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Il conto

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2008

Il conto dans Don Bruno Ferrero diddlrz7

Una sera, mentre la mamma preparava la cena, il figlio undicenne si presentò in cucina con un foglietto in mano.
Con aria stranamente ufficiale il bambino porse il pezzo di carta alla mamma, che si asciugò le mani col grembiule e lesse quanto vi era scritto:
“Per aver strappato le erbacce dal vialetto: Lire 5.000.
Per avere ordinato la mia cameretta: Lire 10.000.
Per essere andato a comperare il latte: Lire 1.000.
Per aver badato alla sorellina (tre pomeriggi): Lire 15.000.
Per aver preso due volte ottimo a scuola: Lire 10.000.
Per aver portato fuori l’immondizia tutte le sere: Lire 7.000.
Totale: Lire 48.000″.

La mamma fissò il figlio negli occhi, teneramente. La sua mente si affollò di ricordi. Prese una biro e, sul retro del foglietto, scrisse:
“Per averli portato in grembo per 9 mesi: Lire 0.
Per tutte le notti passate a vegliarti quando eri ammalato: Lire 0.
Per tutte le volte che ti ho cullato quando eri triste: Lire 0.
Per tutte le volte che ho asciugato le tue lacrime: Lire 0.
Per tutto quello che ti ho insegnato, giorno dopo giorno: Lire 0.
Per tutte le colazioni, i pranzi, le merende, le cene e i panini che ti ho preparato: Lire 0.
Per la vita che ti do ogni giorno: Lire 0.
Totale: Lire 0″.

Quando ebbe terminato, sorridendo la mamma diede il foglietto al figlio. Quando il bambino ebbe finito di leggere ciò che la mamma aveva scritto, due lacrimoni fecero capolino nei suoi occhi.
Girò il foglio e sul suo conto scrisse: “Pagato”.
Poi saltò al collo della madre e la sommerse di baci.

Quando nei rapporti personali e familiari si cominciano a fare i conti, è tutto finito. L’amore è gratuito, o non è.

“In un giorno caldo, preparai dei coni gelato e dissi ai miei quattro figli che potevano comprarli per un abbraccio. Quasi subito, i ragazzi si misero in fila per fare il loro acquisto. I tre più piccoli mi diedero una veloce stretta, afferrarono il cono e corsero di nuovo fuori. Ma quando venne il turno di mio figlio adolescente, l’ultimo della fila, ricevetti due abbracci. Tieni il resto disse con un sorriso”.

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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L’ecologismo integrista

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2008

Sporcano l’universo. Smettete di far figli

L'ecologismo integrista dans Articoli di Giornali e News didldv1

L’ultima dalla Gran Bretagna: fate meno bambini, perché inquinano…

L’ultima dalla Gran Bretagna: fate meno bambini, perché inquinano. Il British Medical Journal pubblica l’appello del professor John Guillebaud, professore emerito di Pianificazione familiare all’University College di Londra, che esorta i suoi connazionali di andarci piano, con la riproduzione:
«Un bambino che nasce nel Regno Unito produrrà gas serra in misura 160 volte maggiore a un bambino etiope», denuncia il docente emerito, e spiega che se si vuole lasciare un pianeta abitabile ai nipoti «è opportuno non avere più di due figli». In realtà, quest’ansia pare inattuale, visto che a oggi il tasso di fecondità delle inglesi è di 1, 8 figli per donna, dunque di un figlio a coppia, al massimo due, più o meno come nel resto d’Occidente.
Ma questo non soddisfa i professori dell’«Optimum population trust», dediti ad alacri brain storm (tempeste di cervelli) sulla potenzialità inquinante di quell’invadente animale chiamato uomo. Basta fare due conti: quanto latte in polvere, quanti omogeneizzati e relativi vasetti, quanto detersivo fa consumare ogni nuovo arrivato, mentre ci distrae con quel suo candido sorriso? E i pannolini, vogliamo parlare dei pannolini, sintetici e orribilmente antiecologici? Ogni neonato ne consuma almeno cinque al giorno, per due anni fanno 3650 pannolini da riciclare – senza contare che qualcuno tarda anche di più, a imparare a non farsela addosso. E poi, crescendo, tricicli, biciclette, computer, moto. Plastica, chip, carta, ed energia, e carburante: è una massa opprimente, a pensarci, ciò che consumerà ogni nuovo venuto – con quella sua aria falsamente innocente.
E dunque, dicono dalle aule austere dell’University College, piantatela di fare tanti bambini. Bucano l’ozono, rodono le foreste amazzoniche, surriscaldano il pianeta, squagliano i ghiacci del Polo. Occorre essere responsabili, e pianificare il figlio unico come modello corretto di Famiglia Ecologicamente Sostenibile.
Un’amenità, quella del British Medical Journal, da stampa di mezza estate, quando si tirano fuori dai cassetti i resti che finora non si è osato pubblicare? No, all’«Optimum population trust» fanno sul serio.
L’appello possiede una sua logica, anche se declinata all’estremo: quella di un ecologismo integralista, che individua nell’uomo il distruttore del pianeta, e si affanna a contrastarlo in difesa di un ideale di natura incontaminata, senza strade né case né fabbriche. Un pianeta di foreste vergini, e pinguini e gnu felicemente prolificanti: dove tutte le creature si riproducono liete, tranne l’homo sapiens. L’uomo, che produce gas, e scava discariche, e inquina i cieli – l’uomo, che sporca.
È un idolo la natura per questo ambientalismo, un Eden da restaurare, ma espellendo Adamo. Che è un animale, sì, ma fastidiosamente, ostinatamente diverso: animale che immagina e crea, sempre teso ad andare oltre ciò che ha ereditato dai padri. Come da un altro stampo ricavato. Certo, l’uomo, anche, distrugge. E tuttavia, dalle palafitte al Partenone, alla scoperta del Dna, non tutto il fare dell’uomo può essere ridotto a un parassitario depredare. Ma, l’idolatria di certo ambientalismo sta proprio in questa divinizzazione di una natura intangibile, in antitesi all’operare umano, quasi che del Creato fossimo gli intrusi.
Forse, se gli accorati appelli dei Guillebaud britannici e nostrani venissero integralmente raccolti, secoli dopo l’implosione demografica e il crollo dell’economia sui ruderi delle autostrade tornerebbero a verdeggiare le foreste, e i fiumi scorrerebbero trasparenti come al principio. Un pianeta di nuovo vergine e selvaggio. Peccato che a guardarlo, e a raccontarlo, e a domandarsi chi ha creato tutto questo, non ci sarebbe più nessuno.

