Il «nemico numero uno»

Posté par atempodiblog le 16 mai 2008

Il demonio è il grande nemico dell’uomo. E’ il «nemico numero uno» dice il Papa Paolo VI.  

Satana appare agli inizi del genere umano, e si presenta “fin da principio omicida, mentitore e padre della menzogna” (Gv 8,44-45). Riesce a far cadere i nostri progenitori Adamo ed Eva, e diventa “il principe di questo mondo” (2 Cor 4,4), «l’accusatore dei nostri fratelli” (ap 12,10).

Con il peccato originale, quindi, “tutto il mondo è stato posto sotto il maligno” (1 Gv 5,19) e i demoni sono “i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12).

Come appaiono tenebrosi i primi eventi dell’umanità novella, a causa di questo infernale assassino, che ha “l’impero delle tenebre” (Lc 22,53)!

San Pio da Pietrelcina, in una lettera al suo Padre spirituale ha accennato alla figura mostruosa di satana, visto in una visione come un essere orrendo e gigantesco, alto come una montagna nera…

San Pietro ce lo presenta con l’immagine di un leone ruggente sempre pronto a sbranarci (1 Pt 5,8-9). Come lo tortura l’invidia, perché noi possiamo salvarci! Egli ci vuole tutti con sé all’Inferno.

Anche una scena stupenda, però, ci appare agli inizi dell’umanità soggiogata da satana e oppressa dal peccato. Una Donna sublime, con il suo figlio, “schiaccia la testa” (Gn 3,15) al serpente tentatore. L?Immacolata, vincitrice di satana, splende nelle tenebre del peccato, con il suo divin figlio. L’Immacolata è la disfatta di satana.

La pagina del Genesi in cui Dio stesso presenta l’Immacolata è simile a un’aurora che si alza meravigliosa sulla notte dell’umanità peccatrice. L’autore ispirato del Cantico dei cantici così esclama, rapito: “Chi è costei che s’avanza come l’aurora, bella come la luna, eletta come il sole, tremenda come esercito schierato?” (Ct 6,9).

Questa è l’Immacolata, la Guerriera invincibile, la Signora delle Vittorie, il terrore dei demoni.

Ci basti qui ricordare un particolare narrato da santa Bernardetta Soubirous dell’Immacolata a Lourdes. La piccola veggente vide da un lato della grotta una torma di demoni scalmanati che le urlavano grida infernali. Spaventata, santa Bernardetta alzò subito gli occhi all’Immacolata. E bastò che l’Immacolata volgesse un solo sguardo severo verso i demoni, perché questi si dessero a precipitosa fuga.

Così il demonio, di fronte all’Immacolata, dimostra di essere davvero ciò che significa il suo nome Beelzebul: un “dio delle mosche”!

La tattica del demonio è quella di allettare i sensi e l’immaginazione dell’uomo per far prevaricare lo spirito. Si presenta come un consigliere e un servitore in guanti gialli, con offerte di beni e piaceri seducenti da guadagnare. Così fece con Eva (Gn 3, 1-7). Così tentò anche con Gesù nel deserto (Mt 4,1) e con tanti santi di ogni tempo: san Benedetto, san Francesco d’Assisi, santa Teresa d’Avila, il santo curato d’Ars, san Giovanni Bosco e san Pio da Pietrelcina.

Abilissimo e scaltro com’è, egli sa servirsi di tutto per rovinarci: gli basta un’occhiata immodesta di David che guarda Betsabea (2 Sam 11,2-26) una golosità di Esaù che vuole un piatto di lenticchie (Gn 25,29-34), un attaccamento al denaro di Anania e Saffica che nascondono dei soldi (At 5,1-10).

Egli tenta persino di proporre cose apparentemente utili per le anime. Si sa che il Santo Curato d’Ars predicava in maniera semplicissima, feconda di grazie per le anime. Ebbene il demonio andò da lui tutto premuroso e lo esortò a predicare in maniera dotta e difficile, assicurandogli la fama di grande predicatore.
Il santo avvertì l’inganno e respinse l’insidia e continuò con la sua predicazione facile ed efficace. Dovette pagarla però, con molti dispetti furiosi che il demonio gli fece di giorno e di notte.

Quattro stupidi…

Il capolavoro dell’arte di satana è arrivare a convincere gli uomini che egli non esiste. A questo punto, è chiaro, il demonio può trattare gli uomini da veri burattini.

Una volta san Pio da Pietrelcina ascoltò una predica in cui l’oratore non faceva che chiedersi se veramente il demonio non esiste, come dicono alcuni. Soltanto alla fine, l’oratore concluse affermando l’esistenza del demonio.

Dopo la predica, san Pio ammonì il predicatore dicendogli che quando si parla del demonio bisogna parlare subito della sua esistenza e della sua azione nefasta nel mondo; soltanto alla fine si può aggiungere: “Ci sono poi quattro stupidi che osano negare l’esistenza del demonio…”.

Questi “quattro stupidi” oggi sono diventati molti, persino nella Chiesa. Tanto è vero che il papa Paolo VI è dovuto intervenire espressamente con un discorso (il 15-11-1972) per ribadire la verità di fede sull’esitenza di Satana come persona e per costatare amaramente come il “fumo di Satana” stia affumicando la Chiesa. Come insegna il catechismo, il diavolo è “una persona: Satana, il Maligno, l’angelo che si oppone a Dio. Il “diavolo” è colui che “vuole ostacolare” il Disegno di Dio e la sua “opera di salvezza” compiuta in Cristo” (n. 2851).

Un’altra volta, san Pio da Pietrelcina disse a una figlia spirituale: “Se si potesse vedere con gli occhi del corpo quanti demoni hanno invaso la terra, non si vedrebbe più il sole!”. Contro questi “impuri apostati”, come li chiamava lo stesso san Pio, quale non deve essere la nostra difesa?

