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Mafalda in conclave con il cardinale Biffi

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2007

Mafalda in conclave con il cardinale Biffi
Nell’autobiografia dell’arcivescovo di Bologna molti episodi curiosi. E non mancano le critiche a Giovanni XXIII e Wojtyla
di Andrea Tornelli
Il Giornale n. 253 del 2007-10-26

Mafalda in conclave con il cardinale Biffi dans Articoli di Giornali e News Mafalda-in-conclave-con-il-cardinale-Biffi

E il cardinale in conclave citò il fumetto di Mafalda. Esce in questi giorni in libreria l’autobiografia del cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, intitolata Memorie e divagazioni di un italiano cardinale (Cantagalli, pagg. 636, euro 23,90), un volume che si legge tutto d’un fiato e rappresenta un eccezionale spaccato della vita della società italiana e della Chiesa degli ultimi settant’anni. Tanti gli aneddoti e i retroscena raccontati da questo «italiano cardinale» che non ha mai nascosto il suo pensiero dietro fumosi giri di parole o stile «ecclesialese» e ha sempre detto pane al pane e vino al vino senza temere di apparire controcorrente o politicamente scorretto.
Uno degli episodi più curiosi del libro riguarda l’ultimo conclave, dell’aprile 2005, dal quale è uscito Papa (par di capire anche grazie al contributo di Biffi) il cardinale Ratzinger. In uno degli incontri che quotidianamente i porporati tenevano prima di rinchiudersi a votare, il 15 aprile, Biffi intervenne dicendo: «Vorrei esprimere al futuro Papa (che mi sta ascoltando) tutta la mia solidarietà, la mia simpatia, la mia comprensione, e anche un po’ della mia fraterna compassione. Ma vorrei suggerirgli anche di non preoccuparsi troppo di quello che qui ha sentito e non si spaventi troppo. Il Signore Gesù non gli chiederà di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli chiederà di volergli bene con un amore straordinario… In una “striscia” e “fumetto” che ci veniva dall’Argentina, quella di Mafalda – continua Biffi – ho trovato diversi anni fa una frase che in questi giorni mi è venuta spesso alla mente: “Ho capito – diceva quella terribile e acuta ragazzina – il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi”».
Dirette e per nulla paludate sono anche le critiche che il cardinale rivolge al Concilio Vaticano II e a Giovanni XXIII. Al primo, Biffi rimprovera il silenzio sul comunismo. «Comunismo: il Concilio non ne parla. Se si percorre con attenzione l’accurato indice sistematico, fa impressione imbattersi in questo categorico asserto. Il comunismo è stato senza dubbio il fenomeno storico più imponente, più duraturo, più straripante del secolo ventesimo; e il Concilio, che pure aveva proposto una Costituzione sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, non ne parla. Il comunismo – continua il cardinale – a partire dal suo trionfo in Russia nel 1917, in mezzo secolo era già riuscito a provocare molte decine di milioni di morti, vittime del terrore di massa e della repressione più disumana; e il Concilio non ne parla. Il comunismo (ed era la prima volta nella storia delle insipienze umane) aveva praticamente imposto alle popolazioni assoggettate l’ateismo, come una specie di filosofia ufficiale e di paradossale “religione di stato”; e il Concilio, che pur si diffondeva sul caso degli atei, non ne parla. Negli stessi anni in cui si svolgeva l’assise ecumenica, le prigioni comuniste erano ancora luoghi di indicibili sofferenze e di umiliazioni inflitte a numerosi “testimoni della fede” (vescovi, presbiteri, laici convinti credenti in Cristo); e il Concilio non ne parla». «Altro che i supposti silenzi nei confronti delle criminose aberrazioni del nazismo – conclude – che persino alcuni cattolici (anche tra quelli attivi al Concilio) hanno poi rimproverato a Pio XII!».
Di Papa Giovanni, invece, Biffi critica alcune espressioni divenute poi il Leitmotiv del pontificato. Quella contro i «profeti di sventura». E in proposito il cardinale ricorda che in realtà a proclamare «l’imminenza di ore tranquille e rasserenate, nella Bibbia sono piuttosto i falsi profeti».
Quanto alla necessità di guardare più a ciò che unisce invece che a ciò che divide, Biffi lo definisce un principio assennato per quanto concerne i problemi della quotidianità «ma guai se ce ne lasciamo ispirare nella testimonianza evangelica di fronte al mondo» perché «in virtù di questo principio, Cristo potrebbe diventare la prima e più illustre vittima del dialogo con le religioni non cristiane».
Non manca pure un accenno al dissenso che il cardinale ebbe con Giovanni Paolo II in merito al «mea culpa» per gli errori del passato promosso in occasione del Giubileo: «A mio avviso avrebbe scandalizzato i “piccoli”». «Il Papa – continua Biffi – testualmente allora disse: “Sì, questo è vero. Bisognerà pensarci su”. Purtroppo non ci ha pensato abbastanza».
Colpiscono infine nel libro anche le cose non dette: l’autore dedica pochissime righe al cardinale Carlo Maria Martini, del quale fu ausiliare per più anni, limitandosi a dire che con la fine dell’episcopato del suo predecessore, il cardinale Colombo, era finita «un’epoca tra le più luminose e feconde della nostra vicenda ecclesiale (milanese, ndr) per il calore e la certezza della fede».