image11ha6 dans Marina Corradi di Marina Corradi – Avvenire

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Quando vediamo i nostri cari soffrire…

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2008

Atteggiamento di fronte alla sofferenza dei nostri cari

Rischiamo spesso di perdere la pace, nel caso in cui una persona a noi vicina venga a trovarsi in una situazione difficile. A volte siamo molto più toccati e preoccupati per la sofferenza di un familiare o di un bambino che per la nostra. Questo in sé è molto bello, ma non deve costituire motivo di disperazione. Quali inquietudini, talvolta eccessive, regnano in alcune famiglie quando uno dei componenti è provato nella salute, disoccupato, vive un momento di depressione, ecc. Quanti genitori si lasciano consumare dalla preoccupazione per un problema di un loro figliolo.
Tuttavia il Signore ci invita, anche in questo caso, a non perdere la pace interiore. Il nostro dolore è legittimo, purché mantenuto in una condizione di tranquillità. Il Signore non potrebbe abbandonarci: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se questa donna si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai» (ls 49,15).
Un punto sul quale vorremmo insistere è il seguente: così come è importante saper distinguere tra la vera e la falsa umiltà, tra il vero pentimento (pacifico e fiducioso) ed il falso (l’inquieto rimorso che para­lizza), si rende necessario saper distinguere tra quelle che po­tremmo chiamare la vera e la falsa compassione.
È pur certo che più avanziamo nella vita cristiana, più la nostra compassione cresce. Mentre noi siamo per natura tanto indifferenti e duri, lo spettacolo della miseria del mondo e la sofferenza dei fratelli strappano lacrime ai santi, ai quali l’intimità con Gesù ha reso il cuore «liquido», secondo l’espressione del Curato d’Ars, San Domenico passava le sue nottate a supplicare il Signore, pregando e piangendo: «Mia Misericordia, cosa ne sarà dei peccatori?». Potremmo arro­gare il diritto di mettere seriamente in dubbio la validità della vita spirituale di una persona che non manifestasse una vera compassione per il prossimo.
La compassione dei santi è profonda, pronta a sposare tutte le miserie e ad alleviarle, ma è anche sempre dolce, calma e fiduciosa. Essa è un frutto dello Spirito Santo.
Mentre la nostra compassione è spesso intrisa di preoccupazione e turbamento. Abbiamo un modo di coinvolgerci nella sofferenza dell’ altro che talvolta non è giusto, perché motivato più dall’amor proprio che da un vero amore. Riteniamo sia giusto preoccuparsi eccessivamente per qualcuno in difficoltà e che questo sia un segno evidente dell’ amore che nutriamo nei suoi confronti. Ciò è falso. Spesso in questo atteggiamento nascondiamo un grande amore per noi stes­si: non sopportiamo la sofferenza degli altri perché noi stessi abbiamo paura di soffrire, ci sentiamo minacciati da questa sofferenza dell’ altro, mancando per primi di fiducia in Dio. E normale essere profondamente toccati dalla sofferenza di qualcuno che ci è caro, ma se a causa di questo ci tormentiamo fino a perdere la pace, significa che il nostro amore per questa persona non è ancora pienamente spirituale e puro, non è ancora fondato in Dio. E un amore troppo umano, un po’ egoista e che non ha sufficiente fondamento in un’incrollabile fiducia in Dio.
Per essere veramente una virtù cristiana, la compassione deve procedere dall’amore (che consiste nel desiderare il bene di una persona, nella volontà di aiutarla alla luce di Dio e in accordo con i suoi disegni) e non dal timore (paura della sofferenza, di perdere qualcosa o qualcuno). Di fatto, dobbiamo riconoscere che troppo spesso il nostro atteggiamento di fronte ai nostri cari, che sono nella sofferenza, è più condizionato dalla paura che fondato sull’ amore.
Diciamoci chiaramente una cosa: Dio ama infinitamente più di noi e meglio di noi quelli che ci sono vicini. Egli desidera che crediamo a questo amore ed anche che sappiamo abbandonare tra le sue mani gli esseri a noi cari. Così facendo li aiuteremo in modo ben più valido. I nostri fratelli e sorel­le che soffrono hanno bisogno di avere attorno a loro perso­ne serene, fiduciose e gioiose. Saranno da esse aiutati molto più efficacemente che da persone preoccupate ed ansiose.
Spesso la nostra falsa compassione non fa che aggiungere tri­stezza alla tristezza e smarrimento allo smarrimento. Essa non è fonte di pace e di speranza per coloro che soffrono.

 Vorrei riportare, come esempio concreto. Una giovane donna soffre molto a causa di una forma di depressione, con paure angosciose che le impediscono spesso di uscire sola in città. Ho parlato con la madre: scoraggiata, in lacrime, ha supplicato che si pregasse per la guarigione della figlia. Ho rispetto infinitamente il dolore comprensibile di una madre.
Naturalmente abbiamo pregato per questa figlia, ma ciò che mi ha colpito è che più tardi, avendo avuto l’occasione di parlare con la giovane, mi sono reso conto che viveva la sua sofferenza nella pace.
Mi diceva: «Sono incapace di pregare, ma la sola cosa che non smetto mai di dire a Gesù è la parola del Salmo: Tu sei il mio pastore, non manco di nulla». Diceva anche di vedere dei frutti positivi della sua malattia, in particolare in suo padre che, un tempo tanto lontano da lei e dal Signore, cambiava ora atteggiamento.
Ho incontrato spesso casi del genere: una persona è nella prova e la vive molto meglio di quanti, tra quelli che la circondano, si agitano e si preoccupano per lei!
C’è, a volte, la tendenza a moltiplicare in modo esagerato le preghiere di guarigione, perfino di liberazione, ricercare tutti i modi possibili ed immaginabili per ottenere la guarigione della persona, e non ci si rende conto che la mano di Dio è su di lei in modo del tutto evidente.
Si devono accompagnare le persone che soffrono con una preghiera perseverante, sperarne la guarigione, e fare il possibile per ottenerla, ma occorre farlo in un clima di pace e di abbandono in Dio.

