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Marcellino Pane e Vino

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2008

« Marcellino Pane e Vino » racconta la storia di un bambino abbandonato davanti ad un convento di frati che lo accolgono e lo allevano. Un giorno scopre nella soffitta un enorme crocifisso che desta in lui una profonda compassione tanto da decidere di prendersene cura portandogli da mangiare e riparandolo dal freddo.
Quell’amicizia lo rende felice; l’Uomo della soffitta diventa tutto per il suo cuore semplice, il centro dei suoi pensieri e della sua affezione.
«Gli occhi di Marcellino» ha commentato don Luigi Giussani «sono due occhi sgranati sulla positività dell’essere», sono un inno alla «morale cattolica, che è un guardare lasciandosi attrarre».
Da questo racconto, scritto per bambini e capace di commuovere il lettore adulto, è stato tratto il celebre film.

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José María Sánchez Silva, Marcellino Pane e Vino, a cua di Erminio Polidori, Edizioni ITACA – 2007, pag. 80, € 10,00

Fonte: Lo Zuavo Pontificio

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Quella speranza che sconfigge la crisi in Borsa

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2008

Quella speranza che sconfigge la crisi in Borsa dans Antonio Socci antoniosocci

Robert Hughes definì « cultura del piagnisteo » quella della sinistra politically correct. Ma anche la destra reazionaria vive di geremiadi. Il piagnone sommo, Oswald Spengler, le unisce. Da questi acquitrini di lacrime, nel XX secolo, sono nati frutti avvelenati. Oggi col crollo delle Borse tornano gli apocalittici. Stanno col culo al caldo, ma annunciano il tramonto dell’Occidente. Se si voltassero (« metanoia », convertire lo sguardo) vedrebbero l’alba di un tempo nuovo. E gente non disperata: i cristiani.

Certo, c’è il partito dei distruttori, dei pescecani che hanno prodotto lo sfacelo dell’economia. Ma c’è anche il « partito dell’aratro », di quelli che sembrano meno forti, come dice Péguy, ma che fanno la storia. Quando irruppero i barbari crollò l’impero romano e una civiltà millenaria fu travolta. L’economia crolla fino alla sussistenza, le campagne si spopolano, il continente si copre di foreste selvagge piene di lupi e briganti. Tutto sembra perduto per sempre e l’Europa regredisce all’età primitiva.

Eppure rinacque una civiltà più grande, bella e luminosa. Da alcuni uomini che cercavano Dio. L’unico che non passa, che non tramonta, l’eterna giovinezza. Lo ha spiegato il Papa, nel suo splendido discorso parigino: « non era intenzione dei monaci di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato ». Volevano semplicemente conoscere Gesù Cristo. Gustare la sua presenza che non abbandona e non delude mai: « Jesu dulcis memoria/ dans vera cordis gaudia/ sed super mele et omnia/ Ejus dulcis praesentia… ».

Era la loro unica, struggente passione. Da cui venne tutto. Per questo salvarono la cultura antica. E « inventarono » il lavoro. Gesù lavoratore aveva nobilitato il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera. Col lavoro i monaci trasformarono l’Europa devastata e selvaggia in un giardino fertile e rigoglioso. Uno storico scrive: « Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa », con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. « Educatori economici », li definì Henri Pirenne.

Il cristianesimo spazzò via la schiavitù e svegliò l’ingegno cosicché si inventarono macchine per sfruttare l’energia idraulica che « i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura ». I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare, introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, l’apicoltura, la frutticoltura, i vivai di salmone in Irlanda, la fabbricazione della birra, l’invenzione del prosciutto, del formaggio e perfino dello champagne.

I cristiani inventarono gli ospedali, le università, la musica, coprirono l’Europa di cattedrali e di bellezza, inventarono la tecnologia, la scienza, la stessa libertà, l’economia moderna e la democrazia. I monaci avevano cercato solo il regno di Dio: il resto – secondo la promessa di Gesù – arrivò in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.

Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, l’incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo: « Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince ».

E oggi? Oggi il mondo è pieno di nuovi monaci. I mass media non se ne accorgono, perché un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Potrei riempire questo giornale con i loro nomi e le loro bellissime storie. Andate in Lombardia a conoscere Lorenzo Crosta che ha creato cooperative dove lavorano un centinaio di ragazzi, con handicap fisici e mentali, pieni di umanità, sorrisi e dedizione.

