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La conversione di Giuliano Ferrara

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2007

Il digiuno di Ferrara
di Antonio Socci – Libero

La conversione di Giuliano Ferrara dans Antonio Socci giulianoferrara

La “conversione” di Giuliano Ferrara – che poi, almeno per ora, non risulta essersi convertito – sta suscitando più allarme di quella di Tony Blair o di quella – pur clamorosa – dell’erede di Bertrand Russel, Antony Flew o di quella – su cui i giornali benpensanti sorvolano – di Roberto Benigni. Perché Giuliano si sta divertendo, in questi giorni, a terremotare con baldanzosa pietà la morta gora dell’avvizzita cultura laica. Li strapazza sulla loro macroscopica e tragica contraddizione: l’aborto. Dove è affondato l’umanesimo. Una cultura nata sull’esaltazione dell’uomo e dei diritti umani, che ultimamente ha ottenuto la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali, come può cacciarsi – argomenta il Nostro – nell’abisso dell’aborto di massa, teorizzato e legalizzato, uno strazio di vite innocenti (un miliardo negli ultimi 30 anni) che non ha eguali nella storia? Come si può gridare che nessuno tocchi Caino, legalizzando invece l’eliminazione di tanti Abele? E come si può continuare a ignorare e tacere?

Il digiuno natalizio di Ferrara – che chiede provocatoriamente una moratoria sull’aborto – è un masso sulla palude dell’ipocrisia postkantiana. Mentre la regnante polizia del pensiero vieta perfino la parola aborto (si inventa l’eufemismo ivg, interruzione volontaria della gravidanza). E chi osa discuterne viene “linciato”. A meno che non sia uno come Giuliano Ferrara.
Il “caso Ferrara” è una delle più straordinarie vicende spirituali (quindi politiche e culturali) dell’ultimo mezzo secolo in Italia. Tutti – perfino i suoi nemici – s’inchinano alla guizzante intelligenza dell’uomo. Chi ha la fortuna frequentarlo conosce anche, di Giuliano, le immense doti umane. E’ come un cavaliere medievale. Un animo nobile, generoso e intimamente umile. Che uno così sia anche un grande intellettuale è quasi incredibile. Ma Ferrara, gigante in un teatro di nani, è un caso a sé per molti altri motivi. Solo lui potrebbe tranquillamente – da domattina – fare il direttore del Corriere della sera o tenere un popolare show televisivo o fare il ministro o scrivere un saggio filosofico. Lo puoi sorprendere a parlare in russo o tedesco come in inglese o francese con intellettuali di tutto il mondo, ma anche a strologare romanescamente con un oste di Trastevere.
Del resto fa un giornale d’élite che è letto e apprezzato contemporaneamente sia dal Papa che da Pannella. Pur avendo un fortissimo profilo anticonformista, Giuliano è stimato sia da Veltroni e D’Alema che da Berlusconi. Il suo salotto televisivo è ormai il club più esclusivo in cui qualunque vip della politica o del mondo intellettuale smania di essere invitato. Compreso Scalfari che di recente lì è apparso un po’ statico e che – anche nell’editoriale di ieri sulla Repubblica – sembra in forte apprensione per la “conversione” di Giuliano. Mentre il suo successore Ezio Mauro afferma che Il Foglio è l’unico giornale che fa veramente cultura (insieme, ovviamente, alla Repubblica, dice lui…).

Certo, Giuliano è anche una grande calamita di odio. Fu per anni “Giuliano l’Apostata” per la Sinistra che lo sputazzava come “traditore”. Oggi viene preso di mira da qualche comico schierato, ma viene anche criticato, con un saggio filosofico, dalla rivista dei lefebvriani, “Sì, sì, no, no” a base di citazioni del “suo” Leo Strauss. Però viene invitato dal cardinal Ruini a “insegnare” addirittura nella Basilica lateranense, la cattedrale del Papa, sul “Gesù di Nazaret” di Ratzinger e viene attaccato dai chierici senza truppe del cattoprogressismo nostrano che scrivono sui giornali non avendo il popolo nelle loro chiese. Infine viene difeso e abbracciato nientemeno da Benedetto XVI nel discorso ai cattolici italiani tenuto al convegno ecclesiale di Verona.
Io stesso ho avuto occasione di parlare a Ratzinger di lui (era l’ottobre 2004, sei mesi prima della sua elezione al pontificato) e ho visto la stima e l’affetto che nutre per Giulianone. Così come conosco l’ammirazione e la venerazione di Giuliano per questo mite teologo tedesco che è il nostro grande papa. Non mi pare ci sia un caso analogo a quello di Ferrara nella storia della cultura italiana, almeno dal 1945.

Giuliano è un generoso con una percezione leopardiana della fragilità della vita, uno che avverte l’infinita vanità del tutto e la noia delle banalità consuete, uno che non fa calcoli e che abbraccia impetuosamente la verità intuita e sperimentata. Se uno così un giorno, camminando sul Lungotevere Raffello Sanzio o sulla strada che va da Cafarnao a Betsaida, incontra Gesù di Nazaret, con i suoi amici, è molto probabile che resti incuriosito da quel giovane rabbi galileo. Ed è sicuro che si fermerà a parlare con lui. Nel Vangelo si riferiscono diversi incontri del genere. Gesù risponderebbe alle sue domande fissandolo negli occhi e nell’anima in quel suo modo unico che nessuno più riusciva e riesce a dimenticare (Pietro per tutta la vita porta impresso nel cuore lo sguardo indimenticabile e sconvolgente di Gesù che fece vacillare perfino il cinico Pilato).
C’è un momento in cui il fascino umano per Gesù di Nazaret diventa domanda: chi è mai uno così? Compie cose stupende, per negarlo bisognerebbe non credere ai propri occhi e alla propria testa. Ma essere accecati dal pregiudizio non è razionale. E se davvero Dio si fosse fatto uomo? Sembra pazzesco, ma il saggio Eraclito dall’antica Grecia invitava alla lealtà: “Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi”. E chi poteva aspettarsi questo: trovare Dio incarnato in un volto di uomo. Anzi, di più: essere da Lui trovati.
Del resto la nostra umanità ha fame di Lui. Dalla notte dei tempi lo ha atteso, bramato, cercato. Tutta l’umanità si dibatte nella fame, non solo fame di pane, ma di amore, di bellezza, di significato, di giustizia, di verità, di vita, di felicità. E Gesù nasce in quella Betlemme che significa “Casa del pane”. Gesù stesso infatti è il pane di cui tutti, lo si sappia o no, siamo smaniosamente affamati. Così la proposta di digiuno natalizio di Ferrara mi ricorda il Pane di Betlemme.

