Il mistero del male

Posté par atempodiblog le 22 mai 2008

È possibile conciliare la bontà e l’onnipotenza di Dio con la presenza del male? Da una conversazione tenuta dal prof. Giampaolo Barra a Radio Maria

Come possiamo dire che Dio è amore se poi noi vediamo tanto male che sembra trionfante nel mondo e nella nostra vita? Come possiamo accogliere il messaggio di amore e di salvezza di Dio se poi vediamo che sembra impotente di fronte al male? Questa domanda ha angosciato il cuore di tanti uomini anche sinceramente credenti, specialmente quelli che vivono una esperienza di sofferenza e di dolore. A questa domanda hanno tentato di dare una risposta insigni filosofi, ma la risposta più consolante resta quella cristiana e che nasce dalla fede che poggia sulla rivelazione di Dio. Per svolgere questa conversazione mi farò aiutare da un giovane e promettente filosofo, Giacomo Samek Lodovici, e di altri articoli che sono stati raccolti sul numero del Timone del mese di novembre 2006 all’interno del dossier « Dio e il problema del male ». Il problema del male e il tentativo il capirne il senso emerge costantemente nella vita dell’uomo specialmente di fronte alle malattie, alle guerre, alle stragi del terrorismo e alle catastrofi naturali. La domanda non si rivolge tanto alla sofferenza del malvagio, perché ci sembra giusto che chi ha sbagliato è giusto che meriti una punizione, ma si rivolge verso alla sofferenza delle persone innocenti, che non hanno colpe personali e che in vita loro non hanno mai fatto male a nessuno. Essendo l’uomo un essere razionale e dotato di intelletto cerca di capire il senso di queste realtà che noi genericamente chiamiano male e la cui risposta è difficile. La domanda si fa più pressante dunque quando ci troviamo di fronte alla sofferenza di chi è innocente, dei bambini colpiti dalla malattia o perché è capitato loro qualche disgrazia. Il bambino è l’immagine dell’innocenza e il vederli soffrire magari terribilmente angoscia il cuore di ogni essere umano degno di questo nome. Ma perché Dio permette ciò? Qualcuno si è spinto a muovere una specie di atto di accusa: se c’è Dio, come è possibile il male? Dov’era Dio ad Auschwitz? Se Dio esiste o il male sfugge alla sua sua onnipotenza (ma allora Dio non è onnipotente e non sarebbe nemmeno Dio) oppure Dio c’è ma non è buono (e sarebbe così complice del male nel mondo), oppure si deve riconoscere che Dio si disinteressa dell’uomo, che Dio c’è ma non ci ama, ci ha creato ma poi ci ha abbandonato al nostro destino lasciandoci in balìa della sofferenza e della morte. Nel tentativo di dare una risposta possiamo seguire una duplice strada. La prima strada è quella della ragione umana che non si serve dell’aiuto della Rivelazione e della fede, la seconda è la risposta offerta dal Cristianesimo e che non contrasta con la ragione ma la rende più completa.Ma iniziamo chiedendoci cos’è il male, cosa intendiamo con la parola male? Possiamo rispondere a questa domanda secondo 3 diversi punti di vista: quello ontologico, quello fisico e quello morale.

Secondo il punto di vista ontologico, cioé quel punto di vista che prende in considerazione l’essere, la filosofia ci dice che il male è una assenza di bene. Facciamo un esempio: quando definiamo la malattia come un male, in realtà stiamo definendo la mancanza di un bene, ossia l’assenza di salute. Pertanto il male, in sé stesso e indipendentemente da ogni bene, non esiste né può esistere perché non è un essere. Ciò implica che Dio non può aver fatto il male, essendo Dio creatore dell’essere, ossia di tutto ciò che esiste. Il male assoluto dunque non esiste.

Secondo il punto di vista fisico è la privazione di un bene fisico che appartiene per natura ad una cosa, che dovrebbe esserci e invece non c’è. Facciamo un esempio: noi consideriamo la cecità un male, ossia la mancanza della vista è un male per l’uomo perché per sua natura l’uomo deve vedere. La mancanza della vista, invece, non creerebbe alcun problema ad una pietra o ad una pianta perché la vista è una caratteristica della natura umana ma non di una pietra o di una pianta. Anche in questo caso Dio non può essere creatore del male essendo il creatore di tutto l’essere.