Andate a Teramo a vedere cosa hanno messo in piedi Ercole D’Annunzio e sua moglie, Enza Piccolroaz, partendo dal dramma di una figlia nata con una grave malattia: una delle più straordinarie strutture di riabilitazione del meridione, con un pullulare di altre opere anche di ricerca medico-scientifica. Ma penso anche ai detenuti del carcere di Padova che stanno diventando uomini nuovi e all’ultimo Meeting di Rimini hanno stupito e commosso tutti (ci hanno pure deliziato con i prodotti di pasticceria della loro Cooperativa Giotto).

Penso all’immensa opera del Banco alimentare che – nato dallo sguardo di carità di don Giussani – oggi letteralmente coinvolge milioni di italiani e dà da mangiare a un oceano di persone. E a quella stupenda cattedrale della speranza e della preghiera che è Radio Maria. E gli studenti che, invece di okkupare scuole e università dove svaccarsi, portano in giro per le strade i « cento canti » di Dante. E poi i tanti padri e madri di famiglia che sono veri eroi della speranza. E insegnanti come Mariella o Gianni che fanno scoprire ai giovani la Bellezza. E artisti pieni di fede, simpatia e talento come Francesco che ha dipinto il rosone duccesco del Duomo di Siena e si prepara a fare le vetrate della splendida cattedrale barocca di Noto. E lo scultore giapponese Etsuro Sotoo che continua l’opera di Gaudì alla « Sagrada Familia ».

Guardate i silenziosi volontari che lavorano nei Centri di Aiuto alla vita. E quel fiume di straordinarie donne e uomini di Dio su ognuno dei quali si potrebbe scrivere un libro, dalle clarisse di suor Milena, a Trevi, a quelle di suor Beatrice a Perugia, alle francescane di suor Chiara ad Assisi? Penso alle suore che assistono da anni Eluana Englaro e che supplicano: « lasciatela qui, ce ne prendiamo cura noi ». E i tanti religiosi che donano tutta la loro esistenza a sostenere la speranza dei disperati.

Penso a Stefano Borgonovo, l’ex calciatore del Milan e della Fiorentina ora malato di Sla: lui, la sua bellissima famiglia, i suoi amici. Leggete su « Tracce » che umanità e che forza! E i tanti malati che offrono la loro sofferenza e così letteralmente tengono in piedi il mondo. Andate a visitare la Casa di accoglienza « Don Dante Savini », a Perugia, che accoglie e assiste professionalmente malati terminali di Aids o di altre gravi patologie. Guardate i volti, gli occhi, dei giovani seminaristi che vivono alla Fraternità San Carlo e si preparano ad andare fino ai quattro angoli della Terra a portare il senso della vita a popoli assetati di Cristo. Non sono afflitti dal futuro dell’Occidente, perché hanno e gustano l’Eterno nel presente.

Così dissodare, irrigare, coltivare, amare, anche inventare, ingegnarsi diventano come la preghiera. Scoprite l’incredibile storia di Giuseppe Ranalli e della sua Tecnomatic che, nelle sperdute campagne dell’Abruzzo, oggi con un fatturato di 40 milioni di euro (+32 per cento nel 2008), lavora per le maggiori case automobilistiche del mondo grazie a brevetti rivoluzionari.

E Pippo Angelico, imprenditore brianzolo della Ceccato spa (settore manifatture di precisione) che – per un’amicizia nata al Meeting del 2005 – ha deciso di andare a investire a Napoli grazie al Centro di solidarietà che lavora nel Rione Sanità e che si fa carico di tanti problemi della povera gente . O scoprite « il circolino di Crescenzago », come lo chiama Giorgio Vittadini.

Mi fermo per mancanza di spazio (se Scalfari conoscesse tutte queste cose non avrebbe scritto ciò che ha scritto della Compagnia delle opere). Ma poi c’è il mondo. La stupefacente storia brasiliana di Cleuza e Marcos Zerbini e dei « Senza Terra », 50 mila persone spesso nipoti di schiavi, che hanno « scoperto » Comunione e liberazione. E i missionari che in India – come spiega padre Gheddo – stanno letteralmente capovolgendo le millenarie caste, restituendo dignità a milioni di Dalit? E donne straordinarie come l’infermiera Rose che in Uganda cura i malati di Aids? E la « resurrezione » della sua amica Vicky che è stata raccontata in un film premiato al Festival di Cannes da Spike Lee? Certo, molte cose tramontano. Ma se voltate lo sguardo vedrete l’alba di un giorno che non finisce.