C’è un certo stupore anche fra i cattolici per il “caso Ferrara”. Era così pure nei primi secoli cristiani quando a Roma dei famosi intellettuali, come Vittorino, annunciavano di aver chiesto il battesimo. Giuliano viene dall’aristocrazia intellettuale romana, quella borghesia laico-liberale e antifascista che poi ha dato al Pci togliattiano una straordinaria classe dirigente. Giuliano era il figlio più promettente di questa aristocrazia senatoria. I cattolici – abituati a decenni di complessi di inferiorità e subalternità – se lo ritrovano oggi come valoroso apologeta della Chiesa e il popolo semplice ne è grato a Dio e gli vuole bene, mentre qualche chierico si affanna a rincorrerlo per potersi addossare il merito di averlo convertito lui (vanitas vanitatum…).
Non sapendo cogliere lo spettacolo della Grazia che tocca e illumina un’anima. Anche per Agostino d’Ippona – intellettuale di rango a Roma e a Milano – fu un’attrazione fatale. Un giorno scrisse: “Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità; tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo; ho gustato e ora ho fame e sete; tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.

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Mancanza di meraviglia

Posté par atempodiblog le 29 décembre 2007

Mancanza di meraviglia dans Citazioni, frasi e pensieri chesterton

“Il mondo non morirà mai di fame per la mancanza di meraviglie, quanto per la mancanza di meraviglia”.

-Gilbert Keith Chesterton-

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Tanti auguri scomodi

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2007

 Tanti auguri scomodi dans Santo Natale toninobello

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.

Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie , fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame. I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.

I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge ”,e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.

Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

di don Tonino Bello

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Auguri!

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2007

Auguri! dans Santo Natale


Buon Natale!!!

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L’omelia del Cardinale Ivan Dias nel 150° anniversario delle apparizioni a Lourdes

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2007

L’omelia del Cardinale Ivan Dias *
nel 150° anniversario delle apparizioni a Lourdes

L'omelia del Cardinale Ivan Dias nel 150° anniversario delle apparizioni a Lourdes dans Antonio Socci cardinal-ivan-dias-lourdes

Ci siamo riuniti ai piedi della Vergine Maria per inaugurare l’anno Giubilare in preparazione per il 150° compleanno delle sue apparizioni in questo luogo benedetto. Vi porto un saluto molto cordiale di Sua Santità il Papa Benedetto XVI che mi ha incaricato di esprimervi il suo amore e sollecitudine paterna, di assicurarvi delle sue preghiere e di darvi la sua benedizione apostolica. Come pellegrini riuniti nell’amore del Cristo, vogliamo ricordare con gratitudine ed affetto le apparizioni che hanno avuto luogo qui nel 1858. Cerchiamo insieme di sentire le palpitazioni del cuore materno della nostra cara Mamma celeste, di ricordare le sue parole e di ascoltare il messaggio che ci propone ancora oggi.
Conosciamo bene la storia di queste apparizioni. La Madonna è discesa dal Cielo come una madre preoccupata per i suoi figli che vivono nel peccato, lontani da Cristo. È apparsa alla Grotta di Massabielle, che all’epoca era una palude dove pascolavano i maiali, ed è precisamente là che ha voluto far sorgere un santuario, per indicare che la grazia e la misericordia di Dio superano la miserabile palude dei peccati umani. Nel luogo vicino alle apparizioni, la Vergine ha fatto sgorgare una sorgente di acqua abbondante e pura, che i pellegrini bevono e portano nel mondo intero manifestando il desiderio della nostra tenera Madre di far arrivare il suo amore e la salvezza di suo Figlio fino agli estremi confini della terra. Infine, da questa Grotta benedetta, la Vergine Maria ha lanciato una chiamata pressante a tutti per pregare e fare penitenza e così ottenere la conversione dei poveri peccatori.

Il messaggio della Vergine oggi

Ci si può chiedere: quale significato può avere il messaggio della Vergine di Lourdes per noi oggi? Io desidero collocare queste apparizioni nel più ampio contesto della lotta permanente e senza esclusione di colpi tra le forze del bene e le forze del male cominciata all’inizio della storia umana,
nel Giardino del Paradiso, e che proseguirà fino alla fine dei tempi. Le apparizioni di Lourdes sono, difatti, tra le prime della lunga catena di apparizioni della Madonna che hanno avuto inizio 28 anni prima, nel 1830, a Rue du Bac, a Parigi, dove è stata annunciata l’entrata decisiva della Vergine Maria nel cuore delle ostilità tra lei e il demonio, come è descritto nei libri della Genesi e dell’Apocalisse. La Medaglia, detta miracolosa, che la Vergine fece incidere in questa circostanza la rappresentava con le braccia aperte da dove uscivano dei raggi luminosi, significando le grazie che distribuiva al mondo intero. I suoi piedi si posavano sul globo terrestre e schiacciavano la testa del serpente, il diavolo, indicando la vittoria che la Vergine portava sul mentitore e sulle forze del male. Intorno all’immagine si leggeva l’invocazione:
«Oh Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te». È da notare che questa grande verità della concezione immacolata di Maria sia stata affermata qui 24 anni prima che il Papa Pio IX l’abbia definita come dogma di fede (1854): quattro anni più tardi qui a Lourdes, Nostra Signora ha voluto lei stessa rivelare a Bernadette che era l’Immacolata Concezione.
Dopo le apparizioni di Lourdes, la Madonna non ha smesso di manifestare nel mondo intero le sue vive preoccupazioni materne per la sorte dell’umanità nelle sue diverse apparizioni. Dovunque ha chiesto preghiere e penitenza per la conversione dei peccatori, perché prevedeva la rovina spirituale di certi Paesi, le sofferenze che il Santo Padre avrebbe subìto, l’indebolimento generale della fede cristiana, le difficoltà della Chiesa, la venuta dell’Anticristo e i suoi tentativi per sostituire Dio nella vita degli uomini: tentativi che, malgrado i loro successi splendenti, sono destinati tuttavia all’insuccesso.
Qui a Lourdes, come in tutto il mondo, la Madonna sta tessendo una rete di suoi figli e figlie spirituali per lanciare una forte offensiva contro le forze del maligno e per preparare la vittoria finale del suo divino figlio Gesù Cristo.
La Vergine Maria ci chiama anche oggi ad entrare nella sua legione, per combattere contro le forze del male. Come segno della nostra partecipazione alla sua offensiva, Ella chiede fra l’altro la onversione del cuore, una grande devozione verso la santa Eucaristia, la recita quotidiana del santo Rosario, la preghiera costante e senza ipocrisie, l’accettazione delle sofferenze per la salvezza del mondo. Queste potrebbero sembrare delle piccole cose, ma sono potenti nelle mani di Dio al quale nulla è impossibile. Come il giovane Davide che, con una piccola pietra ed una fronda, ha abbattuto il gigante Golia venuto al suo incontro armato di una spada, di una lancia e di un giavellotto (cf. 1 Sam 17, 4-51), anche noi, coi piccoli grani della nostra corona, potremo affrontare eroicamente gli assalti del nostro avversario temibile e vincerlo.