Fonte: comeunafonte

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Il Grazie

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2008

Il Grazie dans Don Bruno Ferrero grazieff2

Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui sentissero di ringraziare il Signore. Pensò quanto poco di cui essere grati in realtà avessero questi bambini provenienti da quartieri poveri. Ma sapeva che quasi tutti avrebbero disegnato panettoni o tavole imbandite.
L’insegnante fu colta di sorpresa dal disegno consegnato da Tino: una semplice mano disegnata in maniera infantile.
Ma la mano di chi?
La classe rimase affascinata dall’immagine astratta. « Secondo me è la mano di Dio che ci porta da mangiare » disse un bambino. « Un contadino » disse un altro, « perché alleva i polli e le patatine fritte ».
Mentre gli altri erano al lavoro, l’insegnante si chinò sul banco di Tino e domandò di chi fosse la mano. « E’ la tua mano, maestra » mormorò il bambino.
Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino, che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita. Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto.

Hai mai pensato al potere immenso delle tue mani?


Dovremmo imparare ad osservare i « comandamenti della casalinga »:
« Se ci dormi sopra… rimettilo in ordine.
Se lo indossi… appendilo.
Se finisci di mangiare… mettilo nel lavandino.
Se ci cammini sopra… sbattilo.
Se lo apri… chiudilo.
Se lo svuoti… riempilo.
Se suona… rispondi.
Se miagola… dagli da mangiare.
Se piange… amalo ».

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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Perline

Posté par atempodiblog le 25 juillet 2008

Perline dans Riflessioni perlinema2

L’Africa nera fu lentamente colonizzata da uomini bianchi che truffavano i superstiziosi indigeni offrendo loro specchietti e perline in cambio di oro e gemme. Oggi, l’uomo bianco si vergogna del suo passato, tanto da accettare tranquillamente la legge del contrappasso.

Nelle nostre strade e sulle nostre piazze uomini neri ci vendono perline e specchietti e nastrini, che noi acquistiamo e indossiamo perché «portano fortuna». Pensate quanto sangue, quante rivoluzioni, quanti rivolgimenti ci sono voluti perché superstiziosi e creduloni diventassero i bianchi.

di Rino Cammilleri

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Buone vacanze!!!

Posté par atempodiblog le 24 juillet 2008

Buone vacanze!!! dans Amicizia buonevacanzevs4

« Contemplando l’azzurro del cielo, l’orizzonte sconfinato del mare, le vette solenni dei monti e la bellezza festosa della natura, lodiamo e ringraziamo Dio creatore che ha lasciato impresso nell’universo la firma della sua onnipotenza, della sua sapienza e del suo amore ». (di Padre Livio)

Buone vacanze!

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Prima di partire

Posté par atempodiblog le 22 juillet 2008

Viaggi: attenzione alla profilassi prima di partire
Novità sui farmaci e consigli utili

Prima di partire dans Viaggi & Vacanze manualeviaggiatorexh1

24 novembre 2007. Le vacanze di Natale si avvicinano e molti avranno già programmato un viaggio in una località esotica o in montagna per tornare ritemprati e abbronzati al lavoro in gennaio. Prima di partire però sarebbe meglio prendere alcune semplici precauzioni al fine di tutelare la propria salute e non rischiare di passare l’intera vacanza chiusi in una stanza d’albergo. Può essere utile seguire le indicazioni fornite dal sito della Farnesina “Viaggiare Sicuri” per quanto riguarda le aree più a rischio di malattie endemiche e nei casi opportuni fare le vaccinazioni consigliate. Inoltre presso gli ambulatori di Profilassi Internazionale si possono reperire utili manuali dove è possibile leggere tutte le informazioni necessarie (nella foto, il Manuale Sanitario del Viaggiatore della SIMVIM, Società Italiana di Medicina dei Viaggi e delle Migrazioni).

Il primo passo essenziale è rivolgersi al proprio medico di base per i consigli in caso di vaccinazioni. Prima di una partenza è importante procurarsi i farmaci che si assumono abitualmente, poiché potrebbe non essere facile trovarli all’estero, e poi dotarsi di una piccola farmacia da portare con sé.

I farmaci che si dovrebbero mettere in valigia sono quelli che possono contrastare i malesseri più comuni per chi viaggia e che sappiamo essere i problemi di tossinfezioni alimentari, disturbi come la febbre, il mal di testa e altri inconvenienti come i problemi dovuti al sole e al clima. Non dovrebbero mancare: un antibiotico in caso di febbre, un antidiarroico sintomatico in caso di diarrea, antifebbrili, antidolorifici, antispastici contro le coliche, un antichinetosico per il mal d’aria o di mare, gli antistaminici per le fastidiose punture d’insetti, le gocce per problemi alle orecchie e un collirio.

Per chi dovrà affrontare un lungo viaggio in aereo può essere d’aiuto cercare di muoversi un po’ ogni tanto e bere molto, evitando caffè e alcool, per prevenire problemi di gonfiore agli arti inferiori o, ancora peggio, delle possibili flebiti. Arrivati sul posto occorrerà cercare di smaltire la sindrome dei fusi orari, detta comunemente jet lag, cercando di riappropriarsi dei propri regolari cicli circadiani.

Occorre poi prestare grande attenzione a ciò che si beve e si mangia. Infatti gli alimenti e l’acqua sono uno dei principali modi di contrarre malattie infettive o intossicazioni. Per non correre rischi è sempre meglio bere acqua sigillata in bottiglia, non aggiungere ghiaccio alle bevande, non mangiare frutta e verdure crude, evitare il latte e latticini preparati con latte non pastorizzato, non mangiare mai frutti di mare e non scegliere mai pesce, carni, o uova crude. Evitare sempre di mangiare in luoghi poco puliti e pieni di insetti e, soprattutto, sarebbe meglio non acquistare cibi o bevande da venditori ambulanti, proprio perché privi dei requisiti minimi di igiene. In caso ciò non fosse possibile per il tipo di vacanza avventurosa scelta, la raccomandazione è quella di mangiare poco per essere così aiutati nella prevenzione dal succo gastrico. Allo stesso modo i cibi offerti dalla cordialità della gente del luogo sono vivamente sconsigliati perché potrebbero essere un veicolo per infezioni contro le quali noi non siamo in grado di difenderci, a differenza dei residenti che possono avere sviluppato una naturale immunità. 

