturale- sociale di leggi dialettiche, altri (come Lukàcs e lo stesso Preve) ne negano l’esistenza. Darwin non ha inteso parlare del futuro della specie umana, Marx si occupa invece proprio di questa previsione e « non aveva in testa alcuno scontro adattativo tra Borghesia e Proletariato ». Qualificare il Capitalismo come ‘fissista’ e la Classe Operaia come ‘riformatrice’ è, per Preve, un vero e proprio vaudeville filosofico da belle époque. L’equivoco fu generato dal discorso di Engels sulla tomba di Marx, che propose Darwin, morto l’anno prima, come scopritore

delle leggi generali dell’evoluzione della natura in rapporto a un Marx scopritore di quelle sociali. Questo codice darwininano fu poi sviluppato dallo steso Engels e da Kautsky, il futuro « papa rosso » (morto nel 1938). Nell’intento di dare un contenuto più scientifico al pensiero progressista, alcuni socialisti, tra cui Aveling, cercarono di fondare una sinistra scientifica, idea ripresa in questi anni dall’animalista australiano Peter Singer, nella sua operetta « Una Sinistra Darwiniana » (Ed. di Comunità, 2000). Singer auspica che la sinistra sostituisca Marx con Darwin, accetti l’esistenza di un sottofondo egoistico e competitivo negli individui e denunci l’equivalenza tra « naturale » e « giusto ». Sbocco di queste posizioneè la proposta di migliorare la società dei lavoratori con la selezione e l’eugenetica (Pearson, fine Ottocento; Muller, prima metà del Novecento). L’autoassemblaggio Singer rimprovera a Engels di aver travisato il pensiero di Darwin attribuendogli l’idea (lamarckiana) della trasmissione dei caratteri acquisiti. Giovanni Monastra, in un saggio nel volume che stiamo illustrando, ribatte che è Singer a non conoscere abbastanza Darwin, che fu invece ardente sostenitore della trasmissione dei caratteri acquisiti. Piuttosto Darwin si distaccava da Lamarck rifiutando l’esistenza di una « spinta interna » negli organismi. A due secoli da Lamarck, proprio quest’idea sta riguadagnando credito, in nuove forme, presso alcuni biologi strutturalisti (D’Arcy Thompson, Thom, Limade-Faria e il Gruppo di Osaka). Per questo aspetto la biologia moderna si ricollega più a Marx che al neo-darwinismo. In Marx, conclude Preve, non c’è un evoluzionismo selettivo à la Darwin, c’è piuttosto un evoluzionismo « per ragioni endogene ». E’ quello che oggi alcuni naturalisti propugnano col termine di « auto-evoluzione ». L’argomento è trattato, nel volume di Atrium, dal suo più autorevole rappresentante vivente, il portoghese Antonio Lima-de-Faria, autore di « Evoluzione senza selezione, Autoevoluzione di Forma e Funzione » (Ediz. italiana, Nova Scripta, Genova 2003). Lavoratore indomito, con i suoi ottantasei anni, egli considera la selezione naturale una realtà inconsistente, alla stregua dell’etere della vecchia fisica o del flogisto della chimica settecentesca, ed è convinto che si potrà trattare l’evoluzione seguendo semplicemente le leggi della fisica e della chimica moderne. Nonostante sia il decano dei citologi, non esita ad affermare che l’evoluzione ha preceduto la vita e « geni e cromosomi sono venuti dopo » (Io parlo di tre evoluzioni). La forza guida, che opera al livello cosmologico, minerale, vegetale e animale è l’autoassemblaggio. La stessa legge morfogenetica che ha prodotto la spirale della galassia M51, conforma corna di montone, colonie a spirale di invertebrati e il guscio del cefalopode Nautilus (figg. a p. 95). Rifiutando il lato « competitivo » dell’evoluzione, Lima-de-Faria ne sviluppa l’altro lato, quello dei principi generali della funzione e della forma. In una lettera al cardinale Christoph Schönborn, autore di un articolo di fondo sul New York Times del 7 luglio 2005 (« Finding Design in Nature »), il fiero materialista si complimenta con il prelato austriaco per aver definito il neodarwinismo un dogma e aver affermata la realtà di fatto del Disegno in natura. L’evoluzione è accertata, conviene, ma « una teoria dell’evoluzione non è mai esistita. » Risponde gentilmente il cardinale: mia madre ha un anno più di Lei ed è ancora attiva. Quanto Lei dice sull’autoassemblaggio appare assai coerente e trovo interessante quello che Lei afferma sul legame tra il darwinismo e l’attuale economia. In fede, Christoph Card. Schönborn. Nessuno dei due interlocutori introduce Dio nei suoi argomenti, in contrasto col fondamentalismo di MicroMega, che ha offerto l’apertura del fascicolo sull’evoluzione a Richard Dawkins che intitola il suo articolo ironicamente: « Perché quasi certamente Dio non esiste. »