Come Bernadette e con lei

La lotta tra Dio ed il suo nemico è sempre rabbiosa, e lo è ancora più oggi che al tempo di Bernadette, 150 anni fa. Il mondo si trova terribilmente irretito nella spirale di un relativismo che vuole creare una società senza Dio; di un relativismo che erode i valori permanenti e immutabili del Vangelo; e di
una indifferenza religiosa che resta imperturbabile di fronte al bene superiore delle cose che riguardano Dio e la Chiesa. Questa battaglia fa innumerevoli vittime nelle nostre famiglie e tra i nostri giovani.
Alcuni mesi prima dell’elezione di Papa Giovanni Paolo II, 9 novembre 1976, il Cardinale Karol Wojtyla diceva: «Noi siamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai avuto. Penso che la comunità cristiana non l’abbia ancora compreso del tutto. Noi siamo oggi di fronte alla lotta finale tra la Chiesa e l’anti-chiesa, tra il Vangelo e l’anti-vangelo». Una cosa è tuttavia certa: la vittoria finale appartiene a Dio. E Maria combatterà alla testa dell’armata dei suoi figli contro le forze nemiche di Satana, schiacciando il capo del serpente.

Alla Grotta di Massabielle la Vergine Maria ci ha insegnato che la vera felicità si troverà unicamente al cielo. «Non vi prometto di rendervi felice in questo mondo, ma nell’altro», ha detto a Bernadette. E la vita di Bernadette ce l’ha illustrato molto chiaramente: lei che aveva avuto il privilegio singolare di vedere la Madonna, è stata segnata profondamente dalla croce di Gesù, fu consumata interamente dalla tubercolosi, ed è morta giovane, all’età di 35 anni.
In questo Anno Giubilare, ringraziamo il Signore per tutte le molte grazie corporali e spirituali che ha voluto concedere a tante centinaia di migliaia di pellegrini in questo luogo santo, e per l’intercessione di Santa Bernadette, preghiamo la Madonna perché ci fortificarci nel combattimento spirituale di ogni giorno affinché possiamo vivere in pienezza la nostra fede cristiana mettendo in pratica le virtù che distinguevano la Vergine Maria, il fiat, il magnificat e lo stabat: questo vuol dire una fede intrepida (fiat), una gioia senza misura (magnificat) ed una fedeltà senza compromessi (stabat).
Oh Maria, Nostro Signora di Lourdes, sei benedetta tra tutte le donne, e Gesù il frutto delle tue viscere è benedetto. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi, poveri peccatori, adesso ed all’ora della nostra morte. Amen.

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* Legato pontificio a Lourdes e prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Una sintesi dell’omelia è riportata dall’edizione italiana de L’Osservatore Romano del 10-11 dicembre 2007.

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Tratto da Holy Queen

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La confessione natalizia

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2007

La confessione natalizia

La confessione natalizia dans Sacramento della penitenza e della riconciliazione Confessare

La miseria umana
L’Apostolo Simon Pietro era stato protagonista del miracolo operato da Gesù di una pesca straordinariamente abbondante (Luca, cap. 5). Egli allora, colto da una forte sensazione di inadeguatezza e indegnità, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Ma che cosa è mai l’evento di una pesca sovrabbondante di fronte al prodigio del Natale di Gesù? Non avvertiamo noi la nostra piccolezza, anzi la nostra meschinità e abiezione, davanti alla sublimità del dono divino che si rinnova con il Natale?

La magnanimità divina
Il Natale commemora la venuta del figlio di Dio che si fa uomo per entrare da amico nel cuore di ogni singola persona. Egli non viene per farci vergognare o per far valere la sua potenza, ma per portare la sua amicizia. La caratteristica tipica dell’amicizia è quella di poter godere dei beni delle persone che si amano. Anche i genitori godono del bene dei figli, e quindi sono contenti che i figli siano in salute, che siano realizzati, che siano generosi ecc. L’amicizia con Dio, che il Natale ci richiama, ripropone la stessa realtà. Coloro che accettano la grazia di Dio, cioè la sua amicizia, sono resi partecipi, e quindi possono gustare e godere dei beni che sono propri di Dio: una verità superiore che li guida nella vita, una bontà infinita che li spinge nelle vie del bene, una felicità segreta che li sostiene nei doveri quotidiani e una viva speranza di eternità che li conforta nelle fatiche.

La condanna a morte dell’amicizia
Il peccato mortale, che è un’offesa grave fatta a Dio, costituisce una rottura della comunione con lui, e quindi è la condanna a morte dell’ amicizia che egli ci propone. Anche nel campo umano ci sono azioni cattive che per se stesse fanno morire immediatamente un’amicizia, come il tradimento e la diffidenza. Per fortuna non tutti i peccati sono uguali: il peccato mortale uccide all’istante il nostro legame con Dio, il peccato veniale lo raffredda e poco per volta lo spegne. Ma Dio conosce la nostra debolezza, la nostra incostanza e i nostri capricci, e poiché ci ama di amore infinito, ci dà anche infinite possibilità di rinsaldare, o anche di ristabilire la nostra comunione con lui.

Un’amicizia rinnovata
Il Natale è un tempo in cui cerchiamo di far rivivere, fra tutte le persone che conosciamo, i nostri sentimenti di amicizia, fraternità, riconoscenza, simpatia, stima e benevolenza. Ma prima di pensare alle altre persone vicine e lontane, il Natale è un regalo preziosissimo perché rivolgiamo i nostri sentimenti e il nostro cuore rinnovato a Dio. Il Natale di Gesù è perciò il momento di una buona confessione, aperta e fiduciosa, per rigenerare e intensificare l’amicizia che egli continua ad offrirci.