Se non siete proprio riusciti a resistere alle tentazioni della cucina locale, è probabile che dovrete fare i conti con situazioni alquanto sgradevoli, come la diarrea acuta. Anche in questo caso ricordatevi di premunirvi prima di partire, specialmente se vi recate in zone con clima molto diverso. Sono oggi disponibili nuovi farmaci che non presentano effetti collaterali o interazioni con altri medicinali, come succedeva invece per i loro predecessori e, soprattutto, non mascherano eventuali patologie più gravi che possono essere diagnosticate e quindi curate una volta tornati dal viaggio. Questi nuovi prodotti sono efficaci nel ridurre i tempi di guarigione e i fastidiosi sintomi associati alla patologia in questione e possono essere somministrati anche in età pediatrica.

Naturalmente per situazioni più gravi è sempre buona norma chiedere all’agenzia di viaggi se è possibile stipulare un’assicurazione che copra tutte le eventuali spese di ricovero, cure sanitarie e dell’eventuale rimpatrio anticipato.

di Monica Costa - buonenotizie.it

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L’abbronzatura, il lifting e la « Bella ragazza » di Nazareth…

Posté par atempodiblog le 22 juillet 2008

Guardatevi attorno: tutto è un grido verso quel 15 agosto…

L’abbronzatura, il lifting e la

Sembra ieri che abbiamo vinto il campionato del mondo di calcio e già le belle bandiere tricolori messe a sventolare sulle finestre, sulle terrazze, nei bar o nei bagni al mare si sono scolorite. Erano così scintillanti. Ora sono inguardabili. Ne vedi alcune sfilacciate e strappate dal vento, altre consunte dal sole, altre ancora sporcate dalla pioggia. E’ incredibile come facciano presto, le bandiere, a sciuparsi. Tutte le bandiere. Non fai in tempo a crepare per loro che sono già diventate un cencio indecente. Da vessilli garruli e trionfanti in poco tempo diventano stracci tristi e smorti. E’ la parabola inevitabile delle cose. E anche dei sogni.

Eppure c’è una speranza. Splenderà proprio a Ferragosto e molti non se ne accorgeranno. E’ vero che le bandiere si consumano, i vestiti si sgualciscono, il giornale di ieri è già ingiallito e illeggibile, i campi di grano appena ieri pieni di spighe dorate, sembrano già steppe autunnali. I boschi cominciano a ingiallire e anche i fiori appassiscono. “Se son rose sfioriranno” dice una fulminante battuta di Montanelli. Una polvere impalpabile si posa incessantemente su tutte le cose. Guardi casa tua, ti sembra solida e robusta e invece ha bisogno di continua manutenzione, perché tutto invecchia e si guasta, si corrompe. Tutto tende al disordine, tutto decade e s’incasina, dice un fondamentale principio della fisica. Tutto si consuma.

Di solito evitiamo distrattamente di pensarci. Ma la prima cosa a decadere, consumarsi, guastarsi è il nostro stesso corpo. Osservare gli esseri umani sulla spiaggia, in questi giorni d’estate, è impressionante. Il vigore e la formosa armonia dei corpi giovani, orgogliosamente esibiti, fanno pensare alla scultura gotica, quella che rende leggero il marmo delle cattedrali e dà quasi la sensazione che lo proietti nel cielo vincendo la forza di gravità. Ma nel giro di qualche anno la forza di gravità si prenderà la sua rivincita: tutto cala, cade, si affloscia, si sforma, si usura. La terra chiama la terra verso di sé. Polvere sei e polvere tornerai. E allora cominciano i poderosi e continui lavori di manutenzione: tingere quei capelli imbiancati, tirar su quei glutei cadenti, stirare quelle rughe, consumare quel grasso in eccesso, cancellare quelle borse sotto gli occhi. Lavori interminabili, continui, costosi, instancabili come per tirar su ogni giorno un muro che la notte crolla. E poi la visita dall’oculista perché non si legge più bene senza occhiali e i capelli che cadono. E quei doloretti alle spalle.Si tenta di fermare in ogni modo (vanamente) l’invecchiamento. Si vorrebbe fermare l’attimo come il Faust di Goethe, ma svaniscono perfino gli imperi millenari, figuriamoci i singoli. “Tutto al mondo passa e quasi orma non lascia”, avverte Leopardi. Gli attimi della vita quotidiana sembrano non passare mai, ma sono gli anni che corrono imperterriti. Implacabili. In un batter d’occhio. E un sottile strato di polvere copre tutte le cose. Quella noia impalpabile che alla fine ammoscia perfino gli amori più ardenti e gli ideali più infiammati. E’ il peso della natura decaduta. La forza di gravità.

D’altra parte perfino i giovani investono giornate e sforzi sovrumani nell’immane quanto vana opera di manutenzione: a “scolpirsi” in palestra, a profumarsi e abbronzarsi. Poveretti, è come costruire i castelli sulla sabbia, come scrivere un nome amato sul bagnasciuga, questo illusorio fuggire dall’offesa del tempo. In fin dei conti è della carnalità del nostro essere che abbiamo terrore. Tutto ci ricorda il suo continuo corrompersi. Sudare è segno del degrado biologico a cui siamo sottoposti, l’odore stesso del corpo deve essere bandito, la nostra società è asettica: è proibito sudare, i corpi devono emanare solo profumo, nulla che sia segno di putrefazione.

L’epoca apparentemente più “materialista” ed edonista, la nostra, in realtà ha orrore della carne. Siamo tutti gnostici senza saperlo. Lo dimostrano l’enorme crescita delle nostre spese per cosmetici e l’orrore che abbiamo per il corpo malato, per la carne sofferente. Lo sconvolgente crocifisso di Grunewald, il più drammatico di tutta la storia dell’arte, fu concepito dal pittore tedesco del Quattrocento per i malati di lebbra e di Fuoco di S. Antonio che affollavano quella cappella disperatamente per pregare, ritrovando sulle carne devastata del Dio-Uomo, le proprie stesse piaghe, il proprio strazio.