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HALLOWEEN e zucche vuote

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2007

HALLOWEEN e zucche vuote
di Antonio Fasol

HALLOWEEN e zucche vuote dans Fede, morale e teologia halloween-e-zucche-vuote

L’occasione dell’imminente festa cristiana di Ognissanti, ormai per popolarità superata dalla più democratica e political correct festa di Halloween ci offre l’opportunità per tentare di andare aldilà dell’immagine ironico grottesca delle zucche dipinte e per cercare di esplorarne simbolicamente l’interno. In tale percorso ci aiuterà il critico francese Damien Le Guay , di cui è appena uscita una interessante pubblicazione, a carattere ironico e provocatorio “la faccia nascosta di Halloween” (ed. Elledici) significativamente sottotitolata “come la festa della zucca ha sconfitto Tutti i Santi”!

La prima considerazione che viene spontanea è che nell’attuale risvegliarsi, in Europa, di una cultura caparbiamente laicista, che rifiuta, forzando perfino la storia, di riconoscere le proprie origini cristiane, non meraviglia il fatto che una festa di arcane origini paganeggianti, miratamente trasformata in occasione consumistica e di vago sapore carnevalesco, abbia ormai sopraffatto l’originaria festa cristiana non a caso con essa coincidente temporalmente.

Vi è, per la verità, un esempio ancora più emblematico di tale processo di sovrapposizione tra mondo secolare-paganeggiante e cristiano: il Natale, che, preso a sua volta in prestito (come data) dalla precedente festa pagana del dio sole e divenuto il “dies natalis” di Gesù per secoli, è ora ormai insidiato, soprattutto in ambito anglosassone e nordico, dalle renne di babbo natale e dagli alberi colorati, con annesso tutto l’indotto commerciale e consumistico che ha, tra l’altro, relegato il francescano presepe, originariamente veicolo religioso di meditazione sul mistero dell’Incarnazione, in rassegne artistiche dedicate dal vago sapore naturalistico e spesso più attente a rendere l’effetto meccanico di mulini e cascate piuttosto che a manifestare la nascita del Salvatore!

Ma tornando alla festa in oggetto, ciò che invece insospettisce il nostro autore è innanzitutto la pressoché totale indolenza e passività con cui la maggioranza della gente ha in pochi anni (l’inizio risale al 1995), dapprima timidamente tollerato, poi sempre più accettato tale sorpasso festaiolo, secondo la logica del “in fondo che c’è di male”.

Giornalisti e sociologi, per la verità, hanno pure tentato interpretazioni, almeno negli intenti, più filosofiche, affermando, per esempio, che “le cucurbitacee (la famiglia delle zucche) si adeguano perfettamente ai valori emergenti” (sic), o ancora che “Halloween è una nuova educazione alla vita e alla morte” (editoriale di “Le Monde” del 1° novembre 2000), articolo nel quale l’autore interpreta la grande diffusione della festa e la relativa ostilità dei cristiani come una rottura del monopolio religioso-e cristiano in particolare- sui riti e sulla simbologia nella società occidentale; c’è anche chi, infine, arriva a considerare la cultura indoeuropea, celtica e pagana come la vera originaria rispetto a quella giudaico-cristiana, che “ne avrebbe soffocato lo sviluppo” (J.Markale).