Una preparazione seria
La confessione è il sacramento della riconciliazione con Dio e della pace interiore. Un atto che, coinvolgendo il nostro cuore e Dio stesso, deve essere fatto con la dovuta responsabilità. Dobbiamo esaminarci anzitutto rispetto ai doveri che riguardano Dio. Mettiamo Dio al primo posto, offendiamo il suo nome; alla domenica e nelle altre feste comandate partecipiamo con diligenza alla S. Messa, preghiamo quotidianamente; ci vergogniamo di essere cristiani, chiniamo il capo alla volontà divina, ci fidiamo della Provvidenza o ci affidiamo a maghi e indovini? Rispetto ai doveri che riguardano se stessi e la propria famiglia. Arrechiamo danno alla nostra salute eccedendo nel bere, nel fumo o ricorrendo a droghe; teniamon un comportamento corretto nell’uso della sessualità, commettiamo atti impuri da soli o con altri, ci compiacciamo della pornografia o di immagini e letture provocanti; siamo casti nel fidanzamento secondo l’insegnamento della Chiesa, siamo fedeli nel matrimonio, siamo aperti alla vita nei rapporti coniugali; amiamo sinceramente il coniuge, lo sappiamo perdonare e comprendere, diamo ai figli l’attenzione e il tempo che meritano; rispettiamo, aiutiamo e amiamo i nostri genitori? Rispetto ai doveri che riguardano il prossimo. Abbiamo avuto rispetto della vita fisica degli altri, abbiamo procurato o favorito l’aborto; abbiamo diffuso maldicenze, malignità, calunnie, o giudicato male del prossimo; coltiviamo sentimenti di rancore, sappiamo offrire il perdono, siamo invidiosi, siamo veritieri; compiamo il nostro lavoro o i doveri di studio con impegno; siamo disonesti imbrogliando, rubando o non pagando le tasse; siamo rispettosi della natura, delle cose comuni, dell’ordine e della pulizia?

Un cuore buono e purificato
L’amicizia umana esige soprattutto sincerità e pulizia. La stessa cosa vale anche per l’amicizia con Dio, il quale, appunto, nei due ultimi comandamenti («Non desiderare la donna d’altri » e «Non desiderare la roba d’altri») chiede un cuore semplice e puro, libero anche dai pensieri e desideri sregolati. Gesù Bambino è pronto a donarsi a noi con tutto se stesso, cioè con tutta la ricchezza della sua divinità; il nostro cuore lo può accogliere e può godere dei suoi doni divini nella misura in cui è mondo e senza macchia.

P. Vincenzo Benetollo o.p.

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Fiaba, porta del Paradiso

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2007

Genere letterario per bambini o residuo dell’epoca in cui l’umanità non era ancora passata all’età adulta. Ma a trattenerci dal liquidare così i favolosi racconti che hanno allietato la nostra infanzia è il Vangelo, ammonendoci che, senza l’innocenza fanciullesca non si potrà entrare nel Regno dei Cieli.

di Giudo Giorgini
Radici Cristiane,
a. III, n°21, gennaio 2007,pp.90-93

L’autentica fiaba non è in realtà cosa riservata a bambini o a popoli immaturi. Dal punto di vista del contenuto, essa è un’espressione della saggezza popolare; dal punto di vista della forma è un veicolo di memoria sociale che trasmette tradizioni da una generazione all’altra; dal punto di vista pedagogico è un modo per formare la personalità mediante l’esercizio della immaginanzione, l’attenzione all’invisibile, l’apertura al meraviglioso e l’aspirazione al sublime.
Secondo la pregnante analisi inaugurata nel XIX secolo da Andrew Lang e poi sviluppata da Jhon R. Tolkien nel suo saggio Sulle fiabe (1939) e da Cristiana Campo nel suo saggio su Fiaba e mistero (1963), I racconti fiabeschi svolgono una triplice funzione: ristorano, liberano e consolano l’animo di chi le ascolta, sia egli bambino o adulto.

La fiaba “ristora”

La fiaba innanzitutto ristora l’animo, perché racconta vicende immaginarie ma non irrazionali, che inducono ad abbeverarsi alla fonte della saggezza, a ricuperare la memoria delle origini, a tornare alle radici, a restaurare un modello tradizionale di uomo e società.
La letteratura fiabesca riporta alla luce aspetti e significati della vita che ordinariamente non vengono colti, in quanto sono stati coperti dal velo dell’ordinarietà e della prosaicità. Essa rievoca e ricupera significati e valori originari, dunque perenni e decisivi, illuminando le cose da una prospettiva superiore e scandagliandole nella loro profondità: il mondo spirituale e morale diventa qui più visibile e reale di quello fisico.
La fiaba suggerisce la soluzione dei misteri della realtà e degli enigmi della vita. Essa apre l’occhio e l’orecchio interiore dell’uomo usando il linguaggio dei simboli, che permettono di spiegare il mondo visibile con quello invisibile. Essa, quindi, aiuta a discernere la melodia celeste nel caotico rumore terreno, a trovare il filo d’oro nella confusa trama della storia, a cogliere lo straordinario sotto l’ordinario, la realtà sotto l’apparenza, l’ordine sotto il caos, il significato sotto l’incomprensibile, l’eterno sotto il passeggero, l’assoluto sotto il relativo, il sacro sotto il profano, il soprannaturale sotto il naturale.
In questo modo la fiaba introduce il bambino alla contemplazione, lo allena “all’esercizio della trascendenza”, che consiste nel cogliere il senso misterioso delle cose sotto le loro apparenze banali o ingannatrici. La fiaba alimenta il senso del meraviglioso e lo educa ad esso: un senso, come diceva già Platone, che è alle radici del conoscere e dell’agire, del formarsi e del maturare.
Insomma, la fiaba riscopre e ricorda il significato e il progetto originario della creazione, svelandone le vie nascoste e gli aspetti potenziali o dimenticati a causa del degrado sopravvenuto al peccato originale; in questo modo, essa mantiene viva la memoria e la nostalgia per l’Eden perduto e insegna la via per riconquistarlo.

La fiaba “libera”.