Alla fine gli unici trionfalmente “materialisti” restano i cristiani. “E’ una Carne che salva la carne”, diceva un padre della Chiesa come s. Ambrogio. Nei “Fratelli Karamazov” – ottima lettura per l’estate – Dostoevskij racconta la storia di un parricidio che è più di un parricidio. Il vecchio Fedor Pavlovic Karamazov, padre dei tre fratelli, esprime infatti al massimo la terrestre carnalità che ci fa orrore: viene descritto volgare e violento, meschino e cinico, un “misero buffone”. E’ fisicamente calvo, nasone, bocca larga, doppio mento. Provoca ripulsa fisica nei tre figli. Ma mentre Ivan e Dimitrij lo disprezzano apertamente, Alioscia si fa monaco e pensa di evitare l’odio della carne scegliendo lo spirito e scegliendo un “padre spirituale” come il santo starets Zosima. Però il monaco gli dà la lezione più importante morendo: il suo corpo infatti comincia subito a emanare cattivo odore. Alesa prima ne è scioccato, sconvolto, poi comprende che anche quel santo è fatto di carne come suo padre: esce dalla stanza, scoppia in un pianto dirotto e gettandosi a terra abbraccia tutto il creato. Comprende che la fede in Cristo non è una fuga nello spirituale, ma è la certezza sull’unico Dio che ha preso la carne umana e il suo dolore vincendo la forza di gravità della natura decaduta, che ha manifestato con i miracoli il suo dominio sul creato, sulla malattia e perfino sulla putrefazione della carne con la resurrezione.

Alioscia comprende che il destino dell’uomo non è la decomposizione buia e disperata del corpo e non è neanche solo la “salvezza dell’anima”, ma è la resurrezione della carne, la glorificazione di tutto il nostro essere e la “divinizzazione”. E capisce che questa forza è entrata nella storia e questa nuova storia è già cominciata. Con la prima creatura che vive già questa glorificazione della carne, questa eterna giovinezza, questa bellezza che non si corrompe e non passa: Maria.

Nel paesetto dove mi trovo, sulla costa toscana vicino a Bolgheri, la chiesina è in mezzo alla pineta, vicino al mare. La parrocchia celebra la sua festa il 15 agosto: l’Assunta, cioè l’Assunzione di Maria in cielo in corpo e anima. Così a ferragosto si porta in processione per le vie, normalmente popolate di gente in costume, alle prese con le guerre dei corpi, la raffigurazione della “Bella Ragazza” di Nazareth, del suo corpo che è già in Cielo, glorificato, del suo volto eternamente giovane, bellissimo. Come il suo cuore. I cristiani sono considerati strani soggetti. Ma in realtà danno corpo alla segreta speranza di tutti.

di Antonio Socci – © “Libero” 25 luglio 2006

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Guidare bene

Posté par atempodiblog le 22 juillet 2008

Non bastano le punizioni
Guidare bene è un problema di
coscienza

di S.E. Mons. COSMO FRANCESCO RUPPI

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Le recenti disposizioni governative che hanno inasprito le pene di chi guida in stato di ebbrezza, venendo meno alle norme essenziali del Codice dalla strada, hanno fatto pensare molti autisti ed hanno anche stimolato i gestori delle discoteche ad affiggere cartelli, in cui si ammonisce chi guida a tenersi lontano dalle sostanze alcoliche o stupefacenti.

Tutto giusto, tutto bene, anche la sorveglianza accresciuta sulle strade, specie il sabato notte, il ritiro di patente, la minaccia del carcere e dei cosiddetti lavori forzati per i più incalliti.

Nessuna legge, però, sarà valida, se non trova all’interno dell’uomo la sua doverosa accoglienza; nessuna pena sarà veramente, come dev’essere, «medicinale» se non trova all’interno della coscienza di ciascuno il suo più profondo radicamento.

Forse per questo ci si chiedeva giorni addietro qual è il radicamento di tutto questo nella legge naturale, nella legge della coscienza e la risposta è più che facile: il Codice della strada si fonda sul quinto comandamento, che dice: non uccidere, cioè, non mettere in pericolo la tua e l’altrui vita, non ferire, non esporti al pericolo di perdere la tua vita o di insidiare la vita degli altri.

Tra i dieci comandamenti, che sono patrimonio di tutto il genere umano, dopo quello di onorare i genitori, c’è quello di «non uccidere», cioè non ucciderti e non uccidere neppure l’altro. Non solo non uccidere, ma anche non ferire, non danneggiare la vita altrui, non esporti al pericolo di danneggiare e di ferire, ciò che fa l’autista spericolato, quello che guida in stato di ebbrezza, con scarsa coscienza e responsabilità.

Questo non è un problema religioso, ma civile e soprattutto morale, di quella morale che chiamiamo «naturale» cioè patrimonio di ogni uomo, di ogni tempo, di ogni latitudine.

La vita umana è sacra sin dal suo concepimento e fino alla morte; è sacra e pertanto deve essere rispettata nella propria e nella altrui esistenza. Attentare alla vita, con una guida spericolata o incauta, minacciare di andare o mandare fuori strada, costituisce non solo un reato civile e penale, ma anche un vero e proprio peccato, di cui bisogna pentirsi e confessarsi.

Forse nessuno, anche di quelli che si confessano abitualmente, nel suo esame di coscienza, si interroga sul modo come guida l’automobile o il motorino, invece dobbiamo cominciare a farlo, per radicare nella nostra coscienza il dovere di rispettare la nostra vita e la vita degli altri.

Si tratta, in parole semplici, di «un peccato sociale» pari, se non più grave di quello di non pagare lo tasse, perché non attiene a un dovere civile, ma un dovere morale fondamentale per l’umana esistenza.

Molto può fare la famiglia per rafforzare la coscienza di «guidare con prudenza» se i genitori e gli adulti insegnano ai bambini a conoscere e rispettare le leggi della strada e della guida: molto può fare la scuola e sappiano che lo fa, con l’aiuto dei vigili e della polizia, che volentieri si prestano a svolgere lezioni sul Codice della strada; molto possono fare i pastori delle anime, richiamando i fedeli su un dovere essenziale della vita e del vivere sociale.

Nessuno però può influire seriamente come se stesso. È dentro di noi, che dobbiamo radicare il dovere del rispetto scrupoloso della legge della strada. Tutti dobbiamo aver più rispetto della nostra vita e della vita degli altri.

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Lezioni di “pietas”?

Posté par atempodiblog le 20 juillet 2008

“CASO ELUANA”: SE I COMUNISTI ACCUSANO LE SUORE DI CRUDELTA’ PERCHE’ LA AMANO……

Comunisti che danno lezioni di “pietas” ? Da che pulpito! Ormai siamo nel mondo alla rovescia: il mondo dell’ideologia dove il Bene è Male e il Male è Bene. E’ la prova che, come disse un giorno Adenauer, “anche in politica soltanto Cristo ci può salvare”.