Da Charles Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco

« Non occorre che un acciarino per bruciare una fattoria. Occorrono degli anni per costruirla. Ci vogliono mesi e mesi, c’è voluto lavoro e ancora lavoro per far crescere una messe. E non ci vuole che un acciarino per dar fuoco a una messe. Ci vogliono anni e anni per far crescere un uomo, c’è voluto pane e ancora pane per nutrirlo, e lavoro e lavori di ogni genere. E basta un colpo per uccidere un uomo. Un colpo di sciabola e la cosa è fatta. Per fare un buon cristiano occorre che l’aratro abbia lavorato venti anni. Per disfare un cristiano occorre che la sciabola lavori un minuto. E’ nel genere dell’aratro lavorare vent’anni. E’ nel genere della sciabola lavorare un minuto; e di fare di più: di essere la più forte. Di farla finita. Allora noi altri saremo sempre i meno forti. Andremo sempre meno veloci. Noi siamo il partito di quelli che costruiscono. Loro sono il partito di quelli che demoliscono. Noi siamo il partito dell’aratro. Loro sono il partito della sciabola ».

di Antonio Socci
Tratto da: Libero – 17 Ottobre 2008

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La verità sul « caso Galilei »

Posté par atempodiblog le 18 octobre 2008

Il triste episodio de “la Sapienza” ha fatto tornare alla ribalta il Caso Galilei…e si sentono rievocare i soliti luoghi comuni. Ma come davvero andarono le cose?
di Corrado Gnerre

 

Le proteste per la visita di Benedetto XVI all’università de “la Sapienza” hanno fatto tornare alla ribalta il “caso Galilei”. I 67 docenti firmatari del documento contro l’invito al Papa hanno fatto riferimento ad un discorso pronunciato nel 1990 dall’allora cardinale Ratzinger, in cui, parlando del caso Galilei, il futuro papa citò alcune parole del filosofo della scienza Paul Feyerabend (1924-1994) – anarchico e ateo, quindi al di sopra di ogni sospetto – in cui si affermava che nel processo allo scienziato pisano la ragione era dalla parte della Chiesa.

Scienza o scientismo?

In realtà ciò che capitò a Galilei non fu causato dalla sua negazione della concezione geocentrica (il Sole che gira intorno alla Terra) quanto dal fatto che la sua posizione si faceva sostenitrice di un nuovo modo di concepire la scienza, un modo in cui la scienza stessa sarebbe potuta divenire l’unica ed esclusiva lettura della realtà.

Titus Burckhardt (1908-1984) nel suo Scienza moderna e saggezza tradizionale (1968) scrive a pagina 134: «La Chiesa, esigendo da Galileo di presentare le proprie tesi sul moto della terra e del sole non come verità assoluta ma come ipotesi, aveva le sue buone ragioni (…). L’esaltazione letteraria di Galileo ha fatto nascere in svariati dignitari ecclesiastici una sorta di coscienza di colpa che li rende stranamente impotenti dinanzi alle teorie scientifiche moderne, quand’anche queste siano in palese contraddizione con le verità della fede e della ragione. La Chiesa, si suol dire, non avrebbe dovuto immischiarsi nei problemi scientifici. Eppure lo stesso caso di Galileo dimostra che, accampando la pretesa di possedere la verità assoluta, la nuova scienza razionalista del Rinascimento si presentava alla guisa di una seconda religione».

Sfatiamo i luoghi comuni

Dunque, la scienza come una sorta di “nuova religione”, ovvero il passaggio dalla scienza allo scientismo. Ma su questo ritorneremo tra pochissimo. Iniziamo a sfatare alcuni luoghi comuni sul “caso Galilei”. Ci sono sette punti importanti da ribadire. 