Proprio in quanto abitua l’uomo a cogliere una realtà invisibile, sostanziale ed eterna, la fiaba lo libera dal dominio di ciò che è apparente, contingente, effimero; lo libera dalla tirannia del misurabile e del calcolabile, dall’opprimente meccanismo delle circostanze, dall’asfissiante predominio dei pregiudizi e delle convenzioni.
Questa liberazione avviene quando l’uomo accetta il proprio destino e compie la propria missione. Ecco perché la fiaba esorta a lanciarsi nell’avventura della vita, puntando a raggiungere una destinazione lontana e a realizzare imprese difficili.
Essa descrive spesso un viaggio compiuto alla ricerca di un tesoro: è una metafora della vita, che consiste appunto in un pellegrinaggio dalla terra al Cielo, alla ricerca della Patria definitiva da raggiungere. La fiaba ammonisce che l’uomo è un essere decaduto, in quanto è stato punito per aver peccato, violando un comando misterioso e apparentemente incomprensibile (il peccato originale); ma poi essa esorta a ricuperare la nobiltà perduta, riscattandosi con la lotta e il sacrificio.
Difatti l’eroe della fiaba deve vincere tentazioni, superare ostacoli ed evitare pericoli d’ogni sorta; deve affrontare prove ardue, luoghi tenebrosi, nemici spaventosi. Ma li affronta con animo candidamente temerario, evangelicamente “semplice come colomba ma astuto come serpente”: colomba per accogliere gli aiuti celesti ma serpente per sfuggire alle insidie terrene.
Votato a realizzare l’impossibile, l’eroe può farlo solo appoggiandosi ad un punto archimedico posto fuori dal mondo, rovesciando I luoghi comuni, rinunciando alle certezze e sicurezze terrene per puntare a quelle ultraterrene.
Nella fiaba, infatti, si vive di paradossi: partire per restare, rinunciare per ottenere, perdersi per ritrovarsi, dimenticare per ricordare, servire per comandare, impoverirsi, imbruttirsi, impoverirsi per ottenere forza, bellezza e ricchezza. Ma sono proprio questi paradossi che permettono di raggiungere lo scopo: gli ostacoli diventano ponti, le perdite conquiste, le maledizioni benedizioni, le sconfitte vittorie.
L’eroe fiabesco può esercitare poteri perduti che appartenevano alla condizione originaria d’innocenza, ossia nel Paradiso terrestre, o che acquisterà nella sua finale condizione gloriosa, ossia nel Paradiso celeste: i poteri di volare, passare atraverso i corpi, trasmutarli, renderli invisibili, leggere nel pensiero, parlare con gli animali.


La fiaba “consola”

Proprio in quanto lo libera dalla tirannia del contingente per aprirlo all’Assoluto, la fiaba consola l’uomo, ossia gli fornisce quegli aiuti che gli permettono di compiere la propria missione.
Nei racconti fiabeschi, il successo arride a chi, pur essendo apparentemente senza speranza, si affida all’isperabile, come esige San Paolo Apostolo. E l’isperabile accade davvero, sempre! Il viaggio dell’eroe viene orientato da incontri imprevisti e decisivi che segnano le tappe della missione da compiere. Nei momenti più critici gli arrivano aiuti risolutori che rovesciano il fallimento in successo; ma sempre all’ultimo istante, quando tutto sembra perduto, per mettere alla prova la fiducia e per sottolinearte che la vittoria è un dono gratuito . E non accade appunto questo, lungo l’intera storia della Chiesa?
Partito con la missione di cercare o salvare qualcosa di apparentemente insignificante, alla fine l’eroe si accorgerà di aver trovato o salvato un inestimabile tesoro; oppure, partito con l’obbligo di rinunciare a un apparente tesoro, alla fine si accorgerà che questo sacrificio gli ha permesso di trovare un immenso bene: come accade anche nella vita terrena rispetto a quella eterna.
Alla fine l’eroe troverà e riotterrà tutto ciò a cui aveva rinunciato, ed enormemente accresciuto, come premio per la sua costanza. “chi avrà rinunciato alla propria vita, la troverà, mentre chi l’avrà conservata la perderà”.
La fiaba classica con conclude con il lieto fine (“e vissero per sempre felici e contenti): esso indica il premio paradisiaco, il raggiungimento dell’eternità beata, insomma la consolazione definitiva, quella che non verrà mai tolta.

La fiaba “ammonisce”

La fiaba non spinge a fuggire dalla realtà, ma anzi richiama alla serietà della vita, che è missione da compiere a costo di un destino eterno e che esige scelta, lotta, rischio, sacrificio. La fiaba ammonisce che “tutte le nostre azioni ci seguono” (Paul Bourget), per cui i meriti verranno ricompensati, le colpe verranno punite, ma potranno anche essere perdonate se verranno espiate col pentimento e col dolore.
Non disprezziamo, dunque, le fiabe tradizionali: profondo è il loro valore morale e pedagogico. Il fatto che esse oggi stiano suscitando un rinnovato interesse, per quanto si tratti di un fenomeno ambiguo, rivela comunque che il senso del soprannaturale, l’apertura al meraviglioso e l’aspirazione alò sublime sopravvivono nella coscienza delle masse. E questo è un segno di speranza, anzi un sintomo d’imminente guarigione.

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La più bella delle avventure

Posté par atempodiblog le 20 décembre 2007

La più bella delle avventure dans Citazioni, frasi e pensieri avventura

“La vita è la più bella delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre”.

-Gilbert Keith Chesterton-

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Le apparizioni mariane

Posté par atempodiblog le 14 décembre 2007

Il cardinale Dias a Lourdes
Le apparizioni mariane per salvare l’uomo dal peccato

(©L’Osservatore Romano – 11 dicembre 2007)