Ma donde viene in realtà Halloween? Diciamo subito che il nome è già una sorta di malcelato acronimo inglese di “Ognissanti”; si tratta poi di una arcaica- e in parte mitizzata- tradizione celtica, veicolata successivamente da tradizioni irlandesi e americane, che univa il passaggio agricolo al nuovo anno con la festa religiosa-popolare del dio Samhain, divinità che nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre consentiva il passaggio di spiriti malefici dal mondo dei morti a quello dei vivi. In tale occasione gli antichi druidi, travestiti con teste di animali, compivano gesti propiziatori in cambio di offerte che, se rifiutate, ricambiavano con puntuali maledizioni! Per scacciare i medesimi spiriti, pare che fuori dalle case venissero appese zucche e lampade.

Chi pensasse, però che si tratti di una delle tante rivalutazioni tradizional-folcloristiche di culture arcaiche minoritarie, verrà subito smentito dall’apprendere che, in realtà, fu il frutto di una autentica pianificazione consumistico-commerciale su scala mondiale operata da una società (Cesar) nel 1992. Essa individuò il periodo “a metà strada tra l’inizio dell’anno scolastico e Natale” e lanciò la festa con maschere(di cui era produttrice), teschi e costumi da strega; successivamente, grazie ad una mirata pubblicità mass-mediatica e all’apporto di grosse multinazionali dello svago (da Disney a McDonalds), raggiunse la diffusione che conosciamo diventando una sorta di “folklorizzazione religiosa” (M.de Certeau).

Il paradosso di Halloween e delle sue bizzarrie è, quindi, quello di essere nel contempo ipermoderna (nel modo di presentarsi) ed iperarcaica (nelle idee), e rappresentare il massimo della credulità in un mondo – per dirla con Chesterton - che ha smesso di credere in Dio.

Nell’attuale cultura, in stile tipicamente new age e rigorosamente a-confesionale, dove impera la logica della festa per la festa, a prescindere dai contenuti da celebrare, si spiega il facile e veloce successo della penetrazione sociale di Halloween, emblema e icona del vuoto, delle zucche ma specialmente delle teste che in esse si perdono.

Perfino l’apparentemente innocuo gioco infantile del “dolcetto o scherzetto”, ad un’analisi più approfondita, non è che la rappresentazione dei ruoli invertiti bambini-adulti, dove questi ultimi sono ricattati a dare dolcetti ai primi per cautelarsi contro la maledizione, sia pur scherzosa: e qui sta la differenza tra lo scambio gratificante e il dono estorto (considerando anche che il carnevale è ancora lontano).

Per quanto riguarda l’ambito scolastico, poi, mentre la tendenza imperante, dai programmi ai testi adottati, è quella di evitare o ridurre al minimo ogni accenno a riferimenti religiosi- e in particolare cristiani- assistiamo, per occasioni come Halloween (proprio per la sua malcelata aura di gioiosa e giocosa neutralità) ad una vera e propria adozione laica universalmente accettata, con tanto di lezioni di cultura anglosassone(?) e similia. A tale filone culturale sono da ascrivere i successi, tra gli adolescenti, di alcune serie televisive americane (Buffy, Streghe).

In definitiva, quindi, la differenza tra Halloween e Ognissanti è sostanziale, sia come contenuto – per la prima pressoché inesistente – sia come rappresentazione temporale: per la prima, infatti, il tempo è ciclico e costituito da stagioni che ritornano uguali, mentre per la seconda, il tempo cristiano è lineare e caratterizzato dalla tensione tra nascita e parusìa di Cristo, sia pur nella ciclicità liturgica.

La più nostrana e genuina tradizione popolare metteva giustamente in guardia: “scherza con i fanti…!”.

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