“Vigilate e pregate”

Gesù ci ha messo in guardia contro le insidie del diavolo. Egli ci ha insegnato le parole del Padre nostro: «…non ci indurre in tentazione» (Lc 11,4). Egli ci ha raccomandato con cura: «Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione» (Mc 14,38).

La vigilanza e la preghiera sono le due grandi forze dell’uomo contro il demonio. Facciamo nostra questa raccomandazione paterna di san Pio da Pietrelcina: «Figlio mio, il nemico non dorme; all’erta con la vigilanza e la preghiera. Con la prima lo avvistiamo, con la seconda abbiamo l’arma per difenderci».
La vigilanza ci fa avvistare le occasioni pericolose (una lettura, uno spettacolo, una persona, un luogo, una voglia…); la preghiera ci dà la forza di evitare i pericoli, di fuggire le occasioni, come raccomandava san Filippo Neri.

Anche sant’Agostino insegna che il demonio è solo un cane legato, e può mordere solo chi si avvicina a lui. Alla larga, quindi! Se il demonio si fa insolente, ascoltiamo la parola di san Giovanni Bosco che diceva ai suoi giovani: «Rompete le corna al demonio con la Confessione e la Comunione».

San Massimiliano M. Kolbe ha scritto che oggi «il serpente alza la testa in tutto il mondo, ma l’Immacolata gliela schiaccia in vittorie strepitose».
Per battere il demonio nel modo più umiliante bisogna ricorrere all’Immacolata. Il demonio ha letteralmente terrore di Colei, che, da sola, «è terribile come un esercito schierato» (Ct 6,9).

Quando santa Veronica Giuliani veniva assalita fisicamente dal demonio, non appena riusciva ad invocare la Madonna, il demonio, fuggiva precipitosamente urlando: «Non invocare la mia nemica».

La preghiera mariana più forte contro il demonio è il Rosario. Una volta gli fu chiesto durante un esorcismo, quale preghiera egli temesse di più. Rispose: «Il Rosario è il mio flagello!».
Se i cristiani portassero addosso e usassero spesso questo «flagello dei demoni», quante rovine, sventure e peccati in meno sulla terra!

Tratto da “Maggio, mese di Maria” – P. Stefano Maria Manelli – Casa Mariana Editrice – Roma 2003, p. 63.

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La virgola

Posté par atempodiblog le 11 mai 2008

La virgola dans Don Bruno Ferrero La-virgola

C’era una volta una virgola seccata dalla poca considerazione in cui tutti la tenevano. Perfino i bambini delle elementari si facevano beffe di lei.
Che cos’è una virgola, dopo tutto? Nei giornali nessuno la usa più. La buttano, a casaccio.
Un giorno la virgola si ribellò.
Il Presidente scrisse un breve appunto dopo un lungo colloquio con il Presidente avversario: “Pace, impossibile lanciare i missili” e lo passò frettolosamente al Generale.
In quel momento la piccola, trascurata virgola mise in atto il suo piano e si spostò. Si spostò solo di una parola, appena un saltino.
Quello che lesse il Generale fu: “Pace impossibile, lanciare i missili”.
E scoppiò la Guerra Mondiale.

Fai attenzione alle piccole cose. Sono il seme di quelle grandi.

di Bruno Ferrero – Il segreto dei pesci rossi

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Senza cattolici ma è un male?

Posté par atempodiblog le 9 mai 2008

Giuliano Ferrara, la cui intelligenza ci pare non sia messa in dubbio neppure da chi lo detesta, ha subito colto un aspetto singolare del nuovo governo Berlusconi: l’assenza di ministri cattolici. Più che di assenza, potremmo parlare di scomparsa. C’erano sempre stati, i cattolici: ovviamente con la Dc, ma anche con i precedenti governi sia di centrodestra che di centrosinistra. È singolare che questa tabula rasa sia stata operata proprio dalla coalizione che, tradizionalmente, fa il pieno di consensi nell’elettorato cattolico. Eppure, così è successo: i centristi dell’Udc non sono stati rimpiazzati con altri ex dc; Formigoni è stato convinto a restare in Lombardia anche (e non solo) per servire la causa; perfino il suo fedele Lupi – ciellino pure lui – s’è dovuto accontentare della vicepresidenza della Camera, dopo che per giorni era stato indicato come sicuro ministro della Salute. E dunque: è un tradimento dell’elettorato cattolico? È presto per dare risposte.

Tuttavia, una cosa la si può dire fin da ora. Pensare che il desiderio dei cattolici sia quello di avere al governo uomini e donne dalla sicura fedeltà personale ai valori della Chiesa, è piuttosto infantile. La sinistra, ad esempio, ha sempre molto insistito sulla non coerenza di uomini come Casini, Fini e Berlusconi che – da divorziati – parlano in difesa della famiglia tradizionale. È un argomento comprensibile, ma piuttosto demagogico. Il cattolico non vuole un governo di virtuosi: vuole un governo che tuteli i propri valori. Per il semplice motivo che i ministri non sono santi da indicare alla devozione dei fedeli, ma amministratori della cosa pubblica. Può sembrare paradossale per chi è estraneo al mondo cattolico: ma per un credente è molto meglio un politico che predica bene (in Parlamento) e razzola male (in privato) che non il contrario. Meglio un libertino che dice di no ai Dico, insomma, che un integerrimo padre di famiglia che legifera contro la famiglia.
Vedremo se il governo de-cattolicizzato di Berlusconi riuscirà ad accontentare i cattolici che lo hanno votato. Ma una cosa è sicura: il cattolico crede che una cosa è giusta o sbagliata a prescindere da chi la fa. Quindi, sarà soddisfatto se sulla scuola, sulla famiglia e sulla vita il governo farà quel che ha sempre promesso di fare; non se i ministri o i viceministri avranno una patente da devoti.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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La piccola matita nelle mani di Dio