Le apparizioni mariane dans Anticristo Nostra-Signora

L’apparizione della Vergine a Lourdes, come le altre apparizioni mariane, « rientra nella lotta permanente, e senza esclusione di colpi, tra le forze del bene e le forze del male, cominciata all’inizio della storia umana e che proseguirà fino alla fine ». Lo ha detto il cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, durante la messa celebrata sabato scorso a Lourdes per inaugurare, come inviato speciale del Papa, l’Anno celebrativo del centocinquantesimo anniversario delle apparizioni. Anzi « questa lotta – ha aggiunto il cardinale – è ancora più accanita che ai tempi di Bernadette. Il mondo si trova terribilmente irretito nella spirale di un relativismo che vuole creare una società senza Dio; di un relativismo che erode i valori permanenti e immutabili del Vangelo; e di una indifferenza religiosa che resta imperturbabile di fronte al bene superiore delle cose che riguardano Dio e la Chiesa ». E ancora: « Questa battaglia fa innumerevoli vittime nelle nostre famiglie e tra i nostri giovani ». Il cardinale ha poi ricordato quanto il cardinale Wojtyla disse pochi mesi prima della sua elezione alla cattedra di Pietro: « Noi siamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai avuto. Penso che la comunità cristiana non l’abbia ancora compreso del tutto. Noi siamo oggi di fronte alla lotta finale tra la Chiesa e l’anti-chiesa, tra il Vangelo e l’antivangelo ». Parole, ha aggiunto il cardinale Dias, che trent’anni dopo risuonano come profetiche, peraltro preannunciate proprio dalle apparizioni mariane « insieme con la rovina spirituale di certi Paesi, l’affievolimento della fede, le difficoltà della Chiesa e l’aumento dell’azione dell’anticristo, con i suoi tentativi di rimpiazzare Dio nella vita degli uomini ». Ma proprio per questo « è discesa dal cielo una Madre – ha aggiunto – preoccupata per i suoi figli che vivono nel peccato, lontani da Cristo ».
Nella grande basilica sotterranea di San Pio X lo ascoltano migliaia di fedeli provenienti da diversi Paesi del mondo per non mancare al solenne appuntamento con la celebrazione dell’anniversario di « quelle apparizioni – avverte il cardinale Dias – vere e proprie irruzioni mariane nella storia del mondo, che segnano l’entrata decisiva della Vergine nel pieno delle ostilità tra lei e il diavolo, come è descritto nella Genesi e nell’Apocalisse ». Per questo motivo il Prefetto ha invitato i fedeli a non abbassare la guardia « qui a Lourdes come in tutto il mondo. La Madonna sta tessendo una rete di suoi figli e figlie spirituali per lanciare una forte offensiva contro le forze del maligno e per preparare la vittoria finale del suo divino figlio Gesù Cristo ». Ella dunque « ci chiama anche oggi ad entrare nella sua legione, per combattere contro le forze del male ». Le armi da usare in questa lotta dovranno essere « la conversione del cuore, una grande devozione verso la santa Eucaristia, la recita quotidiana del santo Rosario, la preghiera costante e senza ipocrisie, l’accettazione delle sofferenze per la salvezza del mondo ». « La vittoria finale – ha concluso il cardinale Dias la sua omelia – sarà di Dio. E Maria combatterà alla testa dell’armata dei suoi figli contro le forze nemiche di Satana, schiacciando il capo del serpente ». Terminata la celebrazione della messa il cardinale ha guidato il lungo corteo processionale che, entrando nel santuario dalla porta Saint Michel, ha fisicamente inaugurato la peregrinatio del centocinquantesimo anniversario delle apparizioni.

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Istruzione

Posté par atempodiblog le 14 décembre 2007

Istruzione dans Citazioni, frasi e pensieri diddlmania_429

Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite”.

-Gilbert Keith Chesterton-

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Racconti di Natale

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2007

Racconti di Natale
di Jean Paul Sartre

Racconti di Natale dans Citazioni, frasi e pensieri Ges-e-Maria

Siccome oggi è Natale, avete il diritto di esigere che vi si mostri il presepe. Eccolo. Ecco la Vergine ed ecco Giuseppe ed ecco il bambino Gesù. L’artista ha messo tutto il suo amore in questo disegno ma voi lo troverete forse un po’ naif.
Guardate, i personaggi hanno ornamenti belli, ma sono rigidi: si direbbero delle marionette. Non erano certamente così. Se foste come me, che ho gli occhi chiusi. Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me. La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno: e il suo latte diventerà il sangue di Dio.
E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio.
Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio!
Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare.
Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa:
« Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. E’ fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. E’ Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive ».
Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.
Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria.
E Giuseppe?
Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce.
E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare.
Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia.
Ora apprenderemo la storia di Bariona poiché sapete che vuole strangolare quel bambino. Corre, si affretta ed eccolo arrivato. Ma prima di farvelo vedere, ecco una piccola canzone di Natale.

