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La speranza

Posté par atempodiblog le 6 février 2008

La virtù teologale che ci solleva dalla paura del futuro

La speranza è l’attesa, insita in ogni uomo, di una felicità che ci riserva il futuro. Se questa speranza si estingue, viene meno anche la vita.

Una delle più preoccupanti caratteristiche dei tempi in cui viviamo è proprio la mancanza di speranza, anche tra i giovani, che ne dovrebbero esserne i naturali portatori. La tristezza e l’angoscia in cui vive immerso l’uomo contemporaneo nasce dalla profonda e tragica incertezza che ci riserva il futuro.

Il declino demografico dell’Occidente deriva principalmente da questa assenza di speranza che può portare alla disperazione e al crollo finale. Il suicidio è l’atto finale di un uomo o di una società che ha perso ogni speranza.

Per il cristiano la speranza sorge, in maniera soprannaturale, con il battesimo, ed è strettamente legata alla fede. La speranza è, con la fede e con la carità, una delle tre grandi virtù teologali. Dio stesso ne è l’oggetto primario. Egli la infonde nella nostra volontà per darci la certezza di ottenere la vita eterna e i mezzi soprannaturali per raggiungerla. Il paradiso è il luogo in cui la speranza dell’uomo ha il suo pieno appagamento.

L’inferno è il luogo da cui è bandita ogni speranza. Nella visione moderna della storia, l’uomo non ha come fine la vita eterna. La fede nel progresso si sostituisce alla fede nella Provvidenza divina e la storia viene ad assumere il ruolo di “redentrice” dell’umanità, all’interno di una visione in cui il “paradiso terrestre” si sostituisce a quello celeste. La storia si trasforma in un percorso caratterizzato da un continuo e illimitato miglioramento verso un futuro ritenuto inevitabilmente migliore del passato e del presente.

L’idea del progresso come legge necessaria della storia, definita in termini di modernità, è assunta come valore.

Nella nuova Enciclica Spe Salvi (Nella speranza siamo stati salvati), firmata il 30 novembre 2007, Benedetto XVI affronta il tema della speranza, richiamandosi alla concezione tradizionale della Chiesa, ma con uno stile nuovo e originale.

La speranza, strettamente intrecciata alla fede, spiega il Papa, è «elemento distintivo dei cristiani»: questi «hanno un futuro, sanno che la loro vita non finisce nel vuoto». Il messaggio cristiano non è soltanto «informativo», bensì «performativo», cioè il Vangelo non è solo una «comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro è stata spalancata. Chi ha la speranza vive diversamente, gli è stata donata una vita nuova».

Il cuore dell’enciclica sta nei paragrafi 15-23, in cui Benedetto XVI ripropone una forte teologia della storia a un mondo cattolico disorientato, per aver troppo spesso ceduto alle lusinghe del progressismo.

Il Papa descrive la genesi e lo sviluppo della nuova “fede del progresso”, a partire da Francesco Bacone, nel XVII secolo. «Due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza» sono quindi la Rivoluzione Francese e la Rivoluzione comunista che sostituiscono «la verità dell’aldilà», con «la verità dell’aldiquà».

Con Marx «il progresso verso il meglio, verso il mondo definitivamente buono, non viene più semplicemente dalla scienza, ma dalla politica – da una politica pensata scientificamente, che sa riconoscere la struttura della storia e della società e ci indicacosì la strada verso la rivoluzione, verso il cambiamento di tutte le cose».

Queste ideologie hanno esercitato un influsso sugli stessi cristiani. Per il Papa è quindi necessaria «un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza», ma «bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici».

Il pensiero corre a quei cattolici che, a partire dagli anni ’60 – la “nuova era” che sembrava dischiusa dal “Papa buono” Giovanni XXIII e dal Presidente americano Kennedy – credettero fermamente nell’irreversibilità della storia, nello “spirito dei tempi”, nell’abbraccio tra la Chiesa e il mondo moderno, proprio nel momento in cui il colosso di argilla della modernità iniziava a sgretolarsi.

Il progresso «offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano». «Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore – recita l’Enciclica – allora esso non è un progresso ma una minaccia per l’uomo e per il mondo».

Contro i condizionamenti delle ideologie moderne, Benedetto XVI ribadisce che l’unica vera grande speranza «può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere». «Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (Ef. 2,1)». Perdere Dio vuol dire perdere tutto, e finire col perdere se stessi.

Il Santo Padre riafferma infine il Giudizio Finale di Dio che chiamerà «in causa le responsabilità» di ciascun uomo. La Spe Salvi ribadisce l’esistenza del Purgatorio e dell’Inferno e lega il motivo della speranza cristiana proprio alla giustizia divina. «È impossibile infatti che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola» afferma uno dei passaggi più forti della lettera. «La grazia non esclude la giustizia (…) I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato».

L’enciclica del Papa finisce con una preghiera molto bella alla Madonna, “stella della speranza”: «per suo mezzo, attraverso il suo “sì” – scrive il Papa – la speranza dei millenni doveva diventare realtà, entrare in questo mondo e nella sua storia».

Dopo aver letto e meditato l’enciclica Salvi in Spe, ci si può porre questa domanda: demistificando le ideologie progressiste ed evoluzioniste, il Papa ci invita a pensare che l’umanità sofferente sia entrata nei tempi ultimo dell’Anticristo e che solo le persecuzioni e il martirio aspettino i cristiani prima della “Parusia”, il ritorno finale di Gesù Cristo sulla terra?

È proprio la virtù della speranza a soccorrerci e a offrire una risposta a questo inquietante interrogativo. I cristiani non devono chiudere gli occhi sul dramma del nostro tempo, ma hanno il diritto e il dovere di sperare non solo la salvezza soprannaturale, ma anche la rinascita di quell’ordine e di quella pace che il Redentore è venuto a portare sulla terra, prima del Regno dell’Anticristo. «Allora finalmente – esclama Pio XI nella sua enciclica Quas Primas, citando Leone XIII – si potranno risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterà la sua forza originaria, allora finalmente ritorneranno i beni preziosi della pace, e cadranno dalle mani le spade e le armi, quando tutti accoglieranno volenterosi il regno di Cristo e gli ubbidiranno, quando ogni lingua confesserà che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».

La Madonna a Fatima, nel 1917, annunziando il trionfo sociale del suo Cuore Immacolato apre i nostri cuori a questa immensa speranza che illumina il nuovo secolo.

Roberto de Mattei – Radici Cristiane, gennaio 2008

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