1) L’eliocentrismo non c’entra

A differenza di quanto si dice, Galilei non ebbe i suoi problemi per la teoria eliocentrica (la Terra ruota intorno al Sole), per il semplice fatto che questa teoria non faceva paura alla Chiesa. Già quattro secoli prima di Galilei, san Tommaso d’Aquino disse che la concezione tolemaica, proprio perché non suffragata da prove, non poteva considerarsi definitiva.
Copernico, astronomo polacco e perfino sacerdote cattolico, morto ventuno anni prima di Galilei, aveva sostenuto la concezione eliocentrica; e molti contemporanei, perfino esponenti della gerarchia ecclesiastica (tra questi anche pontefici come Leone X e Clemente VII) si mostrarono aperti alle sue tesi.

Nella celebre Università di Salamanca, proprio negli anni di Galilei, si studiava e si insegnava anche la concezione copernicana. Lo stesso Galilei era a conoscenza del fatto che la Chiesa non aveva nulla da ridire sull’ipotesi di Copernico. Così scrisse a Cristina di Lorena: «[Il trattato di Copernico] è stato ricevuto dalla santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa ombra di scrupolo nella sua dottrina (…)».

Piuttosto era nel mondo protestante che l’eliocentrismo faceva paura. Riferendosi a Copernico, Martin Lutero scrisse: «Cadde un giorno il discorso sopra un astrologo moderno il quale voleva dimostrare che la Terra si muove e non già il cielo o il firmamento col Sole e con la Luna (…). Ma le cose adesso vanno così: chi vuole apparire savio e dotto non deve approvare quello che fanno gli altri, ma deve fare alcunché di singolare e tale che a suo credere nessun altro sia capace di fare. Il pazzo vuole rovesciare tutta l’arte astronomica».

2) Atteggiamento scientista e non scientifico

Dunque, il motivo per cui Galilei ebbe problemi non fu legato alla teoria eliocentrica ma a ragioni di filosofia della scienza. Galilei, pretendendo presentare l’eliocentrismo non come ipotesi ma come una tesi comprovata, rappresentava un atteggiamento scientista e non scientifico.

Mentre l’atteggiamento autenticamente scientifico si serve delle prove, parte sì da un’intuizione, ma sottopone questa intuizione a verifica; l’atteggiamento cosiddetto scientista è il contrario, cioè fa dell’intuizione scientifica, indipendentemente dalla verifica, l’intuizione per eccellenza da preferirsi a qualsiasi altra intuizione, tanto a quella della tradizione quanto a quella del senso comune.

Galilei, avendo solo delle intuizioni e non delle prove, pretendeva che la mentalità scientifica, solo perché “scientifica”, potesse essere “giudice” della Rivelazione. Ma la Fede, se può e deve dialogare con la scienza, non può certo dialogare con lo scientismo, che è un’ideologia e che fa della scienza una “seconda religione”, secondo la definizione del citato Burckhardt.

3) La ragionevolezza del Bellarmino

San Roberto Bellarmino (1542-1621), che svolse un ruolo importante nel processo a Galilei, non pretendeva che lo scienziato pisano rinunciasse alla convinzione eliocentrica bensì che ne parlasse per quello che effettivamente era, cioè un’ipotesi.

Così scrive  in una lettera del 12 aprile del 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: «Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare “ex supposizione” e non “assolutamente”, come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (…) Dico che quando ci fusse “vera dimostrazione” che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra, ma la Terra circonda il Sole, all’hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra».

Che poi il Bellarmino dica queste cose non improvvisando né formulando “novità”, è dimostrato dal fatto che egli nel 1571 (cinquant’anni prima) scriveva nelle sue Praelectiones Lovanienses: «Non spetta ai teologi investigare diligentemente queste cose (…). Possiamo scegliere la spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (…). Se però in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano intendersi le Scritture affinchè non contrastino con una verità acquisita. È certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può contrastare con nessun’altra verità sia filosofica come astronomica (…)».

4) Mancanza di prove scientifiche

Galilei non portava prove convincenti per suffragare la sua ipotesi. Una prova in realtà la portava, ma era sbagliata. Inviò una lettera al cardinale Orsini dove affermava che la rotazione della Terra intorno al Sole sarebbe provata dalle maree, cioè, secondo lui, il movimento della Terra provocherebbe scuotimento e quindi le alte e basse maree.