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La data del Natale

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2007

“LA DATA DEL NATALE”
di don Nicola Bux e di don Salvatore Vitiello

La data del Natale dans Santo Natale Santo-Natale

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – In questi giorni continuano a rincorrersi interventi ed interviste, anche su autorevoli mezzi di comunicazione, che sostengono una lettura simbolica del Natale e, con essa, delle date e dei riferimenti storici legati all’evento della nascita del Salvatore. Tali letture sono ormai totalmente superate anche dai più recenti studi. Sembrano pertanto opportune alcune precisazioni storiche e perciò teologiche. La coordinata che dà Luca per stabilire l’anno della nascita di Gesù è l’editto di Cesare Augusto. Quando è avvenuto? Ovvero in che anno del calendario romano? Sulla vicenda non ci addentreremo. Ma, anche in questo caso, si fa notare che con troppa facilità si è parlato di errore di calcolo del monaco Dionigi, incaricato nel 525 dalla Chiesa di Roma di proseguire la compilazione della tavola cronologica della data di Pasqua preparata a suo tempo dal Vescovo Cirillo alessandrino in Egitto. Egli però non partì dalla data d’inizio dell’impero di Diocleziano (285 del nostro calendario cristiano) – data che ancora oggi la Chiesa copta adopera per il computo del suo calendario, cioè l’inizio dell’era dei martiri – ma dall’incarnazione di Gesù Cristo. Sebbene non si conosca esattamente il metodo da lui seguito, è vigente la tesi che egli si sarebbe sbagliato, ponendo la nascita di Gesù ‘dopo la morte di Erode’, ovvero 4 o 6 anni dopo la data in cui sarebbe avvenuta, e che corrisponderebbe al 748 di Roma. Si può dimostrare che invece non è così, perché le obiezioni mosse ai suoi calcoli sono invalide, in quanto non tengono conto per esempio, che Giuseppe Flavio, al quale normalmente ci si riferisce per questa e altre datazioni, si è sbagliato, e proprio sulla morte di Erode il Grande, in base ad una eclissi lunare da lui ricordata.
Inoltre, gli si imputa di non aver usato lo 0 nel computo, cosa che a quel tempo mancava. Dionigi in ogni caso recepì la data del 25 dicembre che non era stata introdotta arbitrariamente dalle Chiese cristiane. Secondo Tertulliano Gesù sarebbe nato nel 752 di Roma, 41° anno dell’impero di Augusto. I moderni strumenti di indagine permettono di collegare i dati con gli elementi astronomici che ne garantiscono la sicurezza; si superano così i contrasti tra mondo ebraico e cultura cristiana che possono aver condizionato gli storici. La cronologia può essere ricostruita, come ha fatto l’insigne storico Giorgio Fedalto, comparando tavole cronologiche differenti (cfr. Storia e metastoria del cristianesimo. Questioni dibattute, Verona 2006, pp 39-58 e Carsten Peter Thiede, La nascita del cristianesimo, Milano 1999, pp 267-322).
Anche sugli annunci che precedono la nascita del Signore possiamo fare alcune considerazioni. Luca, intendendo inquadrare storicamente Gesù e la sua venuta, fornisce un’altra coordinata: comincia il suo vangelo riportando una tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, un fatto apparentemente marginale ma storicamente verificabile dai suoi contemporanei, ancor prima del 70 d.C. Secondo l’evangelista, l’angelo Gabriele aveva annunziato al sacerdote Zaccaria, mentre “esercitava sacerdotalmente nel turno (taxis) del suo ordine (ephemeria)” (1,8), quello di Abia (1,5) che la sua sposa Elisabetta avrebbe concepito un figlio. Luca rimanda pertanto ad una rotazione disposta da David (1Cr 24,1-7.19): le 24 classi si avvicendavano in ordine immutabile nel servizio al tempio da sabato a sabato, due volte l’anno. Questo era noto tra i giudei e almeno in ambiente giudeo-cristiano. Il turno di Abia, prescritto per due volte l’anno, cadeva dall’8 al 14 del terzo mese del calendario (lunare) ebraico e dal 24 al 30 dell’ottavo mese (cfr Shemarjahu Talmon, The Calendar Reckoning of the sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolymitana, vol IV, Jerusalem 1958, pp 162-199 e Antonio Ammassari, Alle origini del calendario natalizio, in Euntes Docete, 45, 1992, pp 11-16). Questa seconda volta, secondo il calendario solare corrisponde all’ultima decade di settembre.
In tal modo è storica anche la data della nascita del Battista (Lc 1,57-66) corrispondente al 24 giugno, nove mesi dopo. Così anche l’annuncio a Maria “nel sesto mese” (1,28) dalla concezione di Elisabetta, corrispondente al 25 marzo. Ultima conseguenza è dunque storica la data del 25 dicembre, nove mesi dopo. Nel calendario liturgico siriaco v’è il ‘Subara’, il tempo dell’annuncio, costituito da sei domeniche (v. Avvento ambrosiano) la prima dedicata all’annuncio della nascita di Giovanni al padre Zaccaria, celebrato dal calendario bizantino e dalla chiesa latina di Terrasanta al 23 settembre. Così i bizantini (e i latini) conservano al 23 settembre una data storica quasi precisa, al più con un margine di due giorni. Altrettanto dicasi per le date delle feste della natività del Battista e l’annunciazione a Maria e la natività di Gesù. La liturgia della Chiesa ha fissato e commemorato prima storicamente queste date (v. la Circoncisione all’ottavo giorno dopo la nascita, la presentazione al quarantesimo), in specie il Natale del Signore. Il fatto che sia stata a volte assimilata a quella del 6 gennaio, è dovuto al calendario bizantino che ricordava un insieme di eventi epifanici (l’arrivo dei Magi, il battesimo al Giordano, le nozze di Cana), ma anche che le Chiese si comunicavano le date delle celebrazioni e avevano possibilità di verificarne l’attendibilità storica. Invece, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, si divulgò da parte di liturgisti l’idea che il 25 dicembre fosse una data convenzionale, scelta dai cristiani di Roma per sostituire il Natale del Sole invincibile, cioè una festa del dio Mitra o dell’imperatore, che cadeva intorno al solstizio invernale. In realtà, soprattutto dopo l’editto di Costantino, la Chiesa avrebbe potuto pure essere mossa dal desiderio di valorizzare qualche festa del paganesimo decadente, ma non inventare di sana pianta una data così centrale. Si pensi che nel rito bizantino la data dell’Annunciazione abolisce la domenica e il giovedì santo, e se coincide con la Pasqua si canta metà canone, la composizione poetica propria delle due feste. Dunque, la memoria ininterrotta fu sanzionata con la liturgia, ma il Vangelo di Luca con i suoi accenni a luoghi, date e persone vi ha contribuito in modo fondamentale. (Agenzia Fides 28/12/2006; righe 69, parole 992)

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La data del 25 dicembre non è soltanto un simbolo

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2007

Lo studio di un professore dell’Università ebraica di Gerusalemme cancella ogni dubbio su un enigma millenario.
La data del 25 dicembre non è soltanto un simbolo
Dai rotoli di Qumran la conferma della sua esattezza

La data del 25 dicembre non è soltanto un simbolo dans Santo Natale richieste_di_preghiere

Quando tutti sono via, quando le città sono vuote, a chi – e dove – mandare cartoline e consegnare pacchi con nastri e fiocchetti? Non sono i vescovi stessi a tuonare contro quella sorta di orgia consumistica cui sono ridotti i nostri Natali? E allora, spiazziamo i commercianti, spostiamo tutto a Ferragosto. La cosa, osservavo, non sembra impossibile: in effetti, non fu la necessità storica, fu la Chiesa a scegliere il 25 dicembre per contrastare e sostituire le feste pagane nei giorni del solstizio d’inverno.
La nascita del Cristo al posto della rinascita del Sol invictus . All’inizio, dunque, ci fu una decisione pastorale che può essere mutata, variando le necessità. Una provocazione, ovviamente, che si basava però su ciò che è (o, meglio, era) pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la collocazione liturgica del Natale è una scelta arbitraria, senza collegamento con la data della nascita di Gesù, che nessuno sarebbe in grado di determinare. Ebbene, pare proprio che gli esperti si siano sbagliati; e io, ovviamente, con loro. In realtà oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilirlo con precisione: Gesù è nato proprio un 25 dicembre. Una scoperta straordinaria sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme.

Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Se Gesù è nato un 25 dicembre, il concepimento verginale è avvenuto, ovviamente, 9 mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani pongono al 25 marzo l’annunciazione a Maria dell’angelo Gabriele. Ma sappiamo dallo stesso Vangelo di Luca che giusto sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il precursore, Giovanni, che sarà detto il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per quel concepimento, mentre le antiche Chiese d’Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre. E, cioè, sei mesi prima dell’Annunciazione a Maria. Una successione di date logica ma basata su tradizioni inverificabili, non su eventi localizzabili nel tempo. Così credevano tutti, fino a tempi recentissimi. In realtà, sembra proprio che non sia così.
In effetti, è giusto dal concepimento di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell’anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l’età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Dovevano chiamarlo Giovanni e sarebbe stato «grande davanti al Signore».
Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l’apparizione «officiava nel turno della sua classe». In effetti, coloro che nell’antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l’anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l’ottava, nell’elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva. Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l’enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l’anno, come le altre, e una di quelle volte era nell’ultima settimana di settembre. Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l’annuncio a Zaccaria. Ma questa verosimiglianza si è avvicinata alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professor Talmon, gli studiosi hanno ricostruito la «filiera» di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva, giudeo-cristiana, di Gerusalemme. Una memoria antichissima quanto tenacissima, quella delle Chiese d’Oriente, come confermato in molti altri casi.
Ecco, dunque, che ciò che sembrava mitico assume, improvvisamente, nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l’annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l’annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest’ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso.
Ma sì, pare proprio che il Natale a Ferragosto sia improponibile. Ne farò, dunque, ammenda ma, più che umiliato, piuttosto emozionato: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c’importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi prestava attenzione) mostrano all’improvviso la loro ragion d’essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa. Malgrado tutto, l’avventura cristiana continua.