Lezioni di “pietas”? dans Antonio Socci antoniosocci

A proposito di Eluana Englaro, ieri La Stampa, in prima pagina, pubblicava l’articolo di Marina Garaventa che vive “più o meno nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby”. A un certo punto la signora Garaventa si rivolge polemicamente a chi difende il diritto alla vita di Eluana e scrive: “propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai”.
E’ una provocazione salutare (NOTA 1). Ma forse la signora Garaventa non lo sa: ci sono suore, donne cristiane, che per Eluana stanno già facendo tutto questo da 14 anni, in silenzio e con gioia, e chiedono solo di poter continuare ad amarla. Suor Rosangela – leggo in una cronaca del Corriere – la conosce così bene da “intuire all’istante se ha mal di pancia o mal d’orecchio”. Eluana ogni mattina viene “alzata da letto, lavata, messa in poltrona. Quotidianamente la portiamo in palestra dove c’è un fisioterapista che le pratica la riabilitazione passiva”. Poi c’è la musica, le passeggiate in giardino e “qualche volta, soprattutto se le parla suor Rosangela, muove gli occhi”.

Proprio queste suore, queste fantastiche e umili donne del Cielo, senza fare alcuna polemica, senza lanciare “guerre ideologiche”, con dolcezza hanno detto: “vorremmo tanto dire al signor Englaro, se davvero la considera morta, di lasciarla qui da noi. Eluana è parte anche della nostra famiglia”. Le suore per tutti questi anni si sono prese cura di lei “come di una figlia”. Esprimono il “massimo rispetto” per “la sofferenza dei genitori di Eluana”, ma “con discrezione” chiedono loro di poter continuare ad accudirla e amarla. “Liberazione”, giornale di Rc, parla di Eluana come di “un corpo”. Invece la suora dice: “Per noi è semplicemente una persona e viene trattata come tale… E’ una ragazza bellissima”. L’editoriale di “Liberazione”, firmato da Angela Azzaro, ha dell’incredibile. Esordisce accusando la Chiesa di essere venuta meno al sentimento della pietas, “quel sentimento che ci rende partecipi del dolore e delle sofferenze altrui, che non ci fa girare le spalle, ma ci aiuta a uscire dall’egoismo, dal nostro bieco interesse”.

Con questa surreale premessa la Azzaro sentenzia: “Il massimo gesto di crudeltà lo hanno compiuto le suore Misericordine presso cui Eluana si trova. Conoscono il padre. Dicono di rispettarlo. Ma gli hanno chiesto di lasciare lì il corpo della figlia. Come se niente fosse. Come se in tutti questi anni la sua vita non fosse stata appesa a un filo, il filo che tiene in vita un corpo non più senziente e che a lui ha impedito di pensare ad altro, di elaborare il lutto, di ripensare forse più serenamente agli occhi di Eluana quando capivano”.

Viene da chiedersi se il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, non pensa di dover chiedere scusa per questo editoriale intitolato “Il sadismo alla scuola di Benedetto” ? E cosa ne pensano i Bertinotti e i Vendola? Le povere suore bersagliate dall’articolista non hanno sequestrato Eluana: fu portata lì dal padre e dalla madre nel 1994 perché era nata lì. Le suore rimasero perplesse, non sapevano se erano in grado di assisterla. Poi si resero conto che aveva bisogno solo di essere alimentata e amata, accudita come una bimba, e la presero nella loro famiglia, con tenerezza e dedizione.

Queste donne umili, che per 14 anni, in silenzio, l’hanno amata, lavata, alimentata, aiutata, meritano di prendersi lo schiaffo di “Liberazione” che parla di “crudeltà”? Le suore non impongono nulla, non sono loro a disporre della sorte di Eluana, né possono o vogliono trattenerla: hanno semplicemente dichiarato che sarebbero liete di continuare a prendersi cura di lei. Con discrezione e semplicità, rispettando tutti. Queste povere donne non hanno potere di decisione, hanno solo il loro amore da offrire. Ebbene secondo il “giornale comunista” (così si definisce), questo è “il massimo gesto di crudeltà”.

Sarebbe questa la cultura laica? Sulla Stampa si sfidano i “pro life” a prendersi cura di Eluana. Appurato poi che le suore lo fanno, da “Liberazione” si bersagliano con l’accusa di crudeltà. Mi pare evidente che il pregiudizio e l’ideologia accecano, cambiano il Bene in Male e il Male in Bene.

Certo, per chi si dice comunista l’amore cristiano (che è “amore del prossimo” e perfino “amore dei nemici”) è roba pericolosa. Casomai la storia comunista ha trafficato con la categoria e la pratica dell’ “odio di classe”. Loro credevano di poter sistemare il mondo e eliminare l’ingiustizia così, con l’ “odio”, l’antagonismo, la lotta, la rivoluzione. Il marxismo pretendeva di essere una “scienza”, non aveva bisogno di amare nessuno, neanche il proletariato: le stesse leggi ferree dell’economia avrebbero necessariamente portato al comunismo, il “paradiso in terra”. Così hanno costruito i loro inferni (dove sono stati macellati milioni di cristiani).

Oggi i contenuti delle diverse ideologie sembrano accantonati, ma restano certi furori, certi metodi e pregiudizi. Certe astrazioni. Ieri per esempio a pagina 10 dell’Unità, dove si esponevano le discutibili dichiarazioni della “Consulta di bioetica”, si diceva che definire con espressioni come “omicidio di stato” il lasciar morire Eluana significa pronunciare “parole al di là della decenza o della semplice ‘educazione’ ”.

Voltando pagina sempre l’Unità definiva però “assassinio di Stato” l’eventuale condanna a morte ed esecuzione di Tareq Aziz per le imputazioni relative agli anni in cui era dirigente del regime di Saddam Hussein. L’Unità intervista Marco Pannella che si batte perché “nessuno tocchi Caino” e – denunciando lui stesso le responsabilità di Aziz – definisce appunto “assassinio di stato” e “delitto” la sua eventuale esecuzione.

Premesso che siamo tutti contro la pena di morte e che nessuno deve toccare Caino, chiediamo a Pannella e all’Unità: invece Abele sì? Pannella parla di questa sua “battaglia di civiltà”, definisce un “misfatto” l’eventuale esecuzione capitale di Aziz, seppure colpevole, perché la vita umana non è a disposizione degli stati, ma poi, leggo in una agenzia, definisce la sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione per Eluana come “affermazione della civiltà giuridica, umana e civile”. Stiamo parlando della eventuale morte di una ragazza per fame e per sete. E’ pur vero che non è autosufficiente e non pare cosciente, ma è viva.