Secondo il punto di vista morale invece il male esiste. Secondo Sant’Agostino il male morale nella scelta consapevole di un bene minore rispetto ad un bene maggiore, ossia nella scelta di un bene più piccolo quando invece andrebbe scelto un bene più grande. Facciamo un esempio: il furto è un male morale, e con l’atto del rubare il ladro sceglie un bene minore rispetto ad un bene maggiore perché di fatto i soldi rubati ad un’altra persona in sé stessi sono una cosa buona dato che possono anche essere riutilizzati per fare del bene, ma rappresentano in ogni caso un bene più piccolo rispetto al rispetto del bene della persona che è stata derubata nella sua proprietà. Nessun uomo sceglie di fare il male perché crede che sia giusto fare il male, ma perché convinto di fare una cosa buona e ci sono casi in cui il male morale ha in sé anche qualche aspetto buono. Spesso il sadico prova pure del piacere a fare il male, ma il provare piacere in sé è un bene però in questo caso il piacere provato dal sadico è un piacere minore rispetto alla integrità della vita della persona a cui fa il male. Il male morale non può dunque essere additato a Dio ma sta nella libera scelta dell’uomo che agisce moralmente male infliggendo la sofferenza agli altri. Le guerre e molte altre sofferenze sono opera degli uomini e non di Dio.

La nostra natura di esseri umani è una natura limitata e la nostra ragione non è capace di capire tutto perfettamente perché facciamo continuamente esperienza dei limiti della nostra ragione e solo Dio ha uno sguardo assoluto sulla realtà. Il male dunque resta un mistero che solo Dio è in grado di decifrare perfettamente mentre noi possiamo tentare solo qualche vaga risposta. Il filosofo Samek Lodovici fa un chiaro esempio che ci aiuta a capire. Immaginiamo di trovarci davanti ad un quadro: se noi guardiamo il dipinto alla distanza di un centimentro può capitare di vedere una macchia scura che ci appare brutta e deforme. Se però noi ci mettiamo ad una distanza tale da permetterci di vedere il dipinto nella sua complessità ci accorgiamo che quella macchia oscura è in realtà un’ombra fatta bene che nell’insieme del dipinto ha un suo significato.

Se noi avessimo il punto di vista di Dio in modo da abbracciare tutto ciò accade in un insieme, potremmo arrivare a comprendere che Dio, tollerando alcuni mali, prepara sempre dei beni più grandi o ci evita dei mali maggiori. Facciamo ancora un esempio: una malattia fisica può essere così dolorosa da obbligarci a stare in ospedale e riteniamo questo fatto una disgrazia perché noi vediamo la nostra vita dalla nostra prospettiva. Forse però se noi potessimo guardare la nostra realtà dal punto di vista di Dio, magari potremmo capire che la sovverenza che in quel momento stiamo vivendo ci fa comprendere la nostra debolezza e la nostra miseria, il fatto che non siamo autosufficienti, che non siamo superuomini, e ciò potrebbe indirizzarci sul sentiero dell’unico bene che non delude: Dio. Quante volte si sono sentite storie di convertiti a Dio dopo un lungo calvario di sofferenze. Può anche essere dunque che Dio abbia permesso, non voluto ma permesso, un male per ricavarne un bene superiore come ad esempio il bene della fede. A volte i mali che ci capitano non propiziano un bene a noi stessi ma alle persone che ci amano e agli altri. Quante volte la sofferenza di una donna evita ad esempio mali maggiori al marito, ai figli o alla famiglia, dal momento che c’è un legame tra gli esseri umani.

E la sofferenza di un innocente come si spiega? Se ci mettiamo da un punto di vista estraneo alla fede, tale sofferenza rimane un assurdo e una crudeltà senza senzo. Se chiediamo aiuto alla fede allora la sofferenza di un innocente può trovare un barlume di senso e di significato. Può essere che senza questa croce la persona si sarebbe allontanata da Dio (cosa che è il male più grande che ci possa capitare), può essere che l’innocente sconti una pena rispetto ad altri che non l’avrebbero portata e che si sarebbero persi. San Tommaso ci insegna che tutti i mali che Dio permette sono sempre orientati ad un bene che non sempre è il bene di colui che subisce il male, ma talvolta è orientato al bene di altri o anche di tutto l’universo. Non si tratta di una risposta irragionevole e che libera il problema da tutti i misteri, ma ci lascia uno spiraglio di luce: tutti i mali sono orientati al bene. Cosa che non non capiamo pienamente ma che noi sappiamo in base alla Rivelazione. Dio dunque tollera e permette, ma non fa, il male per evitare un male peggiore o per trarne un bene.