Posté par atempodiblog le 7 mai 2008

Un volto bellissimo, in questo tempo dove si abusa della chirurgia estetica, può ricercarsi anche in chi ha sulla faccia molteplici rughe che la scavano, come Madre Teresa di Calcutta. Su questo viso che trasmette amore brillavano due occhi, che han fatto affermare ad un fotografo, abituato dalle riprese di migliaia di personaggi: “gli occhi più felici che io abbia mai visto”.

mother teresa eyes

Lei affermava di essere ‘la piccola matita nelle mani di Dio’

“Sono come una piccola matita
nelle Sue mani, nient’altro.
È Lui che pensa.
È Lui che scrive.
La matita non ha nulla
a che fare con tutto questo.
La matita deve solo
poter essere usata”.

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Un razzismo al contrario

Posté par atempodiblog le 7 mai 2008

Quello spottone gratis a un razzismo al contrario
di Davide Rondoni – Avvenire

In nome dei bambini. Certo, in nome e per conto loro. Come sempre. Anche se poi i bambini sembrano chiedere altro. Fanno un certo effetto le due pagine intere che il Corriere della Sera di ieri, giornale di industriali e banche, dedica alla presenza in Italia dei bambini che crescono all’interno di coppie omosessuali. Dal punto di vista giornalistico, a un lettore attento, sembrano quasi un autogol, una involontaria ironia. Tutta una pagina in cui, in nome dei bambini, si chiede riconoscimento legale per la volontà di coppie omossessuali di avere figli, e l’unica volta che in quella pagina si lascia parlare un bambino, lui racconta che i suoi compagni gli chiedono perché ha due mamme. E racconta che anche se lui, bene indottrinato da chi lo cresce, si mette a parlare di «diritti» (a otto anni!) spiegando che le ha sempre avute, alla fine i suoi compagni gli richiedono: perché hai due mamme?
Evidentemente ai bambini i conti non tornano. Ma qualcuno, in nome loro, sta provando a farli comunque tornare. Sarebbero «centomila» secondo il titolo che, naturalmente, li inserisce in nuove «famiglie». I dati sono altrettanto naturalmente forniti da Arcigay, e vengono dalla stima che il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni ha prole. Il che significa che si assommano, senza distinguere, bambini nati da matrimoni eterosessuali poi falliti e ‘traslocati’ in coppie omosessuali e bambini nati già all’interno di tali coppie da fecondazione a mezzo di donatori.
Insomma un dato un poco eterogeneo. E che serve, evidentemente, a dare forza alla richiesta, sempre a nome dei bambini, da parte degli omosessuali che in misura del 49% vuole avere un figlio. La doppia pagina è uno ‘spottone’ gratis, senza alcuna voce in contraddittorio, ad un’associazione che si occupa di queste cose, e che sta immaginando alcune battaglie legali che facciano leva sulle discrasie delle leggi presenti nei diversi Paesi Ue. L’obiettivo è fare breccia nell’ordinamento che in Italia tiene saldo il riconoscimento giuridico dei genitori naturali, salvo poi le varie possibilità di affido, di riconoscimento… Dunque, in nome dei bambini, i quali secondo il Corriere sarebbero oggi discriminati in Italia, si vorrebbe non tanto assicurare ai bambini diritti certi, quanto alcune prerogative ad alcune categorie. In nome dei bambini si mira a riconoscere una prerogativa a chi fa certe scelte ma non vuole viverne le conseguenze. Come quella, per chi decide una convivenza omosessuale, di non riuscire a procreare figli. C’è qualcosa di spinoso in questo dolce e colorito parlare di bambini: in nome loro si vuole evitare la propria responsabilità. In fondo si tratta di rendere tutto uguale, cioè evitare il principio di responsabilità. Sarebbe un grande tema, da trattare con onestà intellettuale e apertura. Come spesso mostrano anche esponenti del mondo omosessuale. E che si può trattare con grande rispetto dei fatti e delle persone. Sia omosessuali che etero. Invece il Corriere cita al lettore ignaro il fior fiore di esperti di infanzia e famiglia che si prodigano in consulenze che finiscono, anch’esse, per suonare quasi ridicole, tanto sono faziose.
Come quella di una psicologa e una sociologa che dipingono i figli cresciuti da omosessuali come bambini più tolleranti, meno conformisti, cresciuti da genitori con più alto grado di istruzione e autoconsapevolezza di quelli eterosessuali. Una specie di bambini perfetti in mezzo a coppie perfette. Dirò ai miei quattro piccoli che sono stati veramente sfortunati. O addirittura, tali consulenze si rivelano in realtà dei ‘razzismi al contrario’.
Come quando lo psicoterapeuta intervistato dopo aver definito molto meglio le condizioni ‘familiari’ vissute dai piccoli cresciuti da omosessuali denuncia il «vero pericolo» per i pargoletti: «I pregiudizi di una società, la nostra, in cui la famiglia è quella tradizionale, sposata, magari in chiesa. Su questo c’è da combattere». In nome dei bambini, naturalmente.

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Lo scoraggiamento

Posté par atempodiblog le 6 mai 2008

La tentazione dello scoraggiamento
di P. Innocenzo Casati O.P.