Vittorio Messori – Corriere della Sera del 09/07/2003


Dal Mar Morto a Oxford:
i papiri che nascondono la verità

La data di nascita di Gesù è stata stabilita grazie ai documenti di Qumran. In alcune grotte della località sul Mar Morto un pastore scoprì, nel 1947, una serie di papiri manoscritti. Le scoperte proseguirono, in modo rocambolesco, fino al ’56. Si tratta di circa 750 testi in ebraico, aramaico (la lingua parlata dallo stesso Gesù) e greco. Vanno dal terzo secolo a.C. fino al I d.C. Ci sono scritture sacre, commenti, documenti religiosi della comunità di Qumran, forse gli Esseni, setta ebraica che viveva nel deserto. Alcuni documenti consentirebbero, secondo qualche studioso, di ridatare il Vangelo di Marco. Una parte dei papiri è stata poi tenuta nascosta in Israele fino al 1991, alimentando il «giallo». La pubblicazione, in 38 volumi, del materiale di Qumran si è conclusa a Oxford solo lo scorso anno.

Corriere della Sera del 09/07/2003

 

Fonte: mariadinazareth.it

 

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Le domeniche d’oro… per chi?

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2007

Le domeniche d’oro… per chi?

Le domeniche d'oro... per chi? dans Articoli di Giornali e News No-alla-spesa-la-domenica

Sono iniziate le domeniche di dicembre, premetto che lavoro in un centro commerciale come dipendente part time al top center. Il mio contratto mi consente di poter decidere se dare disponibilità lavorativa le domeniche. Ho potuto osservare come la domenica viene sempre meno dedicata alla famiglia, ad una piccola passeggiata, alla messa (so che va di moda la laicità…) o a qualcosa di diverso che rinchiudersi all’interno di negozi e centri commerciali. La cosa divertente è quando i clienti chiedono durante la settimana “siete aperti domenica”? Se attendiamo per qualche secondo la risposta, si vede una faccia sempre più preoccupata. Una delle preoccupazioni maggiori è quella del pane fresco; della serie “come facciamo senza il pane fresco?”, surgelatelo!. Quasi divertente la persona che di domenica entra in negozio e critica l’apertura, giustificandosi dicendo che è aperto. Esempi ne potrei fare moltissimi ma, andiamo oltre. La prima domenica ho visto un pienone non indifferente: ricordo qualche anno fa che le prime due domeniche si faceva poco fatturato, adesso invece siamo stati indottrinati molto bene nell’approfittare di queste domeniche d’avvento. Questo atteggiamento dell’uomo disumanizzato, dell’uomo che vive nell’indifferenza, è distruttivo per l’uomo moderno. L’uomo completamente assorbito nel vendere e consumare, diventa egli stesso una cosa, e quando l’uomo diventa una cosa è morto, anche se fisiologicamente è ancor vivo.
E’ un uomo spiritualmente morto, considera la propria vita un capitale da investire, questo tipo di uomo moderno sono riusciti a produrlo: è l’automa, l’uomo alienato. Alienato perché le sue azioni e le sue proprie energie gli sono diventate estranee, sono al di sopra e contro di lui, e lo guidano invece che essere guidate. Altrettanto alienati sono i nostri consumi, perché regolati dagli slogan più che dai nostri bisogni reali, dal nostro palato, dai nostri occhi od orecchi. E si finisce che nella società l’attrazione per i gadget tecnologici è più forte di quella per gli esseri viventi e per i processi della vita. Alla fine si diventa indifferenti alla vita. E’ facile veder entrare gente annoiata, senza gioia, che quando ha comprato qualcosa diventa per un attimo felice, sembra quasi che l’acquisto di beni riesca ad anestetizzare la noia della vita; passato l’acquisto passata la gioia. Mi fa riflettere il pensiero dominante: tutti, in teoria, contro le aperture domenicali, per la dignità della persona, contro le ingiustizie, contro le guerre… Della serie: sistemi comportamentali in cui si aspetta sempre che sia l’altro a cambiare, invece non riusciamo nemmeno ad astenerci a uscire la domenica per fare acquisti, come si può pretendere di insegnare agli altri il rispetto. Non si parte dai grandi comportamenti ma dalle piccole cose. Cerco di spiegarmi; da quando l’uomo ha tolto Dio e messo al centro il consumo, abbiamo pure cambiato il nostro sistema di valori. Il progresso tecnologico minaccia di diventare la sorgente dei valori, spazzando via le norme che “comandano” di compiere quel che è vero, bello e utile allo sviluppo dell’animo umano, poiché l’uomo non cerca più la gioia ma l’eccitazione, non ama più la vita ma il mondo meccanizzato dei gadget, non si sforza di crescere ma di star bene, all’essere preferisce l’avere.
Tutto questo è desolante e se pensate che sto esagerando provate a fermarvi qualche minuto davanti alle innumerevoli casse dei centri commerciali e negozi durante queste feste: tutti ansiosi, agitati, nervosi, gente che litiga per un parcheggio, per passare davanti alla fila per pagare, che chiede di aprire altre casse perché ha fretta, persone che chiedono dove sta lo zucchero… risposta: avanti a destra…. il 30/40% non utilizza più scusi, per favore, grazie ecc. si dà tutto per scontato; forse il cliente pensa che siamo pagati per rispondere, sì è vero, ma chiedere per favore è tutta un’altra cosa… anche noi commessi pecchiamo molte volte quando siamo lì da 8 ore a dire buon giorno grazie ecc Può succedere che non abbiamo la carica giusta: per questo cari clienti fateci un bel sorriso anche dopo 10 ore il sorriso ve lo ricambieremo volentieri, non costa nulla darlo ed è bello riceverlo. Chiudo con una piccola provocazione: se non sapete dove andare domenica siamo aperti… Buon Natale a tutti.

di Sandro Bordignon

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