Il male morale ha la sua causa nella libera scelta dell’uomo. Se Dio con la sua onnipotenza impedisse all’uomo di fare il male morale dovrebbe togliere all’uomo la causa di questo male morale ossia la sua libertà, ma ciò porterebbe l’uomo ad essere come gli altri animali. Facciamo un esempio: nessuno accusa un leone di aver commesso un male morale quando sbrana una gazzella perché quando il leone ha fame non ha la libertà di scegliere se uccidere o meno una preda ma segue l’istinto di soddisfare la sua fame ed obbedisce a questo istinto. L’uomo invece è diverso perché l’uomo è un essere libero.

Inoltre Dio si interesa premurosamente dell’uomo: Dio infatti ha voluto creare l’uomo libero senza averne alcun bisogno. Se infatti Dio è sommamente perfetto, quando ha creato l’uomo non ha aggiunto qualcosa a sé stesso cioé non è diventato più contento, più potente o più perfetto perché Dio sarebbe stato perfetto anche senza l’uomo. Dio ha creato l’uomo per un gesto di amore gratuito e ciò implica che Dio si interessa premurosamente all’uomo. Per il Cristianesimo la sofferenza è stata introdotta nel mondo dall’uomo e non da Dio ed è la pena per quella colpa che si chiama peccato originale. Il Cristianesimo però ci dice anche qualcosa di più, e si tratta di una novità strabiliante rispetto a tutte le altre religioni: che Dio si è fatto uomo, pur senza il peccato, ed ha assunto la natura umana compresa la sofferenza, sperimentando la sofferenza della crocefissione che è il culmine del dolore fisico e psicologico (cioéquello derivante dal tradimento degli uomini che aveva amato). Dio, quando gridò dalla croce «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!», sperimentò il massimo del male che può capitare ad un uomo: la lontananza e l’abbandono da Dio. Si tratta dell’esito del peccato che Gesù sperimenta pur senza avere il peccato. Il Cristianesimo ci aiuta dunque a scagionare Dio dalla accusa di essere onnipotente ma indifferente all’uomo. Dio facendosi uomo non è rimasto indenne al male e alla sofferenza e non guarda all’uomo distrattamente o indifferentemente, ma si è incarnato per amore infinita e ha patito nell’uomo Gesù Cristo le più atroci sofferenze fino alla morte in croce. Quindi è impossibile accusare Dio di averci lasciato a soffrire da soli.

Qui è necessaria una precisazione di carattere dottrinale: Gesù come Vero Dio non soffriva ma come Vero Uomo in tutto simile a noi tranne che nel peccato ha sopportato il massimo del dolore concepibile in una persona non solo dal punto di vista fisico ma soprattutto dal punto di vista morale, sperimentando il male massimo che si potesse immaginare per una persona. Il perché di questa strada per redimere l’umanità non la sappiamo perché non riusciamo a penetrare così in fondo questa realtà. Scegliendo però questa strada il Signore ci indica la via della speranza, e ci dice che la via della croce, pur essendo dura, è comunque sopportabile e ci ha mostr che dopo il Calvario c’è la resurrezione.

Se dunque per gli altri la sofferenza dell’innocente resta uno scandalo, nel Cristianesimo resta piuttosto un mistero il cui senso ultimo ci sfugge, anche se ci viene garantito che la sofferenza dell’innocente è sempre feconda, e la garanzia ci giunge da Gesù Cristo, cioé da quell’innocente per eccellenza che ha sofferto e dalla cui soferenza è emersa la possibilità di guadagnarsi la salvezza eterna e il Paradiso. In tal modo anche la sofferenza di una persona buona o di un bambino innocente o degli ammalati partecipa alla redenzione operata da Cristo in favore di tutti gli uomini. La sofferenza dunque può essere offerta a Dio così come Gesù Cristo offrì la sua sofferenza al Padre chiedendo che in cambio la trasformi in bene per noi che soffriamo, per le persone care e per l’universo intero. Nel Cristianesimo guardando Cristo abbiamo un esempio di come si porta la croce e un amico che ci aiuta a portare la croce e che rende feconda la sofferenza. Si tratta di una consolazione che non cancella l’orizzonte della sofferenza dalla nostra vita ma che però le dà un significato ed una prospettiva: quello del premio che arriverà alla fine del cammino doloroso della « valle di lacrime ».

trascrizione e adattamento: A. Galli – Holy Queen

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