Perché io no?

Posté par atempodiblog le 29 août 2008

 

Perché io no? dans Don Bruno Ferrero diddlfiorepl1

PERCHÉ IO NO?

È la frase che i genitori sentono più spesso:

Lo fanno tutti, perché io non posso?

Una frase che i figli istintivamente usano con calcolata crudeltà. Provoca un fastidioso senso di insicurezza ai genitori, che si sentono sbattuti nell’arena della concorrenza. I figli esprimono con questa protesta un istinto positivo; i genitori vi sentono la minaccia di un conformismo pericoloso.

I bambini crescendo devono imparare a entrare in rapporto con gli altri, e i coetanei sono il loro specchio, a tutte le età. È difficile imparare a volersi bene se non si è accettati dai propri simili. Proprio per questo, una delle tappe principali nell’evoluzione dei piccoli è imparare a essere come gli altri bambini della loro età. Imparare a far parte attivamente di un gruppo è molto importante perché il bambino sviluppi un’immagine positiva di sé. Un bimbo potrà osare di essere diverso soltanto dopo che ha avuto la certezza di essere alla pari con gli altri.

Gli aspetti positivi di questa voglia di essere come gli altri possono però facilmente trasformarsi in una forza negativa, che possiamo chiamare «l’imitazione a tutti i costi». In questo senso vanno comprese le pressanti raccomandazioni di don Bosco ai suoi ragazzi perché facessero attenzione ai «cattivi compagni» e al «rispetto umano».

Il rischio da evitare è che inizi in famiglia una continua guerriglia:

Tutti gli altri tornano a casa quando vogliono, perché io devo rientrare alle dieci?

Non vi fidate di me!

La mamma di Gloria glielo compra, perché tu no?

Alcune semplici attenzioni

L’«entrata in società» dei figli è in ogni caso un momento delicato e importante. Il suo esito dipende dall’impostazione dell’educazione familiare e in un certo senso ne costituisce il termometro.

La conquista dell’autonomia è una battaglia difficile, che paradossalmente provoca effetti analoghi sui figli che provengono da una famiglia iperprotettrice e su quelli che escono da famiglie inesistenti.

L’adolescente che è stato troppo protetto e controllato, quando per necessità di cose deve cominciare ad arrangiarsi da solo, va disperatamente alla ricerca di qualcuno che sostituisca i genitori, qualcuno cui affidarsi ciecamente, come faceva con mamma e papà. E si avvia sulla strada dell’uomo in grigio, privo di personalità, di autonomia, di iniziativa, e sempre pronto a sottomettersi a chi gli garantisca protezione e sicurezza.

Ancora più difficile è prendere le mosse da una famiglia inesistente, o disgregata, o affettivamente mutilata.

Quando il bambino comincia la lunga marcia puberale, dietro di lui c’è il vuoto. Non genitori come modelli da accettare o da respingere. Non qualcuno con cui misurarsi in un clima di fiducia e di affetto. Non una base, forse non troppo apprezzata, ma solida, su cui edificare qualcosa. Solo delusione, o amarezza, o indifferenza.

Se i genitori hanno una identità forte, anche i figli l’avranno. Lo psicologo David Elkind afferma: «Le persone che hanno una forte identità non la perdono nemmeno nelle circostanze più difficili».

Si può dire: «Non è giusto darla sempre vinta agli altri. Tu hai i tuoi valori e gli altri devono rispettarli. In ogni rapporto un po’ si prende e un po’ si dà e questo deve valere anche per i tuoi amici».

I genitori devono esserci e non esserci; saper soccorrere e abbandonare; mescolare attentamente fermezza e comprensione; restare se stessi, ma anche rinunciare a se stessi.

Un’impresa da far tremare le vene e i polsi. Eppure molti genitori ci riescono benissimo. I figli hanno davvero bisogno di «provare le loro ali», di cominciare a prendere le loro decisioni e di imparare dai loro sbagli.

Occorre inviare ai figli due messaggi diversi.

1. Approviamo il tuo bisogno di essere come gli altri.

2. Ti vogliamo abbastanza bene da aiutarti a capire che cosa è giusto e buono e che cosa non lo è.

I figli devono capire che i genitori sostengono il loro sforzo di diventare autonomi, ma che come genitori hanno il dovere di proteggerli dai pericoli.

Una regola importante: papà e mamma sono d’accordo tra loro. Funzionano solo le regole stabilite di comune accordo. Genitori e figli devono costruire insieme la capacità di resistere alla pressione del conformismo.

La cosa più utile è distinguere tra questioni importanti e irritazioni da poco. Si può anche essere elastici sul modo di vestire, sui gusti musicali, sugli hobby… È vitale essere fermi quando si tratta di rientri a casa, di andare alle feste senza essere accompagnati, di alcol, ecc.

Parlarne apertamente. I ragazzi devono essere aiutati a distinguere le pressioni utili da quelle dannose. Un papà può tranquillamente dire al figlio:

Non mi importa niente se tutti sul pullman si comportano in modo volgare e maleducato. Tu porti il mio cognome, e io ho diritto al mio buon nome…

In momenti particolari di vicinanza e di serenità, i genitori devono ricordare ai figli che essere «unici» premia molto di più che essere «come gli altri».

di Bruno Ferrero
Tratto da: colledonbosco.it

 

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