Dobbiamo confessare che, un po’ perchè non ci si pensa, un po’ perchè non la si vive integralmente, ci siamo abituati a, considerare la vita cristiana come la cosa più facile e più semplice di questo mondo. Ci sembra una cosa naturale. E il motivo più grave è che l’abbiamo svuotata della sua sostanza soprannaturale. La vita cristiana è essenzialmente soprannaturale, supera cioè tutte le possibilità della natura umana abbandonata alle fragili sue forze.
Pertanto nessuna meraviglia se all’uomo riesca difficile, quasi impossibile, viverla fedelmente e integralmente.
Eppure il Signore ha detto questo a tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli: «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce, e mi segua». «Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che sta nei cieli».
Le anime generose, quelle che prendono sul serio le parole del Divino Maestro, conoscono bene tutta la difficoltà di attuarle, e come ciò sia impossibile senza il sostegno valido della divina grazia. Per essere cristiani veri e al completo ci vuole molto coraggio. Il quale coraggio viene dalla cristiana virtù della fortezza, che dà lo slancio all’anima di estendersi a cose grandi.
C’è impresa più grande di quella che intraprende l’anima che vuole giungere all’unione d’amore trasformante in Dio su questa terra? Le occorre a ciò una fortezza, una magnanimità, un coraggio tutto divino per combattere a fondo e sbaragliare i tre grandi nemici del suo bene, Satana, il mondo e l’io, spesso alleati insieme contro di lei.
Fra le molte tentazioni che deve prepararsi a superare c’è anche quella dello scoraggiamento. Il quale è come il rilassamento di tutte le virtù, allo stesso modo che il coraggio spirituale e soprannaturale ne è il sostegno. Esso può variare nella durata e nell’intensità a seconda degli individui, del grado di perfezione cui è giunta l’anima, e della natura degli ostacoli che incontrerà sul suo cammino. Il suo effetto però è sempre identico: distogliere il cristiano dalla perfezione cui deve tendere.
Il primo grado di scoraggiamento, il più grossolano, per così d’ire, è quello della maggior parte dei cristiani i quali di cristiano han solo il nome ricevuto col battesimo. Tutti costoro non pensano nemmeno che hanno il dovere di essere coerenti con le loro convinzioni religiose, e di mantenersi perciò stesso in grazia di Dio. Tanto meno poi ammettono che sia possibile tendere alla perfezione e alla santità. Queste sono cose da preti e frati e suore, non da gente che vive in questo mondo! Come se Gesù Cristo non fosse venuto al mondo per salvare tutti gli uomini di questo mondo. E come se l’invito di essere perfetti come il Padre nostro celeste non fosse rivolto a tutti gli uomini di questo mondo senza distinzione di stato, classe o condizione sociale.
Lo stare in grazia di Dio è il grado minimo di perfezione, cui tutti sono tenuti, pena la dannazione eterna. E il non sforzarsi a questo per timore di non riuscirci è il primo grado della tentazione di scoraggiamento. Per lottare contro questa tentazione ci vuole un minimo di magnanimità, che faccia desiderare la propria salute eterna, e quel grado di coraggio conseguente per combattere contro gli ostacoli che la impediscono.
Purtroppo il mondo è pieno di pusillanimi in questa materia. E i pusillanimi s’allontanano da ogni grande impresa perchè hanno sempre paura d’intraprendere cose superiori alle proprie forze ed impossibili ad effettuarsi.
San Tommaso dice che il pusillanime rifugge da cose grandi delle quali sarebbe degno perchè il suo animo è piccino, e ignorando la propria condizione teme di fallire in cose che gli sembrano superiori alla sua capacità. Eppure la dignità dell’anima umana è tale che Dio solo è capace di soddisfarla, e se per la sua naturale debolezza non potrà mai raggiungere un simile ideale, non le verrà mai meno l’aiuto di quel Dio che s’è fatto Uomo per innalzarla fino a se. Basterebbe un po’ di fede e un po’ di buona volontà per superare questo primo scoraggiamento, il quale nasce da soggettiva viltà di animo piuttosto che da oggettive difficoltà esterne.
C’è poi lo scoraggiamento dei principianti, di quelli cioè che sono decisi d’incominciare una nuova vita, che non offenda più il Signore e sia immune dal peccato. Un cristiano che sia alle prime armi della vita spirituale, e che, pur desiderando di tendere alla perfezione, ancora si dibatte tra le sconfitte della carne, dell’ira, dell’orgoglio, quante volte è preso dallo scoraggiamento? I suoi propositi spesso, rinnovati, le insistenti sue preghiere, la fuga delle occasioni un tempo amate, la mortificazione di cui fa largo uso, ancora non gli hanno dato il dominio delle sue passioni. È mai possibile continuare così? Non sarebbe il caso di cedere le armi, dacché mi sento impari alla lotta?
Non ti dare vinto, amico mio, perchè Dio è prossimo a liberarti. Tu stai sperimentando la verità del detto evangelico: «Chi commette il peccato diventa schiavo del peccato». Non ti sei convinto ormai che da te non puoi niente? Gesù ce lo dice chiaramente: senza di me non potete fare nulla.
Volgiti con cuore umile e confidente a Lui. Senti come t’invita: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e affaticati, e io vi ristorerò». Intensífica la tua preghiera. Non è forse Lui che ci dice:
«Chiedete e riceverete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto?». Abbi fede, e aspetta il Signore. Se dovesse tardare, abbi pazienza, aspettalo che viene. Non resterai deluso. Ti consolerà.
Questa tentazione di scoraggiamento può essere preziosa per chi agisce con maggior coraggio. Egli si giudica indegno della pace, del riposo e delle consolazioni che ricevono gli altri servi di Dio. Mèmore dei suoi peccati, sa che merita di soffrire, si rallegra nelle sue pene, benedice Dio in ogni circostanza. Per chi ama se stesso invece questa tentazione, utile in sé, diventa pericolosa per mancanza di fede e di buone disposizioni.