Io non posso credere che Pannella e l’Italia, i quali rivendicano la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali come una conquista di civiltà, possano poi accettare una simile morte per Eluana. E’ pur vero che in quest’epoca di sbandamento si definisce conquista di civiltà anche l’aborto, ovvero la soppressione – tramite legge di stato – di migliaia e migliaia di piccole vite innocenti. Ma perché la vita di Caino va sempre e comunque protetta, qualunque cosa abbia fatto, e quella di Abele no?

La presenza silenziosa di quelle suore ci fa sapere che da 2000 anni, da quando è venuto Gesù, qualunque essere umano è amato. Un giornalista disse una volta a Madre Teresa di Calcutta che lui non avrebbe fatto ciò che faceva lei per tutto l’oro del mondo e lei rispose: “neanche io”. Ma per Gesù sì. Al di là della sentenza su Eluana, com’è possibile non provare rispetto e ammirazione per queste suore? Non è stupendo che esistano persone così? Sono appassionate a ogni essere umano com’era Gesù che ascoltava tutti, accoglieva tutti e “guariva tutti”. Sono capaci di questo amore per la vita umana perché amano, testimoniano e donano ciò che vale più della vita: Gesù stesso, la Grazia. Cioè la vita eterna, l’unica vera speranza che rende vittoriosi sul dolore e su “sorella morte”.

di Antonio Socci

(1) Verrebbe da proporre però, analogamente, che quanti ritengono giusto lasciar morire Eluana secondo la sentenza che consente di fermare l’alimentazione e l’idratazione, le stessero accanto minuto dopo minuto per tutto il tempo in cui avrà fame e sete, fino alla morte.

Da “Libero” 19 luglio 2008

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Strategia dell’anatra

Posté par atempodiblog le 15 juillet 2008

Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri. Prima di lasciarsi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.
Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì montagne e visitò città sinché non l’ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai rifulso sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa degli amici.
Il secondo tornò dopo poco tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente. « Ti assicuro che non c’è nulla di più prezioso di due persone che si amano », disse.
Si misero ad aspettare il terzo amico. Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più celebrati maestri di tutte le contrade, ma non aveva trovato Dio. Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma Dio non lo aveva trovato. Un giorno, spossato per il tanto girovagare, si abbandonò nell’erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un’anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che s’erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar dei sole l’anatra cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l’ultimo dei suoi nati.
Allora l’uomo sorrise e fece ritorno al paese.
Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l’altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli chiesero: « E tu, che cos’hai trovato di prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso ». « Ho cercato Dio », rispose il terzo giovane. « E lo hai trovato? », chiesero i due, sbalorditi.
« Ho scoperto che era Lui che cercava me ». Non devi fare molto, tu. Solo lasciarti trovare da Dio. Lui ti sta cercando.

di Bruno Ferrero

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La consolazione

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2008

La consolazione dans Amicizia diddlabbracciogv1

Una bambina torna dalla casa di una vicina alla quale era appena morta, in modo tragico la figlioletta di otto anni.
« Perché sei andata? », le domanda il padre.
« Per consolare la mamma ».
« E che potevi fare, tu così piccola, per consolarla? ».
« Le sono salita in grembo e ho pianto con lei ».

Se accanto a te c’è qualcuno che soffre, piangi con lui. Se c’è qualcuno che è felice, ridi con lui.
L’amore vede e guarda, ode e ascolta. Amare è partecipare, completamente, con tutto l’essere. Chi ama scopre in sé infinite risorse di consolazione e compartecipazione. Siamo angeli con una ala sola: possiamo volare solo se ci teniamo abbracciati.

Bruno Ferrero – 40 storie nel deserto

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Nostro figlio vuol vivere

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2008

Cieco, muto e infermo: nostro figlio vuol vivere
 

Un bambino cieco, muto e infermo, testimone e maestro di vita
Da una lettera a Il Giornale

Alberto Gentili e Gabriella Mambelli

Siamo i genitori di Andrea (e di altri 3 ragazzi) e, colpiti da quanto deciso ultimamente sulla vita di Eluana, vorremo fornire attraverso Il Giornale un contributo in merito alla comprensione della realtà.
Andrea, il nostro primogenito, ha quasi 16 anni, è handicappato grave con disabilità al 100%, non parla, non vede, non si muove volontariamente… insomma, come recita un suo certificato medico «necessita e necessiterà di assistenza continua per tutti gli atti quotidiani della vita».
Da qualche anno, grazie all’inserimento in un progetto sperimentale, ha iniziato a «dialogare» faticosamente con il mondo esterno con la tecnica della comunicazione facilitata.
Il brano che le inviamo è parte della trascrizione di un dialogo tra Andrea ed uno dei suoi dottori. «Grigio periodo di dolore è il mio. Fermamente ho chiesto a Dio di aiutarmi e di benedirmi. Ho personalmente già più volte offerto le mie sofferenze per altri e questa volta una parte devolvo a te, dottore. (…) ho tanta voglia di fare esperienze belle interiori e di amicizia ma sono dentro una condizione tale di dolore e fisica che non mi permette di fare tutto ciò che vorrei. Questo sono io: dolore e gioia allo stesso tempo. Grato sono alla vita e voglio che si sappia. Grato sono a te per le cure ed a tutti coloro che si preoccupano per me, per il mio presente e per il mio futuro. Sono dell’idea che bisogna dare più spazio a ciò che aiuta interiormente e spiritualmente. Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare. (…) Ci tengo a dire che non disdegno le cure e ciò che porta un benessere fisico e questo va tutelato, ma bene interiore porta anche benessere fisico quindi è primariamente da considerare. Grazie, ti voglio dire che sono felice di oggi e ti dono il mio grazie di cuore».
Non vogliamo giudicare assolutamente il padre di Eluana. Capiamo bene il suo dolore e, come lui subiamo la stessa lacerazione interiore quando guardiamo, ahimè troppo spesso, un figlio che soffre steso in un letto e gli siamo vicini. Non accettiamo e ci fa rabbrividire il triste moralismo infantile ed inconsapevole di tanti che giudicano la vita degna solo se di «qualità». Anche noi, presi, impregnati, dalla «mentalità dominante», riusciamo solo per brevi istanti ad intuire che le parole di nostro figlio «questo sono io: gioia e dolore allo stesso tempo» sono vere non solo per lui ma anche per noi. Esse rappresentano la realtà della condizione umana. Realtà dura, spigolosa, inaccettabile non solo per chi ha una coscienza di sé inconsapevolmente nichilista e gaudente, ma pur sempre strada per la felicità e non per una inutile spensieratezza. Sempre riprendendo le parole di Andrea: «Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare».
La battaglia è qui. È possibile essere felici come Andrea dice di essere quando tutto intorno dice che non serve cercare la felicità ma solo il divertimento e l’assenza di problemi? Rimuovere il dolore dalla vita è eliminare la Croce, sola realtà capace di trasfigurarlo in gioia. Come sempre è la Croce il vero scandalo. E quale metodo più efficace per rimuovere la Croce che eliminare chi ad essa è più vicino?

