Valori e tendenze
Posté par atempodiblog le 22 août 2008
Casa di proprietà?
Il ceto medio frena
Sempre più spaventati da tasse e burocrazia
di Diego Motta - Avvenire
I valori di fondo restano gli stessi, ma cambiano abitudini e costumi . È il ritratto di un’Italia a due facce quello che emerge dalla ricerca Gpf/ Castelvecchi che verrà presentata lunedì prossimo all’appuntamento annuale di «Vedrò», in Trentino. Un Paese in cui la privacy non è più un’ossessione, tanto meno un tabù, visto che all’età della riservatezza si va sostituendo l’età dell’accesso. Un Paese in cui anche il mito della proprietà, dalla casa all’auto, subisce i colpi di un lento ma progressivo sgretolamento, mentre vanno facendosi strada atteggiamenti nuovi come la condivisione delle conoscenze (soprattutto su Internet) e la scelta di una maggior sobrietà nell’uso delle risorse finanziarie. Resiste invece l’ancoraggio a valori come la responsabilità e l’impegno, verso gli altri e verso l’ambiente che ci circonda. A rispondere ai quesiti sottoposti sono state 501 persone intervistate, in una fascia della popolazione italiana compresa tra i 15 e i 54 anni, suddivisa per età, sesso e area geografica. Un panel che utilizza Internet ma non solo (l’indagine è stata realizzata via web dal 14 al 17 luglio scorso e dopo una fase esplorativo- qualitativa in cui sono stati svolti 20 colloqui personali) e che senza dubbio fotografa bene il ceto medio italiano di oggi e di domani: i cosiddetti trend setters, che fanno opinione e tendenza pur rappresentando tutto l’arco della popolazione italiana.
L’affitto «paga» di più. «Il reddito è senza dubbio un elemento-chiave nell’indirizzare certe dinamiche – spiega Alberto Castelvecchi, uno degli autori della ricerca –. Il ceto medio, in particolare tra i 30 e i 45 anni, o può contare su genitori che hanno messo da parte le somme necessarie per acquistare un’abitazione e fa un investimento sulla casa di proprietà, oppure orienta i soldi a disposizione su costi minori come l’affitto, magari da dividere con altri». Secondo il 63% degli intervistati condividere con altri beni quali la casa e l’auto è «un’opportunità di rafforzare i legami sociali» , mentre il 37% pensa sia un segno di impoverimento. Quanto all’utilizzo esclusivo di beni da parte di una sola persona, per il 47% «è un vero spreco». Non è una contraddizione per un Paese in cui l’80% delle famiglie possiede un’abitazione di proprietà e in cui, stando agli ultimi dati, la domanda di mutui è in crescita? «Avere un tetto e una casa proprie è un’esigenza che resiste – risponde Castelvecchi – ma non si investe più sul mattone in senso stretto. Perché l’idea di vincolarsi a qualcosa che si porti dietro tasse, burocrazia e costi vari spaventa sempre di più».
Qui in realtà l’opinione del pubblico degli intervistati è più sfumata: il 49% ritiene molto o abbastanza condivisibile l’affermazione secondo cui «la proprietà di casa, auto e moto sia un peso per i doveri che implica». Il 54% è «abbastanza d’accordo» (e il 25 «molto d’accordo») con l’affermazione seguente: «vivere per avere beni e ricchezze non mi interessa, preferisco una vita ricca di esperienze».
È la metafora del telefonino: al valore dell’oggetto in sé e dello status symbol che pure rappresenta, spiega Castelvecchi, si sovrappone e spesso finisce per essere dominante « il valore immateriale di ciò che contiene: l’agenda dei numeri dei collaboratori, le conoscenze immagazzinate e i contatti che ci siamo procurati».
Condivido ergo sum. Nel mondo della conoscenza prevale l’esigenza del sapere, attraverso tutto e tutti, anche a costo di giocarsi i propri dati personali. La tutela della privacy è considerata «una grande conquista per tutti» solo dal 43% degli intervistati, mentre il 57% pensa che in realtà oggi in questo modo «si proteggano soprattutto i furbi e i prepotenti». E l’allarme per le intercettazioni e la diffusione di dati personali? « Chi non ha nulla da nascondere non deve temere nulla» risponde il 63%, mentre solo il 37% auspica «più controlli per ridurre la circolazione delle informazioni» . Sia chiaro: la legge 675 che ha istituito la firma per autorizzare il trattamento delle informazioni personali è una conquista per il 78% del campione, ma forse non è più il riconoscimento giuridico a preoccupare in questo momento storico. Piuttosto, a infastidire è la mancanza di sensibilità da parte della comunità in cui viviamo: così il 56% degli intervistati vorrebbe che la distanza di sicurezza in banca o in posta sia maggiormente rispettata («è una forma di educazione» ) e quasi l’80% non sopporta di dover ascoltare le conversazioni che altri fanno in pubblico.
«C’è un bisogno di privacy diversa, perché si cerca di più la relazione e si preferisce lo scambio di cultura e informazione rispetto all’isolamento» spiega Castelvecchi. Si torna per questa via al valore della condivisione, anche negli spazi fisici: il 50% vorrebbe «un uso comune con altre famiglie di alcuni spazi nell’edificio in cui vivo», mentre il 51% desidera un mondo dove i beni personali siano condivisi perché così si «incoraggia il senso di responsabilità e il rispetto per gli altri».
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