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Le denunce

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2008

da Avvenire.it

STUDENTI NEL MIRINO
«Agli esami siamo obbligati a dire che Dio non esiste»
 

«All’inizio dell’anno i professori a scuola chiedono agli alunni: alzi la mano chi è cattolico. Lo fanno per discriminarli e punirli». La confidenza, raccolta da un vescovo vietnamita, rende bene lo stato di sudditanza che i cattolici devono subire in uno dei pochi Stati che ancora si definiscono orgogliosamente «socialisti». 
Da alcuni mesi, inoltre, i cattolici – conosciuti e ‘schedati’ dalle autorità: il controllo è asfissiante, ‘spie’ e delatori sono presenti in tutte le parrocchie, i seminari, perfino nei vescovadi – hanno difficoltà ad ottenere i passaporti per uscire dal Paese. Ha Vi, studentessa cattolica di lingue all’università di Dalat, secondo centro universitario del Vietnam, confida: «Agli esami siamo obbligati a dire che l’uomo deriva dalla scimmia e che Dio non esiste, se vogliamo superare le prove. Lo scorso anno a me, cattolica, un anno hanno fatto fare apposta un esame proprio il giorno di Natale».
(L. Faz.) 



IL «CASO» DEI MONTAGNARD
Dimenticati e sfruttati. «Se non ci fossero i missionari…»
 
 

Sono 55 i gruppi etnici presenti in Vietnam; alla maggioranza Kinh, cioè vietnamita, appartengono circa l’89% degli 84 milioni di abitanti del Paese. Tra i gruppi etnici (quali i K’ho, i Churu, i Ma, i Hmong) i missionari cattolici (numerose anche le confessioni protestanti) sono molto presenti con attività di evangelizzazione, aiuto sociale e promozione umana. «Il governo si disinteressa di noi», dice una giovane montagnard K’ho nei pressi di Dalat. 
«Se non ci fossero i missionari, la gente vivrebbe ancora povera, lavorando i campi e senza istruzione. Invece i padri ci hanno insegnato nuovi lavori, istruiscono i bambini che non hanno i soldi per pagare la scuola pubblica, ci insegnano la fede con il catechismo». La povertà dei montagnard è doppia: si tratta di gente in situazione di sottosviluppo e sfruttata dalla maggioranza Kinh con la colpevole compiacenza del governo. I vietnamiti, ad esempio, si impossessano dei loro terreni oppure li pagano cifre irrisorie.
(L. Faz.) 



I FRATI ARRESTATI
Necessario un permesso per distribuire le medicine ai poveri


Alcuni giorni fa due frati francescani sono andati in un villaggio della diocesi di Kon Toum, negli Altopiani centrali, per consegnare dei medicinali ad un gruppo di poveri della zona. I seguaci di San Francesco hanno fatto del servizio ai montagnard uno dei punti centrali del loro apostolato. Essendo privi del permesso delle autorità, sono stati fermati e tenuti in arresto per un giorno intero dalla polizia del posto. «Ma come si fa a chiedere ogni volta un permesso per una cosa simile?» si chiede un religioso. Un vescovo che lavora con i montagnard ci conferma: «Di certo le autorità non motivano degli arresti con il fatto che le persone incarcerate sono cattoliche, ma ancora oggi ci sono montagnard che vengono imprigionati per la loro fede cristiana, magari con la scusa di aver
disobbedito o infranto le leggi». (L. Fazz.)