I giudici però contestarono questa “prova” e dissero giustamente che le cause delle maree dovevano ricercarsi in altro. Ecco perché il già citato Paul Feyerabend, pur essendo ateo ed anarchico, ha affermato che nel processo a Galilei il rigore scientifico fu più dalla parte della Chiesa che non da quella dello Scienziato pisano.

5) Mitissima pena…

Galilei non subì nulla di eclatante a differenza di quanto molti pensano. Alcuni sondaggi dicono che la stragrande maggioranza degli studenti italiani credono che Galilei subì torture e che fu addirittura arso vivo.

I nostri docenti di scuola e di università invece che fare tanta cagnara dovrebbero  riflettere sulla scientificità dei loro insegnamenti. Ecco cosa davvero subì Galilei. Nel febbraio del 1632 lo Scienziato pisano pubblicò a Firenze il famoso Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo…, e nell’agosto dello stesso anno, a Roma, se ne proibì la diffusione. Il 16 giugno del 1633 il Sant’Uffizio condannò l’autore. Il 22 giugno dello stesso anno Galilei abiurò e fu condannato a recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali e al carcere, ma questo fu subito commutato in domicilio coatto. Prima nel Giardino di Trinità dei Monti (alloggio con cinque camere, vista sui giardini vaticani e cameriere personale); poi nella splendida Villa dei Medici al Pincio; quindi a Siena presso l’amico e arcivescovo Ascanio Piccolomini, in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e, infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore. Di tortura neanche a parlarne. 

Lo stesso Galilei fu consapevole della mitezza della pena, tanto che ringraziò i giudici e confessò di aver fatto di tutto per indisporli. La stessa scelta dell’affezionatissima figlia Virginia di farsi suora (suor Celeste) dimostra la mitezza della pena. Lei che era così attaccata al padre, qualora Galilei fosse stato maltrattato dalla Chiesa, avrebbe avuto il desiderio di consacrarsi?
Galilei, malgrado la condanna, poté continuare a pubblicare e a curare l’amicizia di vescovi e scienziati; e proprio dopo la condanna pubblicò l’opera più importante, Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze. Morì ad Arcetri l’8 gennaio del 1642, assistito da discepoli come Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli; morì con i conforti religiosi e finanche con l’indulgenza plenaria e la benedizione del Papa.

6) Un contesto sfavorevole

Il processo a Galilei si può capire solo collocandolo all’interno del XVII secolo; secolo tutt’altro che facile. Verrebbe da dire che se lo Scienziato pisano fosse vissuto in pieno XIII secolo non avrebbe avuto i problemi che ebbe.

Iniziamo col considerare che nel XVII secolo il riferimento ad Aristotele non era un riferimento critico, capace cioè di selezionare e discernere (come invece riuscì a fare il vertice della Scolastica e in particolar modo san Tommaso), bensì pedissequo: Aristotele doveva essere accettato integralmente, anche per quanto riguardava la sua visione cosmica.

Inoltre, c’era stato da poco (meno di un secolo) lo scoppio della Riforma, imperversavano le guerre di religione… e il mondo protestante accusava quello cattolico di non amare la Bibbia, di leggerla poco, di non rispettarla.

Tutto questo portò, per reazione, anche alcuni ambienti cattolici ad un atteggiamento di protezione letteralistica della Bibbia stessa. Per finire, durante la Guerra dei Trenta Anni si erano diffusi i manifesti dei Rosa-Croce, che (come ha ampiamente dimostrato la storica inglese Frances Yates) furono scritti per riproporre una visione ermetica e magica del reale collegata alla prisca philosophia, da contrapporre alla visione cattolica identificabile nel fronte asburgico.

Ora, la visione ermetica e magica si fonda sul monismo e sulla identificazione del creato con il creatore (panteismo) per cui il concepire la Terra non più al centro poteva, secondo alcuni, avvalorare una concezione infinita e divina dell’universo stesso. 

7) L’ultimo dei miti da sfatare

E per finire… la famosa frase che campeggia su buona parte dei libri scolastici, e cioè che Galilei avrebbe detto “eppur si muove”, in realtà non fu mai pronunciata. Fu inventata da un giornalista italiano, Giuseppe Baretti, a Londra nel 1757.

Tratto da Radici Cristiane

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