C’è finalmente la tentazione dello scoraggiamento, propria di quelli che già sono radicati nella virtù. Le difficoltà e le pene che s’incontrano sul cammino della perfezione sono tante e tali da mettere a dura prova le anime più coraggiose. Santa Teresa d’Avila, in uno slancio di santo ardire, disse al Signore che i suoi amici sono troppo provati per poter essere numerosi. Di qui la tentazione di abbandonare la via della santità per timore dei gran travagli che vi s’incontrano. Chi specialmente non avesse resistito con energia alle prime tentazioni di scoraggiamento, deve aspettarsi nuovi e più violenti attacchi.
I motivi e le forme di questo scoraggiamento possono, essere molteplici. Sono le varie purificazioni cui Dio sottopone l’anima per meglio disporla a ricevere nuove grazie e più alti favori. Talvolta si tratterà di noia e di disgusto. L’anima è come presa da profonda tristezza che l’abbatte in modo tale da non avere più il coraggio di mettersi all’opera. Altre volte si sente aggravata da una specie di torpore e di sonnolenza che le impediscono di fare il bene. Qualche volta s’uniscono disgusto, paura e pusillanimità insieme, per impedire all’anima il suo avanzamento. Che voglia allora di piantar tutto, e di desistere dal cammino intrapreso!
Finalmente lo scoraggiamento può essere tale da turbare e sconvolgere lo spirito al punto da esporlo facilmente a battere la via contraria alla virtù. Né va taciuto lo scoraggiamento che prende un’anima desiderosa di fare il bene quando si vede condannata all’ozio e all’inazione da una salute cagionevole o malferma. Per quanto diverse possano essere le cause, l’effetto è sempre lo stesso: stornare l’anima dalla via del bene, che consiste nel fare la volontà di Dio sempre, in qualunque stato o condizione uno si trovi.
Non è certo la cattiva salute che c’impedisce di unirci a Dio, dal momento che questo si compie per mezzo della carità, la quale è anzitutto Virtù interiore e soprannaturale. Le buone opere esterne potranno meritarla o manifestarla, non potranno mai costituirla. Solo nella comunione intima con Dio essa si acquista, si consolida, si esercita.
Le anime che tendono seriamente alla perfezione non devono paventare nessun ostacola. Se è vero che da noi stessi non possiamo nulla, non è men vero che per grazia di Dio, possiamo tutto. Chi cedesse al timore degli ostacoli darebbe prova di animo poco nobile e generoso. Chi segue Gesù dev’esser pronto ad affrontare ogni tempesta. Abbia fede, la sua vita non corre nessun pericolo. Nella barchetta del suo spirito vive Colui che regge e governa il mondo.
Santa Caterina da Siena raccomanda di non abbandonare la via della perfezione e darsi per ignoranza alla tristezza e allo scoraggiamento. «Ciò sarebbe un esporsi a grande pericolo, e un trovare la morte là dove è posta la vita» (Dial, c. 114).
Dio, permettendo queste tentazioni di scoraggiamento, ci purifica sempre più e ci fa progredire nella virtù della pazienza, vera pietra di paragone delle anime perfette.
«Tutte le virtù, dice Santa Caterina da Siena, possono ingannare per qualche tempo e far credere di essere perfette, quando sono imperfette, ma non possono nascondersi davanti a te, o pazienza, perchè tu sei lo specchio dell’anima, tu sei l’essenza della carità, e dimostri se le virtù sono vive e perfette. Appena tu sei assente, si vede che tutte le Virtù sono imperfette, e che non sono nutrite alla mensa della santa Croce» (Dial. c. 95). E altrove dice che «il midollo dell’albero, cioè della carità nell’anima, è la pazienza che prova che io (Dio) sono nell’anima e che l’anima è in me». (Ib. c. 10).
Quanto dannoso sia il cedere alla tentazione dello scoraggiamento appare da questo rimprovero che Dio fa ai pusillanimi per bocca di Santa Caterina da Siena: «Disavventurato! dovresti abbracciare la croce, e tu la fuggi… Devi star fermo e stabile, seguitando la dottrina della mia Verità; conficcando il cuore e la mente tua in Lui, e tu ti volgi come foglia al vento, e per ogni cosa vai a vela. Se tu sei nella prosperità ti muovi con disordinata allegrezza; se ti trovi nell’avversità ti muovi per impazienza; e così trai fuori il midollo della superbia, cioè l’impazienza; perocchè come la carità ha per suo midollo la pazienza, così l’impazienza è il midollo della superbia» (Ib. c. 128).
Dal che risulta che è indispensabile lottare con energia contro la tentazione dello scoraggiamento, altrimenti non riceveremo mai le grazie infinitamente preziose che Dio ci serba, nelle altezze della contemplazione.
Fra tutte le disposizioni interne raccomandate per resistere alla tentazione della scoraggiamento, ce n’è una che riesce infallibilmente: la perfetta conformità alla volontà di Dio.
Per giungere a questa perfetta conformità, bisogna credere fermamente all’azione benefica della Divina Provvidenza. Ascoltiamo ancora la Santa di Siena che ci dà insegnamenti preziosi in merito.
«Ora ti dico dei perfetti, ch’io li proveggo per conservarli, e per provare la loro perfezione, e per farli crescere continuamente. Perchè non vi è nessuno in questa vita, sia perfetto quanto si vuole, che non possa crescere a maggior perfezione… La tribolazione è un segno dimostrativo, che fa vedere la perfetta carità dell’anima, e l’imperfezione là dov’ella è. Nelle ingiurie e travagli ch’io permetto ai servi miei si prova la pazienza… La loro virtù, si nutre di tutto ciò ch’io permetto come di tutto ciò che loro concedo… Quanto più abbandonano se stessi, tanto più trovano me. E dove mi cercano? Nella mia Verità, andando con perfezione per la dolce dottrina sua. Hanno letto in questo dolce e glorioso libro, e, leggendo, hanno trovato che, volendo compire l’obbedienza mia, e mostrare quanto egli amava il mio onore, e l’umana generazione, corse con pene e obbrobrio alla mensa della santissima Croce, dove con sua pena mangiò il cibo dell’umana generazione… Io provo i miei servi colla tribolazione durante questa vita, affinché portino frutti più abbondanti e più deliziosi davanti a me, ed io godo dei profumi della loro pazienza e della loro virtù. Oh quanto sono soavi e dolci questi frutti! E di quanta utilità all’anima. che soffre senza colpa! Se ella ciò vedesse, non vi sarebbe alcuna tribolazione che con grande sollecitudine e allegrezza non cercasse di portare. Per dar loro questo grande tesoro, la mia Provvidenza paterna affligge l’anima con tante tribolazioni, che alla loro pazienza impediscono d’irrugginirsi e di restare oziosa» (Dial. c. 145).