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L’Università dei somari

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2008

L'Università dei somari dans Articoli di Giornali e News diddlxs2

Agli esami per magistrati abbiamo scoperto schiere di laureati che riempiono i loro temi di «ogniuno», «comuncue», «l’addove», «un’altro», «qual’è» e «risquotere». Un altro laureato tristemente celebre, Raffaele Sollecito, processato a Perugia per la morte di Meredith, nel suo memoriale scrive: «Il bagno è sporco ho chiesto che venghino a pulirlo». Ricevo il curriculum di una laureata in Scienza della Comunicazione alla Sapienza che si candida a lavorare come giornalista che comincia così: «Denoto un grande interesse per il mondo del giornalismo…». Denoto? Io denoto, tu denoti, egli denota interesse? E vuol fare la giornalista? Sempre meglio della sua collega, pure lei laureata, che ha scritto: «L’attore all’ungandosi verso la finestra…».
E dunque: laureati? O l’aureati? In questi giorni gli studenti di alcuni atenei hanno provato a inscenare proteste. Fallite. In corteo quattro gatti e un megafono, tutti gli altri in classe a studiare. Ma studiare cosa? Quanto? Come? E con che profitto? Cercheranno, nelle prossime settimane, di far montare la protesta anche qui, in facoltà. La sinistra ha voglia di Sessantotto, e il Sessantotto non partì proprio dagli atenei? Il paradosso è che quarant’anni fa la rivolta, che si rivelò sciagurata, cominciava da un principio sano: quello di cambiare un sistema universitario che non funzionava. Ora, invece, chi scende in piazza, quel sistema che non funziona, lo vuole conservare. Ma sì, vuole conservare quest’Università, cioè l’Università dei concorsi bloccati, della parentopoli, degli scandali dei baroni. L’Università delle lauree vendute e dei testi falsificati. L’Università truccata, come rivela in un bel libro della Einaudi, il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi: l’Università che nelle classifiche internazionali finisce dietro quella delle Hawaii, che spende più di tutto il resto del mondo (16mila dollari per ogni studente contro i 7mila degli Usa) ma non dà risultati scientifici né una formazione adeguata. L’Università che, grazie alle sue inefficienze, premia le élite e, contrariamente a quello che si crede, punisce i ceti meno abbienti: solo l’8 per cento degli universitari italiani proviene dalle fasce più basse contro il 13 per cento degli Stati Uniti. Ma non erano i costosi Atenei americani il simbolo dell’anti-democrazia educativa?
Oggi vi raccontiamo l’ultima scoperta: all’Università di Como ci sono 24 docenti per 17 studenti. Un bel record, non vi pare? Ma da qualche giorno il Giornale (e solo il Giornale, come spesso accade) sta denunciando questa strana situazione dei nostri atenei che alzano la voce per lamentarsi dei tagli, dimenticando i loro sprechi. In sei anni le Università hanno moltiplicato i corsi di laurea: da 2444 a 5400. E non tutti utilissimi, si direbbe a prima vista. In effetti oggi si può diventare dottori, tanto per dire, in scienza dell’aiuola, in mediazione dei conflitti, in tecnologia del fitness, in scienza del fiore e in benessere animale. Manca solo il corso di laurea in raffreddore dei suini e quello in filosofia delle oche e poi il quadro sarebbe completo.
Ma poi che sbocchi danno queste facoltà? E chi le frequenta? Tenetevi forte: trentasette corsi di laurea in Italia (dicasi: 37) hanno un solo studente, a questi vanno poi aggiunti altri 66 corsi che hanno meno di sei studenti. Ma vi pare possibile? Tenere in piedi un corso di laurea e relative spese per un unico studente? O per due o tre? E poi le Università si lamentano dei tagli… A Siena hanno collezionato un buco di 145 milioni, non pagano le tasse dal 2004. Poi vai a vedere i bilanci e scopri che, per esempio, l’oculato ateneo spendeva 150mila euro l’anno per affittare alcune stanze di lusso con affaccio su piazza del Campo: inutile tutto l’anno, certo, ma nei giorni del Palio, sai che goduria…

L’Università di Siena utilizza il 104 per cento del suo bilancio per pagare stipendi. 104, avete capito bene: e per tutto il resto? Niente. Nell’ateneo toscano i tecnici sono più numerosi dei professori. E non è un caso unico: a Palermo, per esempio, ci sono 2.103 professori e 2.530 amministrativi, a Messina 1.403 professori e 1.742 amministrativi. La Federico II di Napoli, che nelle classifiche si piazza fra le dieci peggiori università d’Italia, spende il 101 per cento dei suoi soldi per il personale. L’impressione è che anche le facoltà, come la scuola, negli ultimi anni siano stati concepiti più come ammortizzatori sociali che come luoghi di formazione: non si sa se chi esce troverà un posto di lavoro. L’importante è che trovi un posto di lavoro chi resta dentro.
Dunque è vero che ci vorrebbe una protesta. Ci vorrebbe un Sessantotto. Ma per rivoluzionare l’Università, non per tenerla così com’è. E invece oggi assistiamo a questo strano paradosso: si scende in piazza solo per difendere il sistema, anche quando il sistema non funziona. I riformisti nel palazzo e i conservatori nel corteo. Strano, no? Ma nelle università ci sono i nostri migliori cervelli: gente di talento, e anche di buona volontà. Non possono non capire che dietro i luoghi comuni e la lagna per i tagli si nasconde la solita difesa di privilegi, baronie, sprechi e inefficienze, quelli che hanno creato quest’Università di laureati (o l’aureati?) pieni di lacune. O forse lagune. Quelli che ti dicono: vedrete, faremo il Sessantotto e la protesta si estenderà a macchia d’occhio. Sì, a macchia d’occhio. E la gente arriverà in piazza a frottole.


di Mario Giordano – Il Giornale

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