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Uccisa nel « paradiso » senza crocifissi…

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2008

FEDERICA, CHE VIENE UCCISA NEL “PARADISO” SENZA CROCIFISSI…

Lloret de Mar come metafora del nostro tempo…

Uccisa nel

I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli – la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?

Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.

Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.

Continuava ricordando quando si lanciò la crociata perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso…’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.

Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.

”Ora” proseguiva quella donna americana “ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l’uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.

Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.

Un grande economista come Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.

Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.

Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani. Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” – che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?

L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all’inferno”.

di Antonio Socci – “Libero”, 11 luglio 2008

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La parabola dei vetri colorati

Posté par atempodiblog le 10 juillet 2008

 La parabola dei vetri colorati dans Don Bruno Ferrero madonninaki0

di Bruno Ferrero

Uscirono dalla vetreria lo stesso giorno. Gli operai le trattarono con attenzione e cautela. Le impilarono tra morbidi panni e poi le riposero in una cassa immerse in soffici materiali antiurto.
Erano dieci lastre di vetro colorato. Lastre blu, azzurro, verde, arancione, giallo rosso, viola.
«Avete visto come ci trattano?», esclamò fieramente una lastra blu.
«Siamo certamente tra le cose più preziose dell’universo», le fece eco una lastra gialla.
«I migliori tra i migliori, però siamo noi!», gridarono all’unisono quelle rosse. «Siamo il colore del sangue, della vita, della lotta!».
«I rossi si credono sempre speciali», brontolarono le lastre verdi.
«Sono solo dei palloni gonfiati», aggiunsero tutti i toni dell’azzurro.
La cassa fu chiusa, sollevata, caricata su qualcosa di veloce e puzzolente. Le lastre, timorose e sorprese, tacquero per un po’.
Il viaggio fu lungo, ma alla fine la cassa tornò a essere posata sulla salda terra e aperta.

Nel grande stanzone
«Finalmente, un po’ d’aria!», esclamarono insieme le lastre di vetro. Si trovavano in un grande stanzone, formicolante di operai indaffarati. Uno di essi afferrò la prima lastra, quella blu, tracciò sulla sua superficie degli strani ghirigori.
«Ehi, smettila di farmi il solletico!», strillò la lastra. Il blu è tremendamente suscettibile.
Ma l’uomo impugnò uno strumento affilato e cominciò a tagliare la lastra in frammenti di varie dimensioni.
«No! Non rompermi!», gridava disperata la lastra blu. Le altre lastre inorridirono e cominciarono a lagnarsi e a piangere: «Qui ci fanno a pezzi!».
«Facciamo sciopero!», gridarono le lastre rosse.
Ma non servì a niente. Una dopo l’altra furono fatte a pezzi. Solo la lastra viola, facendo finta di niente, riuscì a nascondersi dietro a un armadio.
Gli operai raccolsero i pezzi di vetro e li disposero attentamente su un grande tavolo. Un pezzo rosso e uno giallo si trovarono a contatto e cominciarono a litigare.
«Non voglio stare vicino a questo qui!», protestavano contemporaneamente.
Gli azzurri  contestavano i verdi: «State lontani, profeti di sventura!».
Ma i solerti operai non avevano finito e tra frammento e frammento fecero scorrere una lama ardente di piombo fuso che saldò in modo indissolubile un pezzo di vetro all’altro.
Questa volta i pezzi di vetro colorato non ebbero neanche la forza di protestare. Si rassegnarono. Il loro destino era segnato per sempre.

Insieme, in attesa della luce
Seguirono altri trasferimenti, altre sistemazioni. Si trovarono in una specie di cantina buia, sotto una grande volta.
«Qui siamo tutti uguali: grigi e squallidi. Così va la vita», filosofeggiò un giallo. Giocarono un po’ agli indovinelli per passare il tempo, ma si annoiavano e si addormentarono.
Poi arrivò la luce.
Furono svegliati da una sfilza di «Ooooh!». Meravigliati, videro davanti a loro una folla che si accalcava con il naso all’insù. Gli occhi della gente erano sgranati per lo stupore.
E nei loro occhi si rispecchiarono e poterono vedersi per la prima volta. Ammutolirono per la sorpresa: erano diventati una sbalorditiva vetrata multicolore che rappresentava una splendida Madonna con il Bambino Gesù in braccio. La luce del sole, che li aveva inondati, faceva risaltare ogni colore in tutta la sua intensità.
«Gente, ma siamo una bomba!», gridarono i rossi.
«Tutti insieme, effettivamente, facciamo un certo effetto», replicarono gli azzurri.
«Puoi ben dirlo, fratello», esclamò un giallo. Non aveva mai chiamato «fratello» nessuno.
Finalmente i pezzi di vetro, nel loro piccolo colorato cuore erano felici e appagati. Insieme, avevano capito il motivo per cui erano stati creati.
E la lastra viola? La trovarono alcuni mesi dopo, dietro l’armadio. Era coperta di polvere e non sapendo che farsene, la buttarono nella discarica.


La storia racconta la difficoltà di «fare gruppo». Ognuno dei componenti di un gruppo, soprattutto se si raduna per la prima volta, è dotato di carattere, temperamento, situazione familiare, «colore», diversi. Bisogna accettare di essere «spezzati», cioè rinunciare all’egoismo e all’egocentrismo, far scorrere del piombo fuso, cioè la capacità di accettazione e di collaborazione, infine essere illuminati dalla luce che proviene dall’alto, cioè avere un ideale, una finalità.

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