Fonte: Vita Cristiana, XVI (1947 – IV), pp. 389-397.

 

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Il demone della violenza

Posté par atempodiblog le 6 mai 2008

Chissà da quale profondo mistero arriva la violenza che porta cinque ragazzi a massacrare un uomo di 29 anni solo perché si è rifiutato di dar loro una sigaretta. Certo non arriva dai facili schemi con cui da un paio di giorni si cerca di spiegare l’accaduto: il fascismo, il razzismo, la Verona leghista. Sono tempi in cui la politica cerca di strumentalizzare ogni cosa, e in questo non ci sono innocenti né a sinistra né a destra. Ma davvero dovrebbero esserci dei limiti per rendere improponibili certe dichiarazioni che offendono più l’intelligenza di chi le pronuncia che quella di chi le ascolta. Un ex ministro come Paolo Ferrero ha tirato in ballo perfino la recente campagna elettorale: «I linguaggi bellici e le discriminazioni possono portare voti ma seminano odio». E purtroppo anche Veltroni, che è un uomo intelligente e solitamente misurato, è caduto nella trappola: «Siamo davanti a un’aggressione di tipo neofascista che non può e non deve essere sottovalutata».
Chiunque avesse sfogliato un po’ di fretta i giornali di ieri mattina, si sarebbe così convinto che la vittima dell’aggressione di Verona è un immigrato, oppure un gay, oppure ancora uno di sinistra. Insomma un «diverso» o un «nemico», a seconda di come titolavano i giornali. Solo chi ha avuto la pazienza di entrare nelle righe degli articoli si è accorto che l’aggredito è un italiano; un italiano di Santa Maria di Negrar, provincia di Verona; un italiano che con la politica non c’entra niente, ma proprio niente. Eppure la confusione è andata avanti tutto il giorno, anche una tv eccellente nell’informazione come Sky ha lanciato un sondaggio per chiedere agli italiani se il fatto di Verona è un segnale allarmante di una nuova «ondata di intolleranza». Ma intolleranza verso chi e che cosa? Verso chi non offre sigarette?
Molto opportunamente, invece, Lucia Annunziata ha messo insieme, su La Stampa, il fattaccio di Verona con quello di Torino, dove alcuni vigili sono stati aggrediti in pieno centro, piazza Vittorio Veneto, a poche decine di metri dalla casa del sindaco Chiamparino. Se a Verona è stata una sigaretta a scatenare la violenza, a Torino è stata una multa: chi l’ha presa ha sferrato un pugno in faccia a un vigile, è stato arrestato, ma almeno duecento persone sono intervenute in sua difesa lanciando pietre e bottiglie contro gli agenti. Sono due storie diverse: ma in comune c’è un’esplosione di violenza che pare immotivata, comunque non proporzionata alla causa scatenante. Lucia Annunziata ha avuto dunque il merito di non cadere nella semplificazione retorica dell’antifascismo, e ha colto giustamente in questi episodi il segno di un’inquietudine generale.
Ma il motivo di questa inquietudine è difficilmente afferrabile. Lucia Annunziata lo attribuisce alla rottura del patto di fiducia tra istituzioni e cittadini, e c’è senz’altro del vero. Però basta l’antipolitica a spiegare la violenza di Verona? Che è stata cieca e gratuita come quella di Arancia Meccanica? Che è stata violenza per la violenza, male per il male? Basta, o la risposta è nell’uomo, nella sua essenza più intima?
Per la prima volta nella storia, in Europa non ci sono guerre fra Stati da oltre sessant’anni; i conflitti sociali permangono, ma sono infinitamente meno gravi che in passato. Eppure l’aggressività riemerge ciclicamente. I primi ventenni senza guerra hanno dato vita al Sessantotto, e poi ai terribili anni Settanta, quasi a dimostrare che non c’è generazione che non abbia desiderio di menare le mani. La violenza rialza sempre la testa, hanno persino cancellato i soldatini e le pistole dai giocattoli dei bambini, i quali oggi smanettano con videogames di inaudita ferocia.
L’origine della violenza è all’interno di ciascuno di noi, nasce come reazione ad aspettative che vanno deluse. La cultura, l’educazione, a volte le convinzioni politiche e religiose ci frenano nella stragrande maggioranza delle situazioni. Ma da qualche parte il mostro riemerge, e a volte s’organizza in bande in cui l’ideologia – così come la fede calcistica per quanto riguarda gli ultrà – è solo un pretesto, una divisa. Non è un caso se spesso queste bande, come quella di Verona, attingono soprattutto ai simboli e alle idee che la storia ha sconfitto: la violenza ha bisogno, per nutrirsi e per alimentarsi, di rancori e di rabbia. Ecco perché nessuno crea una «Brigata Royal Air Force» o «Us Army», ma ci si rasa la testa e ci si mette una croce uncinata da qualche parte prima di ammazzare uno che non ti dà una sigaretta.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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Gli sposi « gemelli »

