Guidare bene

Posté par atempodiblog le 22 juillet 2008

Non bastano le punizioni
Guidare bene è un problema di
coscienza

di S.E. Mons. COSMO FRANCESCO RUPPI

Guidare bene dans Riflessioni ehx8n9

Le recenti disposizioni governative che hanno inasprito le pene di chi guida in stato di ebbrezza, venendo meno alle norme essenziali del Codice dalla strada, hanno fatto pensare molti autisti ed hanno anche stimolato i gestori delle discoteche ad affiggere cartelli, in cui si ammonisce chi guida a tenersi lontano dalle sostanze alcoliche o stupefacenti.

Tutto giusto, tutto bene, anche la sorveglianza accresciuta sulle strade, specie il sabato notte, il ritiro di patente, la minaccia del carcere e dei cosiddetti lavori forzati per i più incalliti.

Nessuna legge, però, sarà valida, se non trova all’interno dell’uomo la sua doverosa accoglienza; nessuna pena sarà veramente, come dev’essere, «medicinale» se non trova all’interno della coscienza di ciascuno il suo più profondo radicamento.

Forse per questo ci si chiedeva giorni addietro qual è il radicamento di tutto questo nella legge naturale, nella legge della coscienza e la risposta è più che facile: il Codice della strada si fonda sul quinto comandamento, che dice: non uccidere, cioè, non mettere in pericolo la tua e l’altrui vita, non ferire, non esporti al pericolo di perdere la tua vita o di insidiare la vita degli altri.

Tra i dieci comandamenti, che sono patrimonio di tutto il genere umano, dopo quello di onorare i genitori, c’è quello di «non uccidere», cioè non ucciderti e non uccidere neppure l’altro. Non solo non uccidere, ma anche non ferire, non danneggiare la vita altrui, non esporti al pericolo di danneggiare e di ferire, ciò che fa l’autista spericolato, quello che guida in stato di ebbrezza, con scarsa coscienza e responsabilità.

Questo non è un problema religioso, ma civile e soprattutto morale, di quella morale che chiamiamo «naturale» cioè patrimonio di ogni uomo, di ogni tempo, di ogni latitudine.

La vita umana è sacra sin dal suo concepimento e fino alla morte; è sacra e pertanto deve essere rispettata nella propria e nella altrui esistenza. Attentare alla vita, con una guida spericolata o incauta, minacciare di andare o mandare fuori strada, costituisce non solo un reato civile e penale, ma anche un vero e proprio peccato, di cui bisogna pentirsi e confessarsi.

Forse nessuno, anche di quelli che si confessano abitualmente, nel suo esame di coscienza, si interroga sul modo come guida l’automobile o il motorino, invece dobbiamo cominciare a farlo, per radicare nella nostra coscienza il dovere di rispettare la nostra vita e la vita degli altri.

Si tratta, in parole semplici, di «un peccato sociale» pari, se non più grave di quello di non pagare lo tasse, perché non attiene a un dovere civile, ma un dovere morale fondamentale per l’umana esistenza.

Molto può fare la famiglia per rafforzare la coscienza di «guidare con prudenza» se i genitori e gli adulti insegnano ai bambini a conoscere e rispettare le leggi della strada e della guida: molto può fare la scuola e sappiano che lo fa, con l’aiuto dei vigili e della polizia, che volentieri si prestano a svolgere lezioni sul Codice della strada; molto possono fare i pastori delle anime, richiamando i fedeli su un dovere essenziale della vita e del vivere sociale.

Nessuno però può influire seriamente come se stesso. È dentro di noi, che dobbiamo radicare il dovere del rispetto scrupoloso della legge della strada. Tutti dobbiamo aver più rispetto della nostra vita e della vita degli altri.

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