L’ultima utopia

Posté par atempodiblog le 15 mars 2008

La vita, si sa, è fatta di esami. Ma sino a poco fa, nei primi anni della nostra esistenza, eravamo anzitutto accolti, amati, serviti, ammirati. Ogni vita un dono, un miracolo, di cui prendersi cura.

Ma basta con le favole, con la poesia. Da un po’ di tempo ci viene promessa la luna: la tecnica riuscirà a produrre creature perfette, selezionate, filtrate, e ogni mela ammaccata verrà gettata via, lontano dagli occhi e lontano dal cuore, come è giusto che sia. Due secoli fa l’illuminista Condorcet, prima di finire suicida, perché condannato alla ghigliottina, prometteva ai posteri che il futuro avrebbe portato un mondo meraviglioso. Niente infortuni sul lavoro, niente malattie, uomini più intelligenti e più buoni, niente guerre…. Dopo Condorcet altri prometteranno allo stesso modo il paradiso sulla terra, ma ogni malattia sconfitta lascerà sempre il posto ad un altro male, ogni dolore ad un altro dolore. Saranno politici, letterati, filosofi, a proporsi come i nuovi Mosè, a voler traghettare l’umanità verso nuovi cieli terrestri: sempre con gravissimi danni e sonore delusioni. Eppure, ancora quarant’anni fa precisi, nel celebre 1968, Adriano Buzzati Traverso, scriveva: “Tra poco l’uomo riuscirà a modificare se stesso; fra poco potremo far nascere i nostri figli del sesso desiderato; fra poco potremo garantirci contro il rischio che possa nascere un bambino deficiente; fra poco potremo verosimilmente prevedere, e almeno in parte predeterminare, le caratteristiche fisiche e psichiche del nascituro…”.
Gli fa eco, oggi, Gregory Stock, allorché propone di “riprogettare gli esseri umani”, per raggiungere ogni traguardo possibile. Divenire più che umani, “trasumani”, è il sogno di molti, è il superuomo nella versione tecnologica. Fallita l’antica versione, quella politica ed etica, fallite l’ideologie materialiste, rimane l’ultima utopia: la medicina dei desideri. La medicina, cioè, che non si prende più a carico l’uomo, con la sua malattia, la sua fragilità, il suo limite, ma che accantona i malati, li sopprime, li scarta, in nome di quello che vuole andare a creare, l’uomo nuovo, l’uomo senza peccato originale, l’uomo che non patisce e non muore, e, forse, l’uomo che non è più capace di sentimenti e di amore. Per questo l’ultima utopia non ha nulla di nuovo, funziona esattamente come le altre: elimina ciò che dimostra la sua imperfezione e chiede aiuto, lo travolge con le sue promesse, lo dimentica con le sue illusioni. Elimina l’individuo che c’è, in nome dell’Umanità futura; sacrifica il singolo alla collettività; la concretezza di ogni uomo, al sogno prometeico. Così la vita diventa, come si diceva, subito un esame: test genetici, diagnosi pre-impianto, diagnosi pre natali, con tutti i rischi di falsi negativi e falsi positivi annessi e connessi. Con tutto il carico di speranze deluse, di inganni, di fantasmi che vivono sempre dentro ai sogni impossibili. In realtà, il figlio perfetto nessuno ce lo saprà dare, mai; e se anche nascesse, sarebbe a rischio, ogni minuto, ogni secondo, di sopraggiunte imperfezioni, sciagure, dolori, che la vita ci sa riservare, dietro ad ogni angolo e ad ogni curva. Perché siamo limitati, e nel limite viviamo la nostra essenza di mendicanti, dell’amore di dio e degli uomini.
E’ molto più facile che all’illusione del controllo, controllo sulla vita, sul Dna, sull’uomo, si sostituisca, come è già accaduto e accade spesso, nei più importanti laboratori, il mondo fuori controllo. Lo ha scritto molto bene, tra gli altri, J. Testart, il padre della prima bambina in provetta francese, nel suo la vita in vendita, riflettendo sui rischi, fisici e sociali, delle tecniche artificiali: “possiamo ragionevolmente chiederci se la procreazione medicalmente assistita non contribuirà a diffondere la sterilità degli individui umani. E anche a diffondere l’idea che la sessualità debba essere sterile”. Mentre ce lo chiediamo, sappiamo con certezza che l’idea dell’uomo perfetto contribuirà a distruggere l’amore per l’uomo imperfetto, quello che effettivamente esiste.

di Francesco Agnoli

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