Posté par atempodiblog le 5 mai 2008

La storia degli sposi « gemelli »
di Cristiano Gatti – Il Giornale

Chi ama davvero non vorrebbe vivere nemmeno un attimo più dell’amato. Per Ugo e Annalisa, che si sono amati davvero, soltanto una mezza giornata di distacco. Prima se n’è andato lui, intorno alle otto del mattino, quasi in avanscoperta, quasi a preparare il nuovo nido. La sera, quando già la solitudine sembrava diventarle insopportabile, lei l’ha seguito e l’ha raggiunto. Di nuovo insieme, come sempre. Stavolta davvero per sempre. Chi ama davvero vorrebbe vivere, gioire, soffrire e poi persino morire al fianco dell’amato. Che parole melense, che pensieri da Bacio Perugina: chi non ama davvero, certo ci sghignazzerà. Ecco, la storia di Ugo e Annalisa non è cosa per quest’ultimo genere di umanità, dato il misterioso e indecifrabile alone di travolgente poesia che l’accompagna dall’inizio alla fine.

È già svelata, questa fine: un funerale senza troppi orpelli nella chiesa parrocchiale di Ponteranica, il loro paese, alle porte di Bergamo. Anche il funerale come tutto il resto, riassunto nella parola di sempre: insieme. Una bara vicina all’altra, molto vicina, davanti al prete, che li riconsegna nelle mani di Dio, perché li abbia in gloria. Nei primi banchi, sostenuti dal calore di una folla d’amici, tre figlie e un nipotino, ragioni stesse del loro matrimonio davvero unico e davvero indissolubile.

Uniti finché morte non vi separi. Se l’erano giurato, sempre davanti a un prete, nel 1974. Aprile anche allora, il giorno venti. Già quella volta sembra a tutti che questo legame abbia qualcosa di particolare. Di segnato e di predestinato. I due sposi hanno la stessa età, classe 1947, ma anche natali praticamente comuni: lui il 23 luglio, lei il 25. Chi ama davvero, evidentemente, non vuole vivere un attimo più dell’amato neppure all’inizio. Anche se ancora non lo conosce. Tra Ugo e Annalisa, solo due giorni di solitudine.

Il loro destino li osserva dall’alto, lasciando che crescano ciascuno nel proprio paese, a qualche chilometro di distanza. Ugo è di Ponteranica, Annalisa di Darfo Boario, in Valcamonica. L’incontro che svela i disegni superiori è programmato per quando sono nell’età degli amori. Ugo è un suonatore di basso, fa spettacolo nei locali del Bergamasco e del Bresciano. Un giorno sale con la sua band a Boario, proprio lì dove l’attende l’appuntamento della vita. Ad accoglierlo, tra il pubblico, la ragazza carina e romantica che sarà per sempre la sua.

Da quel giorno, insieme. È la parola magica che li accompagnerà lungo i sentieri del domani. Qualche tempo dopo si presentano insieme all’altare. Quindi, insieme mettono in cantiere tutti i progetti che due metà della stessa anima possono immaginare. Ugo è spirito d’artista. Esprime la sua inguaribile creatività mandando avanti locali pubblici. Oltre alla musica, ama dipingere. I suoi quadri girano per mostre. Lei è di temperamento diverso, trova soddisfazione nelle cose di casa, ma soprattutto nelle cose di mamma. Tre figlie arrivano ad animare l’atmosfera lieta di una famiglia riuscita.

Tutti i giorni, tra le soddisfazioni e le difficoltà, Ugo e Annalisa concretamente scoprono quanto giusto e vero sia il famoso giuramento: uniti nella buona e nella cattiva sorte, insieme, sempre insieme, finché morte non vi separi…

Tre anni fa nasce Tommaso, il nipotino che sconvolge il torpore dell’età che avanza. Avviandosi al bel traguardo dei sessant’anni, Ugo e Annalisa hanno tutto quello che serve per sorridere. Con questo stato d’animo accolgono i primi tramonti di quel caldo autunno riservato ai nonni felici.

Ma sta scritto nella loro storia incredibile che tutto debbano affrontare insieme, anche la cattiva sorte. La prima ad ammalarsi di quel male spietato è Annalisa. Ugo le sta vicino, se possibile la ama più di prima. Ma evidentemente deve sembrargli ancora niente. S’era detto insieme. Sempre, per qualunque cosa. Come fosse giusto e ineluttabile, anch’egli si ammala. Dello stesso male feroce.

L’ultimo anno li vede affiancati nella stessa battaglia, contro lo stesso nemico cinico e impietoso. Come sempre, si aiutano nella sofferenza fisica e nel tormento dell’anima. Tutti e due religiosi, pregano lo stesso Dio, perché almeno conceda consolazione. Nel segreto dei propri pensieri, certamente coltivano il grande sogno di tutti gli amori sinceri e generosi: chi ama davvero non vorrebbe vivere nemmeno un attimo più dell’amato. Nessuno sente la loro voce, ma certamente nel Cielo risuona lieve la tenerezza della loro supplica: Signore, ti prego, prendimi nella stessa ora. Non lasciarmi qui un minuto di più. Insieme, ancora insieme, fino all’ultimo respiro.

Sessant’anni dopo averli avviati insieme alla vita, trentaquattro anni dopo averli messi insieme nella stessa casa, il Creatore ascolta la preghiera e insieme li richiama. Lui si avvia qualche ora prima, di mattina presto, quasi a cercare l’angolo giusto di Paradiso, dove accoglierla di nuovo come una regina. Lei lo raggiunge quand’è sera, evitando di affrontare da sola il buio della notte. Adesso stanno di nuovo insieme, in una luce bellissima. Dove non c’è morte che li separi.

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Rosario in grani (medicinale)

Posté par atempodiblog le 4 mai 2008

Rosario in grani (medicinale) dans Sorriso Rosario-in-grani-medicinale

SANTIFICANTE EFFERVESCENTE: ROSARIO IN GRANI
(dal web)

Foglietto illustrativo:

COMPOSIZIONE: Ogni Rosario contiene 50 Ave Maria, 5 Padre Nostro, 5 Gloria al Padre, 1 Salve Regina.

PRINCIPIO ATTIVO: La Grazia di Dio.

CATEGORIA FARMACOTERAPEUTICA: Santificante effervescente.

USO: Si consiglia il sovradosaggio.

SOVRADOSAGGIO: In caso di assunzioni in dosi molto elevate, si potrebbero avere manifestazioni di scatti di gioia, lodi improvvise a Dio, slanci di carità.

INTERAZIONI: E’ possibile, anzi consigliabile, assumerlo insieme ad altre preghiere e ai Sacramenti.

DOSI CONSIGLIATE: Da 1 a 4 al giorno.

INDICAZIONI TERAPEUTICHE: Contro la tiepidezza spirituale, aiuta nel cammino verso la Santità, elimina pruriti al Sacro, scoraggia dalle tentazioni, toglie acidità e pesantezza di coscienza, libera le anime dal Purgatorio.

POSOLOGIA : Uso orale. Da assumere con devozione e raccoglimento. Gli effetti possono migliorare con l’assunzione in gruppo.

EFFETTI INDESIDERATI : Se recitato bene e ogni giorno, puo’ provocare un cerchio alla testa. (vedi immagine)

CONTROINDICAZIONI: Nessuna.

VALIDITA’ : Non è soggetta ad alcuna forma di deterioramento.

PRODUTTORE : Laboratori M. SS. – Maria Santissima.

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4 maggio 1949: cade il Grande Torino

Posté par atempodiblog le 2 mai 2008

Storie dalla storia / 4 maggio 1949: cade il Grande Torino

di Marco Innocenti – Il sole 24 ore

 4 maggio 1949: cade il Grande Torino dans Articoli di Giornali e News supergarestiaereotorinoac5

Dominò per cinque anni il campionato italiano: un monologo per il Torino, una teoria di scudetti color granata, con Juventus e Inter a fare da primi avversari. Dal 17 gennaio 1943 al 30 aprile 1949 il Filadelfia rimase imbattuto: 93 partite con 83 vittorie e dieci pareggi. Erano i campioni più amati dall’Italia sportiva. Poi, improvviso, il tiro crudele del destino: scompare un gruppo di ragazzi che è vissuto insieme per un tempo troppo breve.

Lo schianto

Pomeriggio del 4 maggio 1949. La primavera tarda al Nord e nebbie basse sporcano ancora i tramonti. Il cielo è cupo, fa freddo. Le nubi incombono basse e cupe, color inchiostro; la pioggia cade a ondate, sferzata dal vento. La sera ruba spazio al pomeriggio, la visibilità è di trenta metri, Torino sembra avvolta da un’ombra di malinconia, quasi un presagio. L’aereo del Torino, un trimotore Fiat proveniente da Lisbona, sta atterrando. Alle 17,07 , improvvisi, un boato e uno scoppio, come una folgore. L’apparecchio si schianta contro il colle della Basilica di Superga e si incendia. Non ci sono superstiti. «Che le nubi e i venti ci siano propizi e non ci facciano troppo ballare», così chiudeva il servizio del giornalista Luigi Cavallero, una delle 31 vittime, trasmesso dall’aeroporto di Lisbona a un quotidiano della sera.

L’Italia in lutto

Il Paese è stordito. L’emozione è immensa, e poi confusione, lacrime, cordoglio, disperazione. Dolore e amore sono complementari e nessun lutto è nazionale come la scomparsa del Grande Torino. Tutta la pietà d’Italia si stringe attorno ai caduti, alle loro mogli e ai loro bambini. I tifosi si trovano affratellati nel dolore. Il Torino è la più forte squadra d’Europa, la bandiera del calcio italiano, una gloria nazionale in un Paese che non ha glorie. Ha vinto quattro campionati consecutivi, stava per vincerne il quinto. I ragazzi recitano la formazione a memoria: Bagicalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti II, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Erano giovani, sani, amici fra loro, leali, bravi ragazzi e il destino li ha portati via in un colpo. «Sono caduti come soldati – scrive « La Stampa » – spensierati, semplici, colti a tradimento sulla soglia dell’accampamento. E ci sorgono spontanee nella memoria le parole con cui i soldati ricordano i loro caduti: erano giovani, la loro vita non ritorna più».

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La lapide di Superga

Nei poveri brandelli di carne il vecchio Vittorio Pozzo, chino sotto il peso del dolore, cerca a uno a uno i visi dei suoi ragazzi chiamandoli sommessamente come per l’appello di un’ultima partita. Tocca a lui, l’ex commissario della nazionale, riconoscere i cadaveri. Maroso lo individua dalla cravatta, l’unica cosa che di lui sia rimasta. Indro Montanelli, sul « Corriere della Sera », li saluta con un articolo intitolato: « Nel grande stadio dell’aldilà Mazzola passa a Gabetto ». Ai funerali seguiranno le bare in trecentomila. Con loro, idealmente, ci sono gli occhi rossi dei ragazzi d’Italia. Sul colle di Superga viene murata una lapide che li ricorda e tramanda la leggenda della squadra che non perdeva mai. Per molti anni sarà mèta di pellegrinaggi. Ma il tempo passa, i ricordi sbiadiscono e le visite si fanno sempre più rare. Forse perché il 1949 è lontano o forse perché il calcio, oggi, è un